Nel mondo dell’Intelligenza Artificiale, tutti parlano di chip come se fossero lingotti d’oro. E in effetti lo sono. Ma mentre Stati Uniti e Cina si lanciano in finanziamenti miliardari come fuochi d’artificio, il Giappone ha deciso di fare qualcosa di molto più… giapponese: abbassare i toni e costruire con metodo. Tokyo ha appena approvato un nuovo pacchetto di finanziamenti per l’AI e i semiconduttori da 252,5 miliardi di yen, circa 1,6 miliardi di dollari.

Una cifra che, detta così, sembra importante. Ma rispetto ai 1.500 miliardi di yen stanziati nel 2024 come misura di emergenza per il settore tecnologico, appare quasi un mezzo passo indietro. Vediamo in realtà perché è l’esatto contrario: un cambio di mentalità.

Il Giappone non sta rallentando, sta normalizzando. Dopo l’anno delle manovre straordinarie, ora l’Intelligenza Artificiale entra nei bilanci ordinari dello Stato. Tradotto: non più piogge di denaro occasionali, ma irrigazione costante. E chi lavora nell’industria dei chip sa che questa è la differenza tra una moda e una strategia.

Il messaggio politico è chiaro: l’AI non è più un’emergenza, è infrastruttura nazionale. Come le ferrovie negli anni Sessanta o Internet negli anni Novanta. I fondi non sono più annunci a effetto, ma voci strutturali di bilancio. Meno titoli sui giornali, più certezze per le aziende.

E in tempi di collisione geopolitica totale tra Washington e Pechino, la scelta del Giappone è tutt’altro che neutrale. Tokyo vuole restare competitiva nello scacchiere globale dei semiconduttori, ridurre la dipendenza dai grandi produttori stranieri e rafforzare la propria filiera interna. Il che significa produzione domestica, ricerca nazionale e un ecosistema in grado di sopravvivere anche quando le catene di approvvigionamento globali iniziano a scricchiolare.

Non è una sorpresa che il Giappone scelga questa strada. Il Paese ha una lunga tradizione industriale fatta di precisione, pianificazione e orizzonti temporali che raramente coincidono con il ciclo elettorale. Ed è esattamente questo che oggi serve all’Intelligenza Artificiale: non finanziamenti shock, ma stabilità.

Perché sviluppare chip non è come sviluppare un’app. Non serve solo ingegno, servono fabbriche, competenze, filiere, standard industriali. È una partita che si gioca in decenni, non in trimestri. Ed è qui che il modello giapponese mostra tutta la sua coerenza: meno enfasi sull’annuncio, più concentrazione sull’esecuzione.

Il risultato? Le aziende tecnologiche potranno finalmente pianificare oltre l’anno fiscale. Le startup avranno una visibilità più ampia per investire in ricerca. Le università potranno costruire programmi strutturali invece di inseguire bandi episodici. In sostanza, l’intero sistema avrà meno montagne russe e più autostrade. Chissà che questa strada non possa essere un esempio anche per l’Italia, nell’affrontare, in modo serio, il tema, sempre più urgente, di dare al Paese una politica industriale fondata su una strategia di medio-lungo periodo.

Il contesto globale aiuta a capire perché Tokyo abbia fatto questa scelta proprio ora. L’inasprimento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina sui semiconduttori, il blocco alle esportazioni di chip avanzati, la regionalizzazione delle catene del valore hanno reso evidente una verità scomoda: l’AI è geopolitica. Non è più solo tecnologia. È potere industriale, militare ed economico.

E quando una tecnologia diventa strategica, smette di essere finanziata come un progetto e inizia a essere trattata come una voce di bilancio strutturale. Esattamente quello che il Giappone sta facendo ora.

Paradossalmente, questa svolta “noiosa” potrebbe rivelarsi una delle più intelligenti degli ultimi anni. Perché i mercati amano i lanci clamorosi, ma le industrie prosperano con la continuità. I titoli ad effetto attirano investimenti, ma sono i budget ordinari a costruire filiere.

Il Giappone ha capito una cosa semplice e profonda: se l’Intelligenza Artificiale è il futuro, allora va amministrata come il presente. Con meno annunci e più manutenzione. Con meno fuochi d’artificio e più fondamenta.

E mentre il resto del mondo continua a stupirsi davanti ai numeri, Tokyo si siede, apre i bilanci e costruisce. Silenziosamente. Come fanno quelli che non vogliono vincere una gara, ma un campionato intero.