In Italia l’energia è tornata al centro del dibattito pubblico con una forza che non si vedeva da anni. Non solo perché le bollette continuano a pesare sui bilanci di famiglie e imprese, ma perché l’elettricità e le fonti che la producono sono diventate una questione strategica, quasi geopolitica, che intreccia competitività industriale, sicurezza nazionale e transizione ecologica. È un tema che riguarda tutti, anche chi pensa di non occuparsene mai, perché oggi basta un blackout, una tensione sui mercati del gas o un picco dei prezzi per rendersi conto di quanto l’energia sia diventata indispensabile.

A ricordarlo con chiarezza è stato Flavio Cattaneo, amministratore delegato di Enel, intervenendo ad Atreju. L’energia, ha spiegato, sarà sempre più centrale per due motivi semplici e insieme complessi. I consumi sono destinati a crescere e il valore strategico dell’elettricità nella vita quotidiana è in aumento costante. L’intelligenza artificiale, i data center, i dispositivi connessi e le tecnologie digitali hanno fame di energia continua, proprio come oggi smartphone e computer senza i quali non potremmo lavorare né organizzare le nostre giornate. L’energia non è più solo una voce di costo, è un bene essenziale. E la sua assenza, in un mondo sempre più dipendente dall’elettricità, avrebbe conseguenze molto più gravi rispetto al passato.

Una consapevolezza condivisa anche dal mondo industriale. Per Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, il tema energetico è una vera questione di sicurezza nazionale e di salvaguardia dell’impresa. Senza energia a costi competitivi, l’Italia rischia di perdere pezzi interi del proprio sistema produttivo. Orsini cita il caso Stellantis, che ha scelto di produrre di più in Spagna anche per il differenziale dei costi energetici. Quando una grande azienda riduce la produzione in Italia, non se ne va mai da sola. Si porta dietro fornitori, competenze e occupazione, osserva Orsini. È il classico effetto domino che rende il tema dell’energia molto più di una semplice discussione tecnica.

Il governo, nel frattempo, lavora al decreto energia cercando una quadra che non è affatto semplice. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin ha chiarito che una parte delle misure è già definita e bollinata, mentre su altri aspetti sono ancora in corso valutazioni tecniche e confronti con la normativa europea. Sul tavolo c’è anche il tema dell’Ets, il sistema europeo di scambio delle emissioni, che Pichetto pur definendola una tassa giusta, perché nasce per penalizzare l’uso dei combustibili fossili, ribadisce che incide in modo particolarmente pesante su Paesi come l’Italia.

È proprio su questo punto che il dibattito si fa più acceso. Secondo Cattaneo, oggi il peso dell’Ets incide sui costi dell’energia per le imprese italiane addirittura più del fisco. Fino al 2015 il differenziale di prezzo tra Italia e Spagna era significativo, poi per alcuni anni si era ridotto. Dal 2020 in poi il divario è tornato ad allargarsi, complice l’aumento del prezzo del gas e il forte rialzo dei costi delle emissioni. Il risultato è un’energia più cara per le imprese, soprattutto per quelle energivore, che arrivano a spendere fino al 30 o 35 per cento dei costi complessivi proprio in elettricità.

Da qui la richiesta, condivisa da Confindustria, di intervenire sugli oneri di sistema attraverso strumenti come la cartolarizzazione. Oggi pesano circa 10 miliardi di euro e spostarli nel tempo, anche solo in parte, potrebbe liberare risorse per accelerare gli investimenti nelle rinnovabili e rafforzare il mix energetico nazionale. Serve coraggio, dice Orsini, perché non esiste una misura unica in grado di abbassare i prezzi. Serve un insieme di scelte coerenti e una visione di medio periodo.

Il quadro si complica ulteriormente se si guarda alla struttura della produzione italiana. Il nostro Paese è ancora un importatore di energia e di questa, una quota rilevante arriva dalla Francia. Di quella che produciamo, una parte importante è legata al gas, dove l’Italia che svolge più un ruolo di trasformatore che di produttore. In questo contesto Pichetto Fratin rivendica un risultato che definisce un gol. Oggi fotovoltaico ed eolico non avrebbero più bisogno di incentivi, perché insieme rappresentano circa la metà della produzione nazionale. È un segnale importante, che mostra come la transizione ecologica abbia già cambiato il volto del sistema energetico italiano.

Eppure il tema resta aperto, soprattutto se si guarda alla sicurezza degli approvvigionamenti. Le centrali a carbone, che ciclicamente tornano nel dibattito pubblico, sono il simbolo di questa tensione tra emergenza e transizione. Di questi giorni la decisione di chiudere o tenere aperte, appunto per una questione di sicurezza energetica, le centrali a carbone di Brindisi e Civitavecchia ancora attive. Nessuno le considera una soluzione di lungo periodo, ma in un sistema ancora fragile diventano una sorta di assicurazione contro gli shock esterni. Non è una scelta ideologica, è una valutazione di sicurezza nazionale. La vera sfida è riuscire a farne a meno senza mettere a rischio la stabilità del sistema.

In fondo, il dibattito sull’energia in Italia ruota sempre attorno allo stesso equilibrio difficile. Garantire prezzi sostenibili per famiglie e imprese, accelerare la transizione ecologica, ridurre la dipendenza dall’estero e mantenere un livello adeguato di sicurezza. È una partita complessa, che non si vince con slogan né con scorciatoie. Ma una cosa è ormai chiara. L’energia non è più un tema per addetti ai lavori. È il cuore della competitività del Paese e, sempre di più, una questione che riguarda il futuro economico e tecnologico dell’Italia.