

La nuova ossessione tecnologica: droni per fibra ottica e l’illusione della guerra invisibile
C’è un momento preciso in cui ci si rende conto che la guerra del futuro non è quella che immaginavamo, fatta di eserciti di acciaio e di cannoni che ruggiscono, ma di un esercito silenzioso, portatile e insospettabile. Quel momento è arrivato con la notizia che la Russia produce oltre 50.000 droni in fibra per ottica al mese, battezzati con il nome inquietante di Vandal. Se il nome sembra uscito da un videogioco per adolescenti, la sostanza è molto più cinica. Non stiamo parlando di gadget da youtuber in cerca di click, ma di macchine di morte cablate, che riscrivono le regole della guerra elettronica e, con una beffa che sa di ironia storica, mettono in scacco quelle stesse potenze che si vantavano di avere l’egemonia nel dominio cibernetico.
L’idea alla base è sorprendentemente semplice e insieme devastante: collegare i droni kamikaze direttamente con un filo di fibra ottica, come se fosse un cordone ombelicale indistruttibile. Questo li rende immuni a qualsiasi contromisura elettronica. Le tecnologie di guerra elettronica, quei sistemi sofisticati in grado di disturbare i segnali radio, di accecare i radar e di paralizzare le comunicazioni, improvvisamente si trovano disarmate. È come se avessimo costruito interi castelli difensivi di ultima generazione, salvo poi scoprire che il nemico entra dalla porta di servizio armato di un cavo in fibra da 20 euro.
Chi pensa che i droni in fibra ottica siano solo una trovata propagandistica russa non ha capito la portata della trasformazione in corso. Perché in realtà questi oggetti non sono solo un’arma, ma un manifesto politico e tecnologico. Dimostrano che l’innovazione militare non è appannaggio di Silicon Valley e di contractor americani, ma può nascere anche nei laboratori di Veliky Novgorod, città che fino a ieri associavamo più a cupole ortodosse che a un hub di innovazione. E soprattutto, rivelano il paradosso di un’epoca in cui la supremazia militare non si misura più con il numero di portaerei, ma con la capacità di produrre massa tecnologica a basso costo.
Il costo è infatti l’altro elemento spiazzante. Un drone Vandal non è un’opera d’arte di ingegneria aeronautica, non è un F-35 in miniatura. È un quadricottero con telecamera e un rotolo di fibra ottica, pensato per esplodere una volta centrato l’obiettivo. La sua forza sta nella produzione in serie, nella quantità, non nella sofisticazione. È la logica industriale sovietica aggiornata all’era digitale: non ti batto con un singolo pezzo tecnologico superiore, ma con decine di migliaia di pezzi “sufficientemente buoni” che travolgono le tue difese. Qui non c’è spazio per il feticismo occidentale per il gadget militare hi-tech da presentare ai saloni della difesa. Qui c’è brutalità industriale.
Chi controlla la guerra elettronica fino a ieri si sentiva al sicuro. Bastava attivare sistemi di disturbo e i droni FPV pilotati a distanza diventavano ciechi e muti. Era la promessa della superiorità invisibile, quella che avrebbe neutralizzato l’assalto dei droni prima ancora che iniziassero la loro corsa. Ma la fibra ottica non si disturba, non si blocca, non si confonde. È un collegamento diretto, analogico nella sua brutalità, impossibile da sabotare con le armi dell’etere. È un ritorno al cavo, con tutta la sua antica solidità, trasformato in una minaccia letale.
La scena è surreale: nel 2025, in piena era di intelligenza artificiale generativa, di cloud quantistico e di reti 6G in fase sperimentale, la differenza sul campo di battaglia la fa un filo di vetro flessibile lungo qualche chilometro. È come se un dettaglio banale si fosse trasformato nell’arma definitiva. E in effetti lo è. Perché non basta avere la migliore tecnologia se non riesci a difenderti da ciò che appare elementare. La fibra ottica applicata ai droni kamikaze è l’incarnazione del principio di “disruption” più puro: vincere non introducendo la complessità, ma riportando la partita alla semplicità disarmante.
Naturalmente, i sostenitori dell’innovazione occidentale minimizzano. Parlano di limiti tecnici, di complessità logistiche. Eppure la verità è che nessuna tecnologia rivoluzionaria nasce perfetta. Anche il primo missile balistico intercontinentale era rozzo e inaffidabile, eppure ha cambiato il mondo. Il concetto dei droni in fibra ottica ha la stessa carica destabilizzante. Non perché oggi siano invincibili, ma perché aprono una strada che nessuna difesa elettronica convenzionale può contrastare.
C’è un dettaglio che merita attenzione. Questi droni non sono strumenti autonomi dotati di intelligenza artificiale avanzata. Sono guidati manualmente, in tempo reale, con una visuale in prima persona che passa attraverso la fibra. È come se l’operatore fosse catapultato all’interno della macchina, vivendo un’esperienza immersiva degna di un simulatore, con la differenza che alla fine del percorso c’è un’esplosione e un bersaglio distrutto. La guerra trasformata in videogame non è più una metafora, è una descrizione tecnica. Con la differenza che non ci sono pulsanti di restart.
Si può ridere amaramente di come la fibra ottica, celebrata negli ultimi vent’anni come la spina dorsale della società digitale globale, sia diventata improvvisamente anche la spina dorsale della nuova guerra industriale. Cavi che dovevano portare Netflix e trading algoritmico oggi portano esplosivi. È la doppia faccia della tecnologia: ciò che abilita la connessione, abilita anche la distruzione. Il capitalismo aveva illuso il mondo che la fibra fosse sinonimo di progresso, ma i droni Vandal dimostrano che è anche sinonimo di regressione alla brutalità.
Chi pensa che questo trend rimarrà confinato alla Russia dovrebbe farsi qualche domanda. Perché se un attore riesce a produrre decine di migliaia di droni per fibra ottica ogni mese, è solo questione di tempo prima che altri replichino il modello. Non serve una Silicon Valley, serve una fabbrica, un po’ di ingegneria applicata e una visione spietata della guerra. Il vero rischio è che la guerra dei droni kamikaze cablati diventi una commodity, esportata in teatri di conflitto in Medio Oriente, Africa o Asia. E quando la tecnologia diventa commodity, non c’è barriera che tenga.
Il problema che emerge è più ampio. Questi droni non sfidano solo la guerra elettronica, sfidano anche la narrativa occidentale della superiorità tecnologica. Mostrano che la vera innovazione militare oggi è quella che abbatte i costi, che bypassa le regole del gioco, che reinventa il banale. Non è la ricerca ossessiva del supercomputer da campo, ma la capacità di connettere un quadricottero da poche centinaia di dollari a una fibra che rende inutili miliardi di dollari di sistemi di disturbo. È un colpo basso alla retorica della supremazia tecnologica, ed è proprio per questo che fa paura.
Qualcuno dirà che la storia si ripete. Gli eserciti tradizionali sono sempre stati sconfitti non dalla superiorità in termini di forza bruta, ma dall’inaspettato. Dai mongoli che usarono archi composti e velocità inaudita, ai sommergibili tedeschi che destabilizzarono le flotte alleate, fino ai droni in fibra ottica che oggi minacciano di ridicolizzare l’intera architettura della difesa elettronica. La storia non si ripete mai identica, ma rima, e la rima che leggiamo oggi è inquietante.
E mentre ci si interroga sulle contromisure, la verità è che non esistono risposte semplici. Si può cercare di sviluppare difese cinetiche, abbattere i droni fisicamente, ma questo significa ritornare alla logica della quantità, e non è detto che l’Occidente sia pronto a combattere guerre di quantità. È molto più facile investire in un singolo gioiello tecnologico che in milioni di pezzi di artiglieria contraerea. La Russia, con la sua produzione di massa, sembra aver colto la lezione.
Il futuro della guerra elettronica, paradossalmente, potrebbe essere già morto prima di nascere. Perché se il nemico smette di giocare sul campo delle onde radio, non ha senso investire miliardi per dominarlo. È come se stessimo costruendo astronavi per vincere una battaglia che si combatte ancora con le fionde. Eppure, proprio le fionde, quando usate al momento giusto, hanno cambiato imperi.
In fondo, i droni per fibra ottica ci ricordano una verità scomoda: la tecnologia non è mai neutrale. Può essere raffinata o brutale, costosa o economica, ma è sempre lo specchio di una strategia. La strategia russa oggi è chiara: produrre in quantità, bypassare la guerra elettronica, trasformare il campo di battaglia in un videogioco mortale cablato. E il messaggio è altrettanto chiaro: nessuna potenza tecnologica può sentirsi al sicuro, perché basta un filo per ridicolizzare la più complessa delle difese.