Se l’universo fosse un’app, sarebbe maledettamente ben progettata. Zero crash, uptime millenario, interfaccia coerente, fisica che si comporta sempre nello stesso modo. È questo il problema.
Da oltre vent’anni, un manipolo di scienziati – un mix tra fisici quantistici stanchi, filosofi con troppo tempo libero e ingegneri in crisi esistenziale – ci sta dicendo che potremmo vivere dentro una simulazione. Non come una metafora spirituale da guru di Instagram, ma proprio una simulazione informatica vera e propria, alimentata da qualche entità iper-tecnologica che ci osserva con lo stesso disinteresse con cui noi guardiamo le formiche in un barattolo di vetro. O peggio, ci ignora completamente.