Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Nuove prospettive su come la tecnologia ai sta plasmando il futuro del business e della finanza

Mattel scommette sull’intelligenza artificiale e gioca con OpenAI: la Barbie parlerà, forse anche meglio di tua madre

Che la Silicon Valley fosse un parco giochi per adulti era chiaro da tempo. Ma oggi, con Mattel e OpenAI che si tengono per mano come due bambini nel cortile dell’asilo, l’infanzia diventa il nuovo fronte caldo della guerra algoritmica. Sotto la superficie patinata dell’annuncio, si cela qualcosa di molto più profondo di un semplice pupazzo che risponde con frasi generate da ChatGPT: è la conquista delle emozioni infantili da parte dell’intelligenza artificiale.

Adobe supera le stime del Q2 e alza le previsioni: l’AI è davvero il futuro?

Adobe ha appena chiuso un secondo trimestre fiscale 2025 che ha fatto sobbalzare i conti e sollevato più di qualche sopracciglio. Con ricavi record da 5,87 miliardi di dollari (+11% rispetto all’anno precedente) e un utile per azione rettificato di 5,06 dollari, la società ha superato le aspettative degli analisti, che si aggiravano intorno a 4,97 dollari per azione e 5,8 miliardi di ricavi . Eppure, nonostante questi numeri da capogiro, il titolo ha chiuso in calo del 7% dall’inizio dell’anno, lasciando spazio a qualche legittimo dubbio.

Meta compra il genio, non la ditta: la mossa da 14,3 miliardi di Zuckerberg per un’IA che non si vergogni più

C’è un certo romanticismo tecnologico nel gesto di Mark Zuckerberg: pagare 14,3 miliardi di dollari per il 49% di Scale AI senza neanche volerla tutta, come se la posta in gioco non fosse l’azienda ma il cervello che la guida. Alexandr Wang, enfant prodige dell’intelligenza artificiale, CEO di Scale e prodigioso miliardario a 21 anni, passa ora sotto le insegne blu di Meta. Ma lo fa con un piede ancora nella sua creatura. Meta prende metà tavolo, ma lascia al giovane Wang il comando del mazzo.

WWDC 2025 June 9 Apple

Apple intelligence in crisi d’identità, ma Tim Cook giura che tutto è sotto controllo

L’aria a Cupertino quest’anno è più elettrica del solito. Ma non nel senso buono. Quando il palco della WWDC 2025 si è acceso, l’energia non era quella trionfale di un impero in espansione, ma quella nervosa di un gigante che sa di essere osservato da troppo vicino. Le luci dello Steve Jobs Theater brillano, sì, ma non riescono a nascondere le ombre: quelle di un’intelligenza artificiale che si è fatta attendere troppo, di giudici federali che non si fanno più incantare dalle vetrine di Apple Park, e di una politica commerciale che inizia a mostrare il conto, da Washington a Pechino.

Apple Intelligence, l’ambiziosa scommessa annunciata l’anno scorso tra effetti speciali e promesse roboanti, oggi appare come un adolescente confuso che ha dimenticato cosa voleva diventare da grande. Doveva essere l’AI “personalizzata, privata e potente”. Quello che abbiamo visto, invece, è una creatura ibrida, impantanata tra modelli on-device limitati e una dipendenza poco dichiarata da ChatGPT, con la promessa implicita che “niente sarà inviato senza il tuo permesso” — il che, detto da una società sotto indagine antitrust, suona più come un patto tra cavalieri medievali che come una policy credibile.

Cudis sfida la morte con un anello smart: salute, AI e token su Solana

L’ossessione per la longevità si è trasformata da sogno californiano a core business globale, e qualcuno sta cercando di monetizzare ogni respiro. Cudis, startup losangelina nata nel 2023, si lancia con disinvoltura in una delle scommesse più audaci del nostro tempo: trasformare le buone abitudini salutari in una moneta digitale scambiabile. No, non è Black Mirror. È un anello. Uno smart ring con intelligenza artificiale e incentivi cripto, abbinato a un’app che promette di allungarti la vita—o almeno il ROI.

Mentre i dati biometrici diventano la nuova valuta del secolo, Cudis si è infilata al dito il futuro del wellness, con un anello di design sobrio che monitora sonno, stress, attività e calorie bruciate. La versione 2.0 della sua wearable tech si collega a un’applicazione che sembra aver capito una cosa fondamentale: la maggior parte delle persone non vuole diventare un medico, vuole solo sapere se dorme male perché ha scrollato TikTok fino alle 2 o se è tempo di chiamare il fisioterapista.

Windsurf: quando gli dei dell’intelligenza artificiale giocano a risiko con le startup

Windsurf Statement on Anthropic Model Availability

È stato l’equivalente digitale di un’esecuzione in pieno giorno. Nessuna lettera di sfratto, nessuna trattativa da corridoio. Solo un’interruzione secca, chirurgica, quasi burocratica. Windsurf, la celebre app per “vibe coding”, si è ritrovata fuori dalla porta del tempio di Claude. Anthropic, il laboratorio fondato dai fuoriusciti di OpenAI, ha deciso di tagliare la capacità concessa ai modelli Claude 3.x. Non per ragioni tecniche. Non per mancanza di fondi. Ma per geopolitica dell’AI.

Varun Mohan, CEO di Windsurf, l’ha scritto su X con la disperazione elegante di chi sa di essere pedina in un gioco molto più grande: “Volevamo pagare per tutta la capacità. Ce l’hanno tolta lo stesso.” Dietro questa frase anodina, si cela l’odore stantio di una guerra fredda tra laboratori che – da fornitori di infrastrutture – stanno sempre più diventando cannibali delle app che un tempo nutrivano.

La nuova ossessione Americana si chiama Manus

C’era una volta un’America che investiva solo in casa, con orgoglio patriottico e la presunzione di avere un primato tecnologico inalienabile. Poi è arrivata DeepSeek, un colosso cinese dell’intelligenza artificiale capace di mandare nel panico anche i più sfrontati VC di Sand Hill Road. All’improvviso, Silicon Valley si è ricordata che la Cina non è solo TikTok e supply chain: è anche cervelli, codice e modelli linguistici che, udite udite, funzionano.

È in questo contesto che Joshua Kushner, rampollo mediatico e fondatore di Thrive Capital, ha deciso di mandare i suoi emissari a Pechino. Non lui personalmente, per carità: l’odore della geopolitica è troppo forte. Ma il messaggio è chiaro come un alert su Bloomberg: la fame d’intelligenza artificiale non conosce confini. Neppure quelli sanciti da decenni di paranoia bipartisan tra Washington e Zhongnanhai.

Mary Meeker ha appena riscritto il manuale della rivoluzione AI: Trends 2025

Mary Meeker è una venture capitalist americana ed ex analista di titoli di Wall Street. Il suo lavoro principale riguarda Internet e le nuove tecnologie. È fondatrice e socio accomandatario di BOND, una società di venture capital con sede a San Francisco. In precedenza è stata partner di Kleiner Perkins. 

È ufficiale: la transizione tecnologica più veloce della storia dell’umanità ha finalmente il suo playbook. Non una slide improvvisata, non una timeline abbozzata in un keynote. Un’opera da 340 pagine, partorita in sei anni da Mary Meeker, la stessa analista che vent’anni fa indicò l’arrivo del web con la precisione di un chirurgo e la freddezza di una scommessa da hedge fund. Ora ha puntato dritto sull’Intelligenza Artificiale. Ed è come se avesse acceso la luce nella stanza dove tutti, fino a ieri, brancolavano tra hype, buzzword e delirio mistico da prompt engineering.

WMF 2025: il futuro non è domani è adesso e si chiama Bologna

C’è qualcosa di provocatoriamente surreale nel vedere Bologna trasformarsi nel cuore pulsante dell’innovazione globale, mentre fuori dai padiglioni della fiera il traffico fa lo stesso rumore del 1998. Eppure, è qui, tra robot quadrupedi, venture capitalist travestiti da salvatori e startup assetate di gloria, che si materializza l’utopia e l’ambiguitàdel futuro condiviso, parola d’ordine del WMF – We Make Future 2025.

Aperto da domani, il WMF 2025 non è più una semplice fiera tecnologica. È una vera e propria intelligenza collettiva incarnata: 90 palchi, 1.000 speaker, oltre 700 sponsor ed espositori, e una promessa non detta ma onnipresente quella di costruire un domani dove l’AI non solo risolve problemi, ma plasma comportamenti, filtra emozioni e con un sorriso freddamente algoritmico, ci guida in un mondo più inclusivo. Inclusivo per chi, esattamente? Dettaglio da non chiedere troppo forte, se non vuoi sembrare il solito guastafeste dell’innovazione.

Alibaba punta sull’intelligenza artificiale open-source: il ritorno (non dichiarato) di Jack Ma e la scommessa Qwen3

In un’epoca in cui i modelli di intelligenza artificiale vengono trattati come i nuovi araldi della supremazia geopolitica digitale, Alibaba ha finalmente trovato la propria voce e non è una voce sintetica qualunque. Si chiama Qwen3, ed è il nuovo baluardo dell’orgoglio tech cinese. La mossa? Un’ambiziosa dichiarazione di indipendenza dall’Occidente, con una strategia che suona molto simile a: “Non ci servono i vostri Llama, ce li facciamo in casa.”

La notizia è sottile come un colpo di spada in una riunione del Partito: dopo un primo esperimento nel 2023 con la linea Qwen, accolto internamente con più sarcasmo che entusiasmo, Alibaba ha rilasciato Qwen3. E questa volta ha convinto tutti. Talmente tanto che persino le sue app, che fino a ieri preferivano flirtare con modelli esterni come DeepSeek R1, ora tornano all’ovile.

Google accetta di pagare mezzo miliardo per l’antitrust, ma resta padrona del gioco

Chi pensa che $500 milioni in dieci anni siano una vera punizione per Alphabet dovrebbe prendersi un caffè più forte. È il costo di un paio di campagne marketing mal riuscite o di un aggiornamento di Android andato storto. Ma questa non è la parte più interessante della storia.

La notizia è che Google, colosso tra i colossi, ha deciso di risolvere un’azione legale dei suoi stessi azionisti pension fund del Michigan e della Pennsylvania, mica hacker ucraini che l’accusavano di averli esposti a rischi antitrust. E attenzione, non stiamo parlando delle cause del DOJ (Department of Justice), quelle sulle pratiche monopolistiche nella search e nell’adtech, dove Washington ha messo i tacchi a spillo. No, qui si parla di un’altra arena: la responsabilità fiduciaria verso gli azionisti.

Elon Musk vende 5 miliardi di dollari di debito per finanziare l’intelligenza artificiale: il ritorno del re tecnologico

Il grande Elon Musk, dopo aver flirtato con la politica e aver fatto il chiacchierato consigliere di Trump, decide che è tempo di tornare alla sua vera passione: far girare l’ingranaggio di un impero industriale sempre più dispersivo ma altrettanto ambizioso. Ecco quindi che Musk piazza un nuovo, robusto bond da 5 miliardi di dollari per finanziare xAI, la sua start-up sull’intelligenza artificiale, con un tasso d’interesse a doppia cifra. Roba che neanche le peggiori agenzie di rating si sognerebbero di consigliare ai loro clienti retail. Ma, si sa, con Musk non si parla di investimenti normali, si parla di puntate miliardarie in territori incerti, giocando con il debito come se fosse una roulette russa di Silicon Valley.

Chime, la banca pop del nulla che premia i fondatori anche se affonda

Benvenuti nella Silicon Valley dell’illusione, dove si vendono IPO come se fossero gelati artigianali, e il gusto del giorno è “compensazione inversa”. Chime, la famigerata “banca senza banca”, ha deciso che il modo migliore per motivare i suoi cofondatori al successo… è premiarli anche in caso di fallimento. Sì, hai letto bene. Una startup fintech da 11 miliardi di dollari di valutazione che si prepara all’IPO premiando i suoi boss se il titolo risale… anche dopo essere crollato.

WMF 2025 Startup competition, o il reality show dell’innovazione digitale: sei finaliste, mille retoriche e una sola vera sfida

Il 5 giugno, mentre fuori probabilmente qualcuno ancora lotterà con l’IA generativa per farle scrivere un’email decente, sul Mainstage del WMF andrà in scena l’ennesimo spettacolo dell’innovazione: la finale della Startup Competition più grande al mondo — a detta degli organizzatori, ovviamente. Un’arena hi-tech da fiera dell’est, in cui sei startup sopravvissute a un filtro iniziale da 1.500 candidature si contenderanno la gloria, gli investitori e, udite udite, l’accesso alla mitica finale della Startup World Cup di San Francisco. La Silicon Valley come premio di consolazione: una narrazione perfetta per LinkedIn.

La nuova corsa all’oro è in silicio: l’Intelligenza Artificiale capitalizza, scala, si moltiplica

Se pensavi che il boom delle criptovalute fosse l’ultima bolla iper-finanziaria dal sapore tech, sei fuori tempo massimo. Oggi, l’unico asset che conta si chiama modello di AI. E il capitale, quello vero, scorre a fiumi. La settimana appena trascorsa sembra scritta da un algoritmo drogato di venture capital: aumenti di capitale a nove zeri, nuovi laboratori hi-tech, accordi multi-miliardari, IPO mascherate da “share sale”, e automatizzazioni spietate.

Il tutto mentre i mercati oscillano nervosi ma i CEO delle AI company brindano con lo champagne in stanze insonorizzate da pareti di GPU Nvidia. Welcome to Rivista.AI.

Partiamo dal botto: Neuralink ha chiuso un round di Serie E da 650 milioni di dollari. No, non per sviluppare…

Google sotto attacco: la fine del monopolio o solo un’altra mossa da teatro regolatorio?

Benvenuti nell’era in cui anche i dinosauri digitali iniziano a sudare freddo. No, non è un altro aggiornamento dell’algoritmo di ranking. È un giudice federale americano che, finalmente, sembra aver capito che Google non è solo un motore di ricerca. È il motore. Il telaio. Il carburante. E l’autista dell’intero veicolo informativo globale. Ma ora, proprio quel veicolo rischia di finire smontato pezzo per pezzo.

La keyword di oggi è: monopolio. Le secondarie? Google Chrome, AI generativa, distribuzione della ricerca. Il palcoscenico è quello della “remedies phase” del processo che vede Google accusata di aver mantenuto illegalmente il suo dominio nella ricerca online. Il giudice Amit Mehta, apparentemente afflitto da un raro rigurgito di pragmatismo, ha cominciato a mettere in discussione le proposte sul tavolo. E quando un giudice federale definisce la cessione di Chrome “più pulita ed elegante”, attenzione: il colosso sente davvero il terreno tremare sotto i piedi.

GenAI, una spinta da 446 miliardi per l’economia italiana secondo Deloitte

L’intelligenza artificiale generativa rappresenta una svolta epocale per il sistema produttivo italiano. Secondo uno studio di Deloitte, l’adozione su larga scala di queste tecnologie da parte delle imprese con oltre 50 milioni di fatturato e almeno 250 dipendenti potrebbe aumentare i margini tra il 5% e il 15%, con un impatto economico stimato tra i 149 e i 446 miliardi di euro.

Salesforce punta sulle PMI e sui dati: l’illusione della democratizzazione dell’AI

C’è un nuovo mantra a San Francisco, e si chiama “Small is Beautiful”. Dopo anni passati a corteggiare i grandi elefanti aziendali con pacchetti software dal costo indecente e dalla complessità para-esoterica, Salesforce scopre improvvisamente che le piccole e medie imprese esistono. E guarda caso, proprio ora che la crescita rallenta e il terreno sotto ai piedi inizia a tremare, ecco che Marc Benioff il profeta visionario con la cravatta da guru e lo sguardo da capitalista zen si lancia in un’evangelizzazione tardiva delle PMI, con la solita retorica da “opportunità inesplorata”.

L’azienda ha appena pubblicato i risultati del primo trimestre, superando le attese con 60 milioni di dollari in più di fatturato rispetto alle previsioni, e alzando l’outlook annuale di altri 400 milioni. I mercati, da bravi automatismi algofinanziari, hanno premiato il titolo con un +2% che fa sorridere gli investitori e applaudire gli azionisti. Ma sotto questa vernice luccicante, la realtà è più cinica: Salesforce ha un problema di crescita strutturale. L’8% annuo dichiarato sembra buono, ma non lo è per una tech company che ha costruito il proprio mito su una narrazione da unicorno perenne.

Il satellite che si credeva un meme: come AST vuole asfaltare Starlink partendo da sotto

Cape Canaveral, settembre. Non c’erano né presidenti né first lady, ma mille piccoli azionisti, zaini a tema spaziale e sguardi al cielo come in una processione laica. Cinque satelliti. Cinque, non cinquemila. Lanciati da SpaceX, ma non per conto di Elon Musk. Ironico, no? Il razzo Falcon 9 ormai una navetta da routine per i nerd con budget trasportava i dispositivi di AST SpaceMobile, un’azienda che Musk ha etichettato con disprezzo regolatorio come “una meme stock”. Traduzione: roba da Redditari illusi e bag holders col cappellino di Dogecoin.

Bitcoin, AI e la Guerra Energetica: David Sacks sta costruendo l’Impero Tech di Trump

Las Vegas, 2025. Mentre fuori le slot continuano a mangiare sogni, dentro il Bitcoin 2025 Conference si costruisce un futuro che non lascia spazio a mezze misure: o sei dentro, o sei obsoleto. Sul palco, David Sacks, il nuovo “AI & Crypto Czar” della Casa Bianca trumpiana, non sta recitando. Sta dettando linea. E la linea è chiara: compra Bitcoin, distruggi i nemici, trivella tutto ciò che può produrre energia, e prepara il terreno per una simbiosi inedita tra intelligenza artificiale e moneta decentralizzata.

Chi pensava che l’amministrazione Trump 2.0 fosse una riedizione grottesca della prima, non ha ancora capito che stavolta c’è un piano. Un’agenda precisa. E un ex investitore di PayPal Mafia, diventato regista della più cinica riconversione tecnologica della politica americana.

Marc Benioff torna a fare shopping: Informatica, AI e il ritorno del capitalismo terminale

Marc Benioff è tornato nel suo habitat naturale: comprarsi aziende come se fossero francobolli rari. L’acquisizione di Informatica per 8 miliardi di dollari in contanti segna il ritorno del fondatore di Salesforce al gioco che ama di più, dopo un paio d’anni di “riabilitazione forzata” sotto l’occhio vigile degli attivisti finanziari. Quegli stessi fondi che, tra il 2022 e il 2023, gli avevano fatto capire che la festa a colpi di acquisizioni a prezzi da champagne da tre stelle Michelin doveva finire. Per un po’.

Trump minaccia dazi del 25% su iPhone: il “Make America Great Again” si scontra con la realtà della supply chain globale

La scena è questa: un ex presidente in campagna elettorale, una piattaforma social da lui stesso fondata, e una multinazionale da tre trilioni di dollari che cerca di diversificare la sua catena di montaggio. Ingredienti perfetti per una tempesta a stelle e strisce, o meglio, una tempesta protezionista in pieno stile Donald Trump.

Donald Trump, in uno dei suoi tipici exploit digitali su Truth Social, ha lanciato un’intimidazione tariffaria a Cupertino: 25% di dazi su tutti gli iPhone importati, a meno che Apple non inizi a produrli negli Stati Uniti. Non in India. Non in Cina. Non su Marte. Solo qui, tra hamburger e pistole.

La geopolitica del capitale: perché il “mega fondo sovrano” USA-Giappone di Masayoshi Son è un algoritmo travestito da diplomazia

Non è un’idea, è un test. Un crash test per capire fino a che punto si possa trasformare la politica economica in una derivata seconda del venture capital. Masayoshi Son, il visionario borderline che ha già bruciato e reinventato miliardi con la disinvoltura di un illusionista, questa volta punta a qualcosa di ancora più grande: un fondo sovrano ibrido USA-Giappone, una creatura da 300 miliardi di dollari. Ma dietro la facciata apparentemente infrastrutturale, c’è una strategia molto più sporca, molto più elegante, e molto più pericolosa: prendere il controllo della prossima ondata tecnologica globale, bypassando i mercati pubblici e, soprattutto, le regole.

Perplexity: l’illusione della crescita infinita nel mercato dell’intelligenza artificiale

Per chi ancora crede che basti un po’ di hype, qualche buzzword ben distribuita e un’interfaccia pulita per sfidare Google, la parabola di Perplexity AI è una lezione da tenere sul comodino, magari accanto a “La società dello spettacolo” di Debord, per digerirla prima di dormire.

In un mercato dove anche le big tech sudano per giustificare i loro multipli, questa startup è riuscita a generare 34 milioni di dollari in ricavi, bruciandone però quasi il doppio in contanti.Complimenti: un rogo finanziario alimentato con carburante VC, incenso e qualche gigabyte di fumo.Chiariamo subito la keyword principale: Perplexity, motore di ricerca AI.

L’illusione del cacciavite: Trump, Apple e la farsa del “Made in USA”

La narrativa del “riportiamo il lavoro a casa” è una delle più redditizie in politica, specie se si ha bisogno di distrarre l’elettorato da guerre commerciali auto-inflitte, deficit fuori controllo e un PIL che si trascina con la grazia di un pachiderma zoppo. Ma quando il protagonista di questa farsa è Donald Trump, e l’obiettivo si chiama Apple – con tutti i suoi iPhone cuciti al millimetro in catene di montaggio asiatiche iper-ottimizzate – il risultato è più un esperimento di fantascienza industriale che una politica economica coerente. La keyword qui è reshoring, ma con sfumature grottesche.

rump minaccia di piazzare un bel 25% di tariffa su ogni iPhone venduto negli USA ma prodotto all’estero. Così, per par condicio, include pure Samsung e chiunque osi vendere smartphone senza ingrassarli prima di orgoglio a stelle e strisce. Il concetto: o fabbrichi qui, o paghi il dazio del patriottismo. Eppure, c’è un piccolo ostacolo: la realtà tecnica ed economica. Anzi, diciamola meglio: la realtà ha appena fatto un sorriso cinico e alzato il dito medio.

Trump, memecoin e l’illusione della rivoluzione finanziaria: la corsa al potere criptato

In un’epoca in cui la linea tra potere politico e interessi personali si assottiglia fino a scomparire, Donald Trump alza la posta: una cena a porte chiuse nel suo esclusivo golf club fuori Washington per centinaia dei più ricchi investitori del suo memecoin $TRUMP. Non un semplice evento sociale, ma una fusione senza precedenti tra il potere presidenziale e un affare privato che, come minimo, grida “corruzione” a gran voce. Il palcoscenico è la sua proprietà privata, il pubblico esclusivo, e la posta in gioco miliardi di dollari che si muovono dietro le quinte, senza trasparenza.

Non è il solito incontro di lobbyisti o donatori; qui il protagonista è un asset digitale lanciato a tre giorni dall’insediamento di Trump, una mossa che ha gonfiato il suo patrimonio personale di miliardi, mentre gli etici si strappano i capelli. La sua promessa su Truth Social di mantenere l’America “dominante” nelle criptovalute suona più come un manifesto di potere che un impegno politico. Il tutto condito da una scenografia studiata: il leggendario sigillo presidenziale sulla lectern, nonostante la stampa fosse esclusa, e un manipolo di manifestanti sotto la pioggia a protestare contro “la corruzione crypto” e “i re senza corona”.

Frank Cooper III Marketing o fantascienza? Visa e l’AI che sta per svuotarci il carrello

Frank Cooper III, Chief Marketing Officer di Visa, ha appena fatto il suo show a POSSIBLE, la conferenza dove i marketer fanno finta di parlare del futuro mentre cercano di venderti il presente in saldo. Sul palco di NYSE TV, ha detto la verità – o almeno una sua versione molto ben pettinata – sull’intelligenza artificiale nel marketing e su cosa sta realmente cambiando nel commercio globale. Spoiler: se pensi che basti un bel logo o un claim accattivante, sei già fuori dal mercato. Ma tranquillo, non sei solo.

Kalshi, Musk e il casinò dell’intelligenza artificiale: il futuro delle scommesse è manipolabile

C’è qualcosa di tremendamente poetico o profondamente inquietante nell’immaginare un algoritmo allenato su X, l’ex Twitter, come nuovo oracolo moderno per scommettitori finanziari, fanatici della geopolitica, e trader della domenica. L’ultima mossa di Kalshi, la piattaforma di prediction market dove si può scommettere su tutto tranne che sulla durata del proprio matrimonio, è l’integrazione dell’AI di xAI di Elon Musk. Tradotto: stiamo per entrare nell’era delle scommesse guidate da un’intelligenza artificiale addestrata su tweet, meme, flame, e deliri da 280 caratteri.

Intelligenza artificiale senza frontiere: il matrimonio tra G42 e Mistral AI è molto più di un accordo tecnologico

Abu Dhabi incontra Versailles, e no, non è l’inizio di una barzelletta. È lo scenario barocco politicamente perfetto in cui G42, il conglomerato tech degli Emirati già benedetto dai fondi e dai sorrisi di Microsoft, ha ufficializzato la sua liaison con Mistral AI, la startup francese che si spaccia per paladina dell’open source europeo nel mondo dell’intelligenza artificiale. Una partnership annunciata durante il summit Choose France, dentro al Palazzo di Versailles, tra specchi dorati e retorica sulla “sovranità digitale”. Eppure dietro gli abbracci diplomatici si nasconde una manovra geopolitica raffinata e molto concreta: costruire una piattaforma AI sovranazionale, interoperabile e scalabile, che abbia basi non solo tecniche ma anche ideologiche. O così almeno vogliono farcela bere.

Anthropic e la corsa ai capitali: la rivoluzione dell’intelligenza artificiale a suon di miliardi

Nel panorama affollato dell’intelligenza artificiale, dove startup si moltiplicano come funghi dopo un temporale, poche realtà riescono a mantenere la rotta con la fermezza e l’audacia di Anthropic. Questa società a scopo benefico, specializzata nello sviluppo di AI responsabile, ha appena chiuso un finanziamento da 2,5 miliardi di dollari sotto forma di una linea di credito revolving quinquennale. Ma non si tratta di un semplice prestito; è una dichiarazione di forza e di ambizione che sa di sfida diretta ai giganti del settore.

Nel mondo delle startup tecnologiche, avere il sostegno di istituzioni finanziarie di altissimo livello come Morgan Stanley, Barclays, Citibank, Goldman Sachs, JPMorgan, Royal Bank of Canada e Mitsubishi UFJ Financial Group è un passaporto privilegiato. La capacità di ottenere questa fiducia indica non solo solidità finanziaria, ma anche una strategia di crescita esponenziale che può fare la differenza tra un sogno e una realtà concreta. Krishna Rao, CFO di Anthropic, si pavoneggia giustamente su LinkedIn, parlando di “flessibilità” e “impegno nello sviluppo responsabile di AI”. Tradotto dal politichese, significa: abbiamo i soldi per spingere a fondo sull’acceleratore, ma non siamo qui a inventarci scorciatoie etiche. O almeno, questo vogliono farci credere.

Claude si inventa le fonti: l’intelligenza artificiale sotto giuramento fa una figuraccia

Siamo nel 2025 e ancora ci stupiamo che un chatbot inventi citazioni? È quasi tenero. Ma questa volta la gaffe ha il sapore dell’imbarazzo legale, perché non si tratta dell’ennesimo studente pigro che copia e incolla da un assistente AI generativo: qui parliamo di un’aula di tribunale, una causa per violazione di copyright da parte di Concord Music Group contro Anthropic, una delle startup più chiacchierate della Silicon Valley, che ha fatto del modello Claude la sua punta di diamante nell’arena dell’intelligenza artificiale generativa.

E invece. Una testimone dell’azienda, nel corso della deposizione, cita un articolo che dovrebbe supportare la tesi difensiva di Anthropic. Solo che – piccolo dettaglio – quell’articolo non è mai esistito nei termini indicati. Titolo sbagliato. Autori sbagliati. Una citazione costruita come un castello di sabbia su una spiaggia di bias algoritmici. Il risultato? Una figuraccia da manuale, e una dichiarazione ufficiale dell’avvocato di Anthropic in cui si cerca di minimizzare l’errore, incolpando – ovviamente – l’AI. Cattiva Claude.

Trump e l’Emiro del silicio: l’AI campus da 5GW che ridisegna la geopolitica tecnologica

Abu Dhabi, maggio 2025. Donald Trump, in una delle sue più teatrali apparizioni internazionali, ha inaugurato insieme al presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan, il più grande campus di intelligenza artificiale fuori dagli Stati Uniti: un colosso da 5 gigawatt di potenza computazionale, destinato a diventare il cuore pulsante dell’AI globale.

Dietro le foto ufficiali e le strette di mano, si cela una strategia precisa: posizionare gli Emirati come snodo centrale tra Occidente e Sud Globale, offrendo potenza di calcolo a bassa latenza a quasi metà della popolazione mondiale. Il campus, costruito da G42 e gestito in collaborazione con aziende americane, sarà alimentato da fonti nucleari, solari e a gas, con l’obiettivo di minimizzare le emissioni di carbonio.

Quando il genio stanca: DeepSeek crolla, Kling AI fa il botto

Sembrava l’astro nascente dell’AI cinese, il modello di ragionamento che avrebbe ridefinito l’ottimizzazione dei parametri, l’efficienza computazionale e magari anche l’orgoglio nazionale sotto embargo tecnologico. E invece DeepSeek-R1, la star di Hangzhou, ha iniziato a perdere colpi. La quota di utilizzo sulla piattaforma Poe è precipitata dal 7% di febbraio al misero 3% ad aprile. Un crollo verticale degno di una startup fintech senza licenza bancaria, e non del presunto miracolo algoritmico made in China.

Per chi non fosse familiare con Poe, si tratta della piattaforma AI di Quora, dove gli utenti possono scambiare messaggi con diversi modelli linguistici. Una vetrina piuttosto trasparente sulle dinamiche di adozione reale, molto più sincera dei comunicati stampa pieni di grafici colorati e acronimi fuffosi. E i numeri parlano chiaro: oggi DeepSeek è solo il terzo modello di ragionamento più usato, dopo Gemini 2.5 Pro di Google e Claude 3.7 Sonnet di Anthropic. Il primo prende il 31,5% delle query, il secondo il 19,1%. DeepSeek-R1? Si ferma al 12,2%. Gli altri modelli della casa, tipo il tanto decantato V3, nemmeno pervenuti nella top five. Spariti come un white paper durante un audit.

Perplexity e la scommessa dell’agente conversazionale che compra per te e si fa pure pagare con PayPal

Non è più solo una gara a chi genera il testo più fluente, il codice più elegante o il riassunto più smart. No, il mercato dell’intelligenza artificiale generativa sta entrando nella fase in cui il chiacchierone digitale deve anche vendere, incassare, spedire e possibilmente non sbagliare un indirizzo. In altre parole, l’AI ora ti vuole anche comprare la roba. Da sola.

E Perplexity, che fino a ieri era l’alternativa nerd a ChatGPT, ha appena rilanciato pesantemente: partnership con PayPal, checkout dentro la chat, e-commerce integrato come fosse una roba naturale. Altro che “motore di risposta”, qui siamo alla nascita dell’agente conversazionale commerciale, o, come la chiamano loro, agentic commerce. Il chatbot non è più un assistente. È il tuo personal shopper con poteri di pagamento.

Il potere dell’intelligenza artificiale nell’agenda di Donald Trump: l’influenza dei colossi tecnologici

Se ancora qualcuno si sta chiedendo quale ruolo giochi l’intelligenza artificiale nell’agenda di Donald Trump, basta guardare la sua squadra per avere un’idea chiarissima di come la tecnologia e le grandi aziende si stiano facendo strada nel cuore della politica. La delegazione che ha incontrato il Principe Ereditario saudita Mohammed bin Salman ci dà una cartina tornasole perfetta. Tra i nomi che saltano subito agli occhi, spiccano quelli legati a colossi della tecnologia e della finanza, quelli che in un mondo ideale dovrebbero stare ben lontani dai palazzi del potere. Ma come ben sappiamo, l’idealismo è un lusso che pochi si possono permettere.

OpenAI e il centro dati in UAE: tra chip, geopolitica e la diplomazia del silicio

Mentre Donald Trump sbarca nel Golfo con il suo entourage di miliardari, OpenAI valuta l’espansione in Medio Oriente con un nuovo centro dati negli Emirati Arabi Uniti. Un’operazione che, più che una semplice mossa infrastrutturale, sembra un’abile partita a scacchi tra tecnologia, geopolitica e interessi economici.

La decisione di OpenAI di considerare un centro dati negli Emirati non è casuale. Con Sam Altman presente nella regione, l’azienda mira a consolidare la sua presenza in un’area strategica, sfruttando le opportunità offerte dalla recente apertura degli Stati Uniti all’esportazione di chip avanzati NVIDIA verso il Golfo. Un cambiamento di rotta rispetto alle restrizioni imposte durante l’amministrazione Biden.

Google vuole comprarsi il futuro

Senza nemmeno suonare il gong, Google entra nella gabbia dell’intelligenza artificiale con l’ennesima trovata, mascherata da filantropia tecnologica: l’AI Futures Fund. Un nome da romanzo cyberpunk di serie B, ma con dentro il solito schema di colonizzazione strategica: capitali, risorse, controllo. Questa volta però non si parla di acquisizioni muscolari alla “dammi la tua startup e ti compro pure il cane”, ma di una seduzione più sottile. Il fondo non ha scadenze, non segue coorti, non chiede pitch al minuto. È sempre aperto, sempre pronto. Tipo l’occhio di Sauron, ma con badge di Google Cloud.

La nuova era della pubblicità su Amazon: un esperimento inquietante nell’intelligenza artificiale

Immagina di essere incollato alla TV, completamente immerso in una serie che ti sta tenendo col fiato sospeso. L’inseguimento in auto è al culmine, e proprio mentre l’auto dei protagonisti sterza per evitare un precipizio, l’inquadratura si ferma per fare spazio a una pubblicità. Ma non una pubblicità qualsiasi: no, questa è un’opera d’arte dell’intelligenza artificiale. La macchina riconosce il contesto e, come per magia, ti propone un’auto sportiva che scivola sulle curve con la stessa grazia del tuo protagonista preferito. Amazon, ovviamente, è all’avanguardia in questa follia.

Alphabet, l’intoccabile che zoppica: l’AI scotta e Wedbush si tira indietro

C’era una volta Google. Poi è arrivato Alphabet, un castello di sabbia costruito per tenere insieme motori di ricerca, sogni quantistici e pubblicità da miliardi. Adesso? Si comincia a scricchiolare sotto il peso della stessa creatura che avrebbe dovuto garantire l’immortalità: l’intelligenza artificiale. E quando perfino Wedbush – uno di quei nomi che sussurrano consigli agli orecchi di hedge fund e istituzionali – decide di toglierti dalla sua Best Ideas List, è il segnale che il mercato sente puzza di bruciato, anche se la grigliata è ancora accesa.

SoftBank e il sogno da 100 miliardi per l’AI Americana: tra tariffe Trumpiane, deepfake economici e debiti da cartone animato

Benvenuti nel nuovo circo dell’intelligenza artificiale, dove i numeri sono sempre a dodici zeri, le promesse galleggiano sopra le nuvole, e i capitali reali… quelli si fanno attendere. SoftBank, che già da anni gioca a Risiko con le startup globali, aveva annunciato con enfasi quasi hollywoodiana un investimento da 100 miliardi di dollari per costruire infrastrutture AI negli Stati Uniti. Un piano epocale. Poi è arrivato il “solito imprevisto”: Donald Trump, e le sue tariffe stile Medioevo 4.0.

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