“Lo avevamo detto che sarebbe finita così.” È una frase che suona tanto da vecchio prof di sistemi informativi, ma è esattamente quello che viene da pensare leggendo l’ultima ricerca pubblicata da Cloudflare. Nel mirino c’è Perplexity, il motore di risposta AI che si è guadagnato negli ultimi mesi un posto tra i protagonisti della corsa al dominio dell’informazione generativa. Ma dietro le quinte, secondo i dati analizzati, il suo comportamento non è solo aggressivo. È subdolo. Ed è in aperta violazione delle regole non scritte (e scritte, nel caso dell’RFC 9309) su cui si basa la fiducia nella rete.

Cloudflare, che con la sua Connectivity Cloud protegge oltre 20 milioni di proprietà digitali, ha smesso di considerare Perplexity un bot “verified” dopo aver scoperto una serie di attività decisamente scorrette. Non parliamo di semplici eccessi di zelo da parte di un crawler troppo affamato. Qui si entra nel campo della dissimulazione intenzionale, del bypass deliberato dei meccanismi di autodifesa dei siti e della raccolta di dati anche laddove erano stati esplicitamente vietati. La keyword è chiara: stealth crawling.