Nelle redazioni americane l’aria si sta facendo elettrica. E non solo per il continuo ronzio dei modelli linguistici che iniziano a insinuarsi fra riunioni di redazione, bozze e lavoro di desk. Il vero cortocircuito lo ha acceso Politico, dove un arbitrato ha stabilito che il management ha violato le clausole sull’adozione dell’intelligenza artificiale previste dal contratto sindacale. Una decisione che non è solo una vittoria per i giornalisti del NewsGuild, ma un campanello che risuona ben oltre Washington, perché parla del futuro del lavoro giornalistico e del fragile equilibrio tra velocità tecnologica ed etica dell’informazione.
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Non finiscono i guai per Perplexity. Dopo la battaglia legale con il New York Times negli Stati Uniti, la società americana si ritrova ora a difendersi anche davanti al Tribunale Civile di Roma, dove ha preso forma la prima causa italiana per violazione di copyright legata all’intelligenza artificiale. Una coincidenza temporale che assomiglia più a un cambio di stagione che a un semplice episodio giudiziario. E che racconta, ancora una volta, quanto velocemente il fronte dei media stia reagendo all’avanzata dei modelli generativi.
Il New York Times rientra in aula e questa volta il tribunale si trasforma nel teatro di una disputa che promette di rimettere mano alle regole dell’economia dell’informazione. A finire nel mirino questa volta è Perplexity, la startup di ricerca conversazionale che ha conquistato l’attenzione degli utenti e la preoccupazione crescente degli editori. L’accusa è una di quelle che non passano inosservate: violazione di copyright e sfruttamento non autorizzato dei contenuti del quotidiano. Ma sotto la superficie legale si muove qualcosa di ben più grande e inevitabile. Vediamo di cosa si tratta.
Quest’anno, il tema ufficiale della Fiera del Libro di Francoforte 2025, che si è svolta il mese scorso è stato “Ponti di libertà”. Ma a detta degli editori, quei ponti sembrano costruiti su fondamenta digitali un po’ instabili, mentre il traffico che ci scorre sopra è monopolizzato dai soliti colossi Usa, Google, Microsoft e Amazon in primis, assieme ai loro cugini cinesi.
Chi si occupa di informazione digitale sta assistendo, con una certa apprensione, ad una sorta di terremoto silenzioso. Dal lancio delle panoramiche AI (“AI Overviews”) di Google nel maggio 2024, il numero di ricerche di notizie che non porta a nessun clic su siti editoriali è cresciuto dal 56% al 69%. Un segnale chiaro: sempre più persone ricevono le risposte che stanno cercando direttamente nei risultati dei motori di ricerca, senza che sia alcun bisogno di visitare i siti d’origine delle informazioni stesse. Questo scenario fa il pari con la drastica riduzione del traffico organico verso i siti editoriali che è passato da oltre 2,3 miliardi di visite nel 2024 a meno di 1,7 miliardi in questi primi mesi del 2025. Un calo che fa riflettere perché alla sua base non c’è solo un tema di cambiamento tecnologico, ma un vero e proprio cambio di paradigma nelle abitudini di consumo dell’informazione.