C’è un paradosso che ha accompagnato la scienza per decenni. Abbiamo costruito smartphone che sostituiscono dieci strumenti da ufficio, automobili che aggiornano il software mentre dormiamo e satelliti che fotografano la nostra coscienza dall’alto, ma per definire le unità elettriche ci siamo aggrappati a un rituale quasi liturgico fatto di più dispositivi, laboratori separati e una processione di scienziati che si passavano risultati come reliquie medievali. Ora, all’improvviso, appare un singolo quantum device capace di definire simultaneamente ampere, ohm e volt. Una rivoluzione silenziosa che trasforma la misurazione in un atto quasi filosofico, mentre a NIST si compie quella che molti chiamano senza pudore “la pietra filosofale della quantum metrology”.
La vecchia scuola, tanto celebrata quanto inefficiente, si basava sulla separazione. Per misurare corrente serviva un apparato, per resistenza un altro, per tensione un terzo. Gli stessi scienziati sapevano che era un gioco di prestigio costoso e lento, con un margine d’errore che puzzava di compromesso. I laboratori dovevano coordinarsi come un’orchestra che suona in stanze separate, sperando che il direttore d’orchestra fosse onnisciente. E mentre l’industria globale si spostava verso standard di precisione maniacale, il cuore delle unità elettriche rimaneva un patchwork di strumenti scollegati.