Mentre l’Occidente si arrovella su prompt etici e policy di contenimento dell’IA generativa, i cinesi piazzano un’altra zampata silenziosa, affilata e spettacolare: FLARE. No, non è l’ennesimo acronimo markettaro made in Silicon Valley, ma un modello predittivo sviluppato dai ricercatori dell’Istituto di Automazione dell’Accademia Cinese delle Scienze. Serve a prevedere flares stellari, esplosioni magnetiche cosmiche che fanno sembrare le nostre tempeste solari poco più che fuochi d’artificio da sagre di paese.
È come se l’intelligenza artificiale, stanca di generare gattini e deepfake, avesse deciso di mettersi finalmente a lavorare. Sulla struttura delle stelle.
FLARE il nome pare scelto apposta per suonare brillante è stato progettato in tandem con l’Osservatorio Astronomico Nazionale cinese. E non si limita a “guardare il cielo”: lo analizza, lo disseziona, lo prevede. Non con stregoneria astrologica da oroscopo, ma con qualcosa di più cinico e spietato: ScienceOne, la piattaforma d’intelligenza integrata che sta diventando il cuore occulto della ricerca scientifica cinese, il loro “Palantir celeste”.
Perché i flare stellari sono così importanti? Perché ogni esplosione magnetica su una stella è un microcosmo di dati su rotazione, massa, età e umore magnetico. Studiare i flare significa decifrare il DNA cosmico delle stelle, e con esso, il potenziale di abitabilità di quei puntini nel cielo che tanto ci piace sognare come “esopianeti”. In altre parole, FLARE non predice solo il tempo sulle stelle: predice dove potremmo vivere un giorno o dove moriremmo fritti da un’esplosione elettromagnetica, se ci illudessimo troppo.
Ma finora, la realtà era questa: pochi dati, troppe variabili, modelli troppo lineari per una danza cosmica fatta di caos e fluttuazioni. FLARE spezza questa barriera con un’architettura AI che combina soft prompt modules (che suona come un eufemismo gentile per “intelligenza addestrata a stare al proprio posto”) con un altro marchingegno dal nome sexy: residual record fusion modules. Tradotto dal cinesismo tecnico: incrociamo proprietà fisiche delle stelle con i loro precedenti esplosivi. Come un profiler dell’FBI del cosmo.
Ora, se tutto questo ti pare solo una bella dimostrazione accademica per impressionare qualche conferenza spoiler: è stata accettata al top mondiale, l’International Joint Conference on Artificial Intelligence è il momento di cambiare tono. Perché FLARE ha una caratteristica che lo rende un’arma scientifica ad alta precisione: l’adattabilità.
La stessa stella, con variazioni diverse di luminosità? Nessun problema. Il modello prevede lo scoppio con una precisione che suona quasi offensiva per le previsioni meteo terrestri. Ma qui non stiamo parlando di sapere se domani piove a Rimini. Parliamo di prevedere quando una stella a 500 anni luce potrebbe sputare plasma e radiazioni. Il tutto, basandosi su curve di luce. Un po’ come se qualcuno riuscisse a prevedere le esplosioni sociali future leggendo gli analytics di TikTok. Ma senza l’idiozia.
Ovviamente, i dati scarseggiano. Ma la Cina, come spesso accade, non si lascia frenare da dettagli come la scarsità: crea modelli capaci di sfruttare anche dataset parziali, massimizzando il segnale utile tra il rumore cosmico. Cosa che l’Occidente fa solo quando deve taroccare i KPI trimestrali per gli shareholder.
Chen Yingying, ricercatrice all’Istituto, lo dice con la calma tipica dei cinesi che sanno di aver costruito qualcosa di serio: “FLARE riesce a fare previsioni precise anche su stelle con comportamenti di variabilità differenti.” In altre parole, questo modello ha imparato a leggere le nevrosi magnetiche di ogni stella, anche le più bipolari.
Ma l’elemento più interessante, e che pochi osano dire apertamente, è che FLARE non è solo uno strumento scientifico. È un acceleratore geopolitico. Perché chi controlla la previsione cosmica, controlla i protocolli di protezione delle future missioni spaziali, le orbite dei satelliti intelligenti, la sorveglianza dello spazio profondo. Insomma, la prossima guerra non sarà per il petrolio, ma per l’affidabilità dei dati stellari. E chi vince non sarà chi guarda per primo, ma chi prevede meglio.
La Cina lo ha capito. E mentre gli USA litigano sul copyright delle AI, e l’Europa si arrabatta con la AI Act cercando di mettere guinzagli a modelli che corrono già, Pechino lancia occhi digitali verso il cielo.
FLARE non è solo un software. È un messaggio. Un “sappiamo dove guardare, e quando farlo”. Ed è, in fondo, un atto di superbia algoritmica: la convinzione che anche l’universo, se addestrato con i dati giusti, possa diventare prevedibile.
O almeno, abbastanza da permetterci di costruire qualcosa sulle sue fondamenta incandescenti.
Come diceva Arthur C. Clarke: “Qualsiasi tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.” Ma quella magia, oggi, parla cinese. E predice le esplosioni delle stelle.