
Non sarai più ricordato per ciò che hai scritto, ma per come sarai riassunto. Niente più headline su Google, niente più rincorsa al primo risultato organico. Il tuo nuovo obiettivo non è una posizione, ma una frase. La frase che l’intelligenza artificiale generativa sceglierà per raccontarti al mondo. Il tuo marchio, la tua competenza, la tua reputazione, tutto condensato in un box sintetico, spesso senza link, dentro un motore cognitivo che sta cambiando il modo in cui le persone cercano e decidono. Benvenuto nella nuova filiera della visibilità: dalla SEO alla SGE, fino alla GEO.
La SEO, ottimizzazione per i motori di ricerca, è stata il dogma digitale per due decenni. Ogni brand, ogni media company, ogni consulente ha basato la propria sopravvivenza sulla capacità di intercettare query testuali e farsi trovare nelle SERP. Ottimizzazione on-page, keyword density, backlink strategy. Tutto questo oggi non basta più. Perché Google stesso sta mutando pelle. Con l’introduzione della SGE (Search Generative Experience), il motore di ricerca non si limita più a presentare risultati. Sintetizza. Interpreta. Risponde.
La SGE è la nuova interfaccia cognitiva con cui Google media l’informazione. Utilizza modelli generativi avanzati per rispondere direttamente all’utente con contenuti riassuntivi che si posizionano sopra la SERP tradizionale. Secondo quanto dichiarato da Alphabet nel Google I/O 2024, questa funzione sta già diventando la modalità predefinita per oltre il 65% delle ricerche effettuate negli Stati Uniti. La proiezione per l’Europa è chiara: entro il primo trimestre del 2025, l’AI Overview sarà attiva in modo sistematico anche sui mercati EMEA, con oltre 2 miliardi di utenti mensili coinvolti globalmente.
Quando un utente effettua una ricerca, Google restituisce un paragrafo sintetico generato dall’AI che integra fonti editoriali, forum, siti verticali e contenuti pubblici ad alta autorevolezza. Non c’è più bisogno di cliccare. La risposta è lì. E la tua reputazione si gioca nel modo in cui l’AI decide di parlarti o ignorarti. Questo è il cuore della GEO, la Generative Engine Optimization.
A differenza della SEO, che ottimizza contenuti per il ranking, e della SGE, che rappresenta l’ambiente generativo in cui si sviluppa la ricerca, la GEO è la disciplina strategica emergente che si occupa di influenzare il modo in cui i modelli generativi sintetizzano le informazioni su di te o sul tuo brand. Si tratta di essere citati in contesti attendibili, su piattaforme che i LLM ritengono rilevanti, in modo che quando un utente chiede “chi è il miglior esperto di AI applicata nel retail” o “quali sono le aziende leader nel climate fintech”, il tuo nome emerga nella risposta generata dall’algoritmo.
Il punto non è tecnico. È filosofico. Nella SEO l’utente decideva cosa leggere. Nella GEO, decide l’algoritmo cosa mostrare. E qui entra in gioco l’anchor bias, quel meccanismo psicologico per cui tendiamo ad accettare come valida la prima informazione che riceviamo. Quando l’AI ci dà una risposta solida, sintetica, autorevole il nostro cervello la fissa come riferimento. Il 78% degli utenti, secondo uno studio condotto da MIT Sloan School of Management, non scorre nemmeno oltre il primo paragrafo se percepisce la risposta come “completa”.
I dati che mostrano la portata di questo spostamento sono lampanti. Secondo una recente ricerca pubblicata da Gartner, oltre il 95% delle fonti usate nei riassunti generati da AI non sono contenuti sponsorizzati. Il 61% proviene da media editoriali ad alta reputazione. Solo il 3% dei contenuti citati è prodotto da canali brandizzati diretti. In altre parole, il paid advertising sta perdendo ogni rilevanza nella costruzione della visibilità organica all’interno delle AI. Le relazioni pubbliche digitali, il brand journalism, le citazioni spontanee, le collaborazioni con riviste di settore, i forum curati e i contenuti basati su esperienza reale stanno invece esplodendo di valore.
Per chi lavora sulla reputazione, questa è una rivoluzione copernicana. Il personal branding non può più essere solo una questione di post ben scritti su LinkedIn. Deve diventare un gioco di “leggibilità computazionale”. Le AI non leggono come noi. Pesano autorevolezza, frequenza, coerenza semantica. Capiscono se un contenuto è originale o ridondante. Riconoscono se un autore è un esperto o un parassita del web. E sì, filtrano ciò che ritengono manipolativo, privo di contesto o scarsamente utile. L’ottimizzazione quindi si sposta su nuovi assi: citabilità, coerenza narrativa, pertinenza tematica.
Alcune aziende hanno già capito tutto. Stanno costruendo veri e propri ecosistemi AI-native, progettati per parlare tanto agli utenti quanto agli algoritmi. Producono articoli di thought leadership per riviste ad alto trust, partecipano attivamente a community verticali (Reddit, Stack Overflow, GitHub, XDA), curano con attenzione le descrizioni dei propri prodotti e servizi, ma soprattutto pubblicano contenuti destinati a diventare fonte, non promozione. La differenza è sostanziale. Una fonte viene citata. Una promozione viene saltata.
La GEO richiede una regia nuova, una strategia che non si limita più alla performance, ma che mira all’influenza semantica. I contenuti devono essere progettati per diventare risposta. E la velocità di adattamento conta più che mai. Mentre le aziende più lente stanno ancora cercando l’esperto SEO “che ci posizioni bene su Google”, i competitor sono già nel summary. E ci resteranno.
Questa trasformazione ha implicazioni dirette anche per chi si occupa di comunicazione istituzionale, per i portavoce aziendali, per i manager in cerca di visibilità. La GEO non è un’opzione. È una condizione di esistenza. Se il tuo nome, la tua azienda, il tuo punto di vista non compaiono nei contenuti generati dagli LLM, allora semplicemente non esisti nella mappa cognitiva del tuo pubblico.
Il cambiamento non è futuro. È presente. Ogni giorno milioni di ricerche generano risposte AI che vengono lette, archiviate mentalmente e usate come base per decisioni personali e professionali. Che si tratti di scegliere un consulente, un software, un brand di scarpe o una soluzione cloud, l’informazione sintetica vince sulla ricerca tradizionale. Non perché sia migliore. Ma perché è più veloce.
Marshall McLuhan ci aveva avvertiti: “We shape our tools and thereafter our tools shape us”. Le AI sono i nuovi strumenti. Stanno già riscrivendo la percezione collettiva e se non stai costruendo una presenza progettata per essere sintetizzata, sei destinato a essere dimenticato. In silenzio. Senza nemmeno un click.
Contattaci.