Cosa accade quando un algoritmo sa cosa venderà prima ancora che venga disegnato? Succede che l’intuizione umana viene ridotta a un parametro, la creatività a una probabilità, e la moda—quella imprevedibile, volubile e umorale—diventa una scienza predittiva gestita da un’intelligenza artificiale cinese. Succede tutto questo a Hangzhou, nella silicon valley del Dragone, dove una start-up fondata nel 2018 sta riscrivendo il manuale della fashion industry globale. Il suo nome è Hangzhou Zhiyi Technology, e il suo verbo è: data.
In un’epoca in cui il fast fashion ha già tracciato le coordinate della velocità estrema, Zhiyi Tech promette qualcosa di ancora più radicale: velocità predittiva. Non solo produrre in fretta, ma produrre ciò che venderà di sicuro. E lo fa fornendo a colossi come Nike, Gap e Urban Revivo un arsenale di strumenti capaci di divorare dati dai marketplace cinesi (Taobao, Tmall), occidentali (Amazon, Shein, Temu), e dai social che dettano legge tra Gen Z e Alpha (TikTok, Instagram, Douyin).
Il cuore di tutto è un software chiamato Zhiyi – letteralmente “capire i vestiti”. Ma a ben vedere, qui si tratta di capire molto di più: comportamenti, pattern d’acquisto, desideri impliciti. Zhiyi è l’algoritmo che non dorme mai, che veglia sulle vendite dei concorrenti, monitora le recensioni, segnala i trend nascosti, elabora grafici, genera insight. E li trasforma in indicazioni concrete: fai più sneakers bianche, aumenta i top in mesh color lavanda, ritarda la produzione di pantaloni a zampa.
Un esempio? Urban Revivo, il fast fashion cinese che tenta di imitare Zara e H&M in patria, ha migliorato il proprio sell-through rate (cioè quanto vende davvero rispetto a ciò che produce) dal 60 all’80% in tre anni, solo affidandosi ai suggerimenti dell’IA. E se pensate che sia un caso isolato, considerate che questa stessa AI ha supportato Nike nella scelta delle palette cromatiche per le scarpe da palestra o per decidere se una sneaker da trekking debba essere alta o bassa.
Questa è moda guidata da modelli linguistici, dove GPT non è solo un acronimo da Silicon Valley, ma una nuova musa. Ed è qui che entra in scena Fashion Diffusion+, il prodotto che simula la creatività attraverso prompt testuali: scrivi “giacca oversize futuristica con tessuto argento liquido e dettagli cyberpunk” e in pochi secondi hai un’immagine iperrealistica con modella virtuale inclusa. Non serve nemmeno più un disegnatore. Basta un product manager con una tastiera e una vaga idea.
Nel frattempo, mentre in Europa le maison storcono il naso davanti a questi oracoli digitali, Zhiyi Tech prepara il lancio globale. Con Trendscopes, la sua piattaforma per brand esteri, già analizza i flussi modaioli su Shein, Temu, Amazon e TikTok. E la penetrazione extra-Cina cresce: oggi è il 10% del mercato dell’azienda, concentrata su Giappone e Corea del Sud, ma il piano è chiaro. L’AI cinese non vuole solo ottimizzare la moda: vuole dettarla.
Il CEO Zheng Zeyu, ex Google e laureato Carnegie Mellon, non è il solito startupper con felpa e storytelling buono per Davos. Ha venduto la sua prima creatura, Caicloud (AI per infrastrutture), direttamente a ByteDance, il colosso di TikTok. Non crede nel genio individuale, crede nell’ingegnerizzazione della creatività. E i numeri gli danno ragione: tra marzo e maggio, le immagini generate da Fashion Diffusion+ sono aumentate del 50% mese su mese. Il messaggio subliminale è: se non ti adegui, resti fuori.
Nel frattempo, l’azienda si prepara a lanciare anche un AI agent, una sorta di assistente virtuale capace di eseguire compiti complessi con un solo comando. Obiettivo? Automatizzare tutto: dall’analisi all’ideazione, fino alla produzione e al go-to-market. Dalla boutique alla fabbrica, passando per il feed Instagram.
Quello che sta accadendo è più di un’innovazione tecnologica: è una dislocazione dell’epicentro creativo. La moda, una volta emanazione aristocratica o ribelle, passa ora attraverso le griglie di un software allenato su milioni di like e carrelli abbandonati. Paradossalmente, proprio mentre il mondo occidentale si interroga sul rischio che l’AI distrugga l’autenticità, la Cina risponde: e chi ha tempo per l’autenticità, quando possiamo vendere tutto prima ancora che venga desiderato?
È la supremazia del “pre-visto”, la dittatura dell’algoritmo predittivo. E nel contesto di un mercato AI domestico da 5.6 trilioni di yuan entro il 2030, supportato da politiche statali ben calibrate, questa transizione non è solo possibile. È inevitabile.
“Non siamo qui per sostituire i designer, ma per dar loro superpoteri”, dice Zheng con quella flemma da ingegnere prestato al capitalismo visivo. Ma il sottotesto è chiaro: se un algoritmo è più bravo a scegliere il prossimo colore di stagione di quanto lo sia un creativo in carne e ossa, forse è ora che anche l’ispirazione si faccia auditabile.
La moda ha sempre inseguito il futuro. Questa volta, sembra che il futuro l’abbia presa in ostaggio.