Pechino, luglio. Il termometro schizzerà sopra i 35 gradi, ma non sarà solo colpa del clima monsonico. La temperatura vera sarà quella che si respirerà tra gli stand climatizzati della China International Supply Chain Expo, dove – sorpresa? – farà il suo debutto una delle multinazionali americane più sorvegliate dell’era digitale: Nvidia.
Quella Nvidia che Washington tenta di tenere al guinzaglio con regolamenti tagliati su misura, come si fa con un cane che morde troppo forte. Quella Nvidia che, tra un H100 proibito e un H20 castrato, adesso prepara un nuovo giocattolo per Pechino: il B30, una versione “compliant” con le restrizioni americane, un chip in stile Giano bifronte, progettato per obbedire a due padroni che si detestano.
Benvenuti nel capitalismo quantistico, dove si è contemporaneamente alleati e avversari, partner e rivali, fornitori e sabotatori.
Mentre il Dipartimento del Commercio USA applica le cesoie alla tecnologia avanzata destinata alla Cina, Nvidia decide di presentarsi proprio lì, in carne, silicio e transistor, nella capitale del regime a cui – ufficialmente – non dovrebbe neanche vendere i suoi prodotti di punta. La notizia fa rumore, ma non quanto dovrebbe. Perché in un’epoca dove l’intelligenza artificiale ha più passaporti dei diplomatici, la vera partita si gioca sottotraccia: lungo le rotte della supply chain globale.
Yu Jianlong, il volto serafico del China Council for the Promotion of International Trade, ha già lucidato le sue dichiarazioni per la stampa: “Una prova di fiducia nella catena di approvvigionamento cinese”. Come se 100 aziende americane ed europee avessero deciso di fare un pellegrinaggio industriale a Pechino per ammirare la Belt and Road delle merci digitali, incuranti delle sanzioni e dei dazi.
In realtà, quello che si sta giocando è un raffinato teatro strategico. L’aumento del 15% delle aziende statunitensi presenti alla fiera rispetto al 2024 non è una coincidenza. È l’equivalente industriale di un messaggio cifrato: il decoupling è uno slogan per i talk show, ma nella realtà la disaccoppiata è più simile a un ballo lento che a una rottura.
Nel frattempo, Nvidia non solo partecipa, ma potrebbe anche utilizzare l’evento come palcoscenico simbolico per lanciare ufficialmente il B30, il suo chip “addomesticato” per il mercato cinese. Come dire: voi ci tagliate i ponti, noi ve li ricostruiamo con materiali regolamentari.
Un gesto che può essere letto in due modi: come una sfida alle sanzioni, oppure come un’opera di equilibrismo per non perdere la seconda economia mondiale come cliente. Ma la Cina non è più solo cliente: è competitor, replicatore, spesso imitatore e – sempre più spesso – creatore indipendente.
Basti pensare ai più di 100 nuovi prodotti che verranno presentati durante la fiera. Tra questi, le creature meccaniche della Unitree Robotics di Hangzhou – robot umanoidi che danzano meglio di un junior product manager in cerca di stage – o i sistemi digitali per la manifattura avanzata che guardano con malcelata ambizione all’egemonia industriale tedesca.
Nel frattempo, l’America non sta a guardare. Il Bureau of Industry and Security ha lanciato nuove linee guida per impedire l’uso globale di chip AI cinesi avanzati, con l’intento – mai troppo nascosto – di isolare Pechino dal training dei suoi modelli AI. Il paradosso? Molti di quei modelli, oggi, si addestrano su hardware americano acquistato prima del blocco, o ancora peggio, via triangolazioni da paesi terzi che sanno bene come aggirare i controlli. Welcome to the global gray market.
E Pechino risponde con il suo solito manuale da guerra asimmetrica legale: attiverà le sue leggi contro le sanzioni straniere. In parole povere, chiunque – individuo o azienda – contribuirà ad applicare i divieti americani rischia di diventare persona non grata. Un cartellino rosso in pieno stile FIFA, ma senza la moviola.
E in questo intrico di sanzioni, ritorsioni, restrizioni e fiere con buffet senza microchip, Nvidia danza sul filo del rasoio come una tightrope walker della geopolitica: troppo americana per essere ben vista da Pechino, troppo presente in Cina per non irritare Washington.
A voler essere cinici – ed è doveroso esserlo – si potrebbe dire che la presenza di Nvidia a Pechino è la miglior dimostrazione del fallimento del concetto di “decoupling”. La globalizzazione non si spezza con un decreto: si deforma, si contorce, si camuffa. E mentre i politici parlano di sicurezza nazionale, le aziende fanno i conti. E i conti, almeno finora, dicono che la Cina resta una tappa obbligata nella catena del valore tecnologico.
Curioso notare come proprio mentre Nvidia è costretta a vendere chip castrati a Pechino, le startup cinesi stiano tentando – spesso con successo – di progettare GPU domestiche per l’addestramento AI. Non sono ancora al livello degli A100, ma nemmeno troppo lontane. E se la storia dell’hi-tech ci ha insegnato qualcosa, è che le imitazioni diventano presto innovazioni.
Chiudiamo con una nota ironica che avrebbe fatto sorridere persino Alan Turing: mentre Nvidia si prepara a presentare il suo chip B30, “compliant” e innocuo, nella stessa fiera potrebbero esserci startup cinesi che stanno già testando hardware capaci di eseguire operazioni comparabili… acquistando chip di fascia media, e moltiplicandone le prestazioni con modelli distribuiti.
La supply chain, dopotutto, è come l’acqua: trova sempre una via. Anche quando la geopolitica costruisce dighe.