Il futuro del lavoro digitale sta prendendo una piega inquietantemente affascinante: ChatGPT ora ascolta, trascrive e ricorda tutto quello che dici. No, non è un film distopico. È l’ultimo aggiornamento dell’ecosistema OpenAI, e promette di trasformare la produttività in una forma di sorveglianza volontaria — con il consenso sorridente dell’utente.

Immagina di essere in una riunione il lunedì mattina, mezzo caffè in circolo, mentre parli del roadmap Q3. ChatGPT ti ascolta. Letteralmente. Registra fino a 120 minuti di conversazione per sessione, crea trascrizioni live, ti restituisce un riassunto strutturato su canvas, e poi — colpo di genio — può generare un’email, un piano di progetto o perfino codice funzionante a partire da quanto appena detto. Nessuna nota, nessuna fatica, nessun post-it.

Ecco la vera rivoluzione: la memoria contestuale cross-conversazione. Tradotto? ChatGPT si ricorda quello che hai detto lunedì e lo può riutilizzare giovedì, in un’altra conversazione, magari mentre discuti con il CFO se usare Mongo o Postgres. Il tutto senza quel classico momento di vuoto cerebrale da “me lo avevi già detto?”. No, ChatGPT non dimentica. Mai.

Il cuore di questa nuova funzionalità batte su macOS, ed è gratis per utenti Pro, Team, Enterprise ed Education (per ora). Ma attenzione, perché la multi-speaker detection apre scenari molto più ampi: ora può identificare chi sta parlando e costruire una mappa semantica delle voci, utile tanto in una board call quanto in una sessione brainstorming tra sviluppatori. Naturalmente, l’audio viene cancellato automaticamente dopo la trascrizione. O almeno, così dicono.

C’è un’ironia in tutto questo. Per anni ci siamo preoccupati che le AI non avessero “memoria”, che vivessero nella bolla effimera della singola richiesta. Ora che ricordano, in molti sentiranno un brivido lungo la schiena. Perché questa non è solo efficienza: è una nuova forma di intelligenza collettiva delegata, in cui l’essere umano outsourcing la propria memoria a un assistente che non dorme, non si distrae e non interpreta male.

È il superpotere che ogni CEO ha sempre desiderato: un compagno virtuale infallibile, immune da bias cognitivi e sviste umane. Eppure, il prezzo da pagare non è (ancora) in dollari: è psicologico. Sapere che ogni parola può essere archiviata, estratta e ricombinata su richiesta introduce una nuova forma di autocensura. Se ogni idea detta a voce può diventare codice, policy o decisione aziendale, ogni parola inizia ad avere un peso diverso. Quasi una valuta.

Chi lavora nel tech sa bene quanto tempo si perda a cercare “cosa avevamo detto quella volta?”. ChatGPT elimina il problema alla radice. Ma in cambio, crea un flusso di lavoro che presuppone la sua presenza costante. E non è un caso: si sta costruendo un nuovo layer di OS mentale, dove le API del nostro pensiero sono continuamente chiamate da un copilota che ci conosce fin troppo bene.

I detrattori diranno che questo è l’inizio del tracciamento cognitivo. I fautori grideranno all’era della vera produttività. Ma in fondo, la verità sta nel mezzo — e la scelta, per ora, è tua. Anzi no, del tuo workspace admin, perché è lui che decide se questa feature si attiva o no.

Un giorno, i tuoi nipoti ti chiederanno: “Ma davvero vi prendevate appunti a mano?”. E tu, con un mezzo sorriso e un nodo alla gola, potrai rispondere: “Sì, prima che le AI iniziassero ad ascoltarci… sempre.”

Nel frattempo, inizia a pensare: cosa dirai oggi che potrebbe tornarti utile fra tre mesi?

O peggio: cosa hai già detto e ti sei dimenticato?
ChatGPT no. Lui se lo ricorda.