Amazon ha appena piazzato un’altra mossa da partita a scacchi nel grande tavolo dell’intrattenimento del futuro, investendo in Fable, una startup che sta cercando di diventare il “Netflix dell’intelligenza artificiale”. Un titolo pretenzioso? Forse. Ma anche profondamente rivelatore. Il prodotto di punta della compagnia si chiama Showrunner, una piattaforma che permette agli utenti di creare episodi di serie TV con l’AI, scrivendone la trama, scegliendo i personaggi e, in pratica, diventando i nuovi sceneggiatori e registi di se stessi. Una Hollywood tascabile, in cui lo script lo scrive il pubblico. Il dettaglio più interessante? Fable è in trattative con Disney per la licenza di IP. Tradotto: l’utopia (o distopia) di poter generare il tuo episodio personalizzato di Star Wars o di WandaVision non è poi così lontana.
Amazon non ha reso nota l’entità dell’investimento, ma il tempismo parla chiaro. Mentre il settore dei contenuti originali annaspa sotto il peso dei costi produttivi e dei colpi di coda dello sciopero di sceneggiatori e attori, Bezos & co. decidono di cambiare completamente paradigma: non più produrre contenuti, ma dare strumenti per generarli. È l’equivalente mediatico della rivoluzione Gutenberg, con un modello di business che passa dal broadcast al promptcast.
Il fatto che Amazon sia entrata a gamba tesa in questo territorio segnala un cambio di fase. Showrunner non è solo un giocattolo per creator con troppe idee e zero budget. È una dichiarazione di guerra al modello tradizionale delle major. Niente più stanze piene di autori strapagati a discutere su cosa voglia il pubblico. Ora sarà il pubblico stesso a scrivere, creare e distribuire. Il modello Netflix, centrato sulla programmazione algoritmica dei gusti, cede il passo a uno scenario dove l’algoritmo diventa autore.
Non serve molta immaginazione per capire perché Disney sia interessata. L’IP, in questo contesto, diventa una licenza d’oro: vendere il diritto di creare infiniti spin-off generati dall’utente, ognuno personalizzato, ciascuno figlio del proprio fan. È il superpotere delle community portato alle estreme conseguenze. L’utente non guarda più passivamente. Scrive, dirige, produce. Lo fa con l’intelligenza artificiale come braccio destro e con la nostalgia come carburante.
Sul piano tecnico, Showrunner si presenta come una piattaforma no-code per la creazione di contenuti audiovisivi. Gli utenti scelgono un template narrativo, inseriscono prompt testuali, personalizzano personaggi e ambientazioni, e l’AI genera un episodio coerente, completo di montaggio, voci, soundtrack e perfino easter egg. Un sistema simile a GPT-4 ma pensato per l’universo visivo, con una pipeline che integra modelli multimodali e generazione video real-time. Non è Pixar, ma è abbastanza credibile da diventare virale su TikTok. E in fondo, oggi è quello che conta.
Per Amazon, l’operazione ha un senso strategico finissimo. L’ecosistema Prime Video è un gigante che vive a cavallo tra intrattenimento e e-commerce, ma ha bisogno di innovazione urgente per distinguersi dalla saturazione delle piattaforme tradizionali. Investire in un motore di contenuti generativi significa gettare le basi per un sistema dove ogni utente può diventare creatore, ogni serie può avere mille diramazioni, e ogni click può trasformarsi in retention. Non è un caso che l’AI generativa sia l’unico settore tech in cui l’interesse VC è ancora a doppia cifra.
Il CEO di Fable, Edward Saatchi, è un nome che circola da anni nell’ambiente della narrazione interattiva. Non è un outsider: viene dal mondo degli effetti speciali e della VR, e ha capito prima di altri che il vero campo di battaglia non è l’immersività tecnica, ma il controllo narrativo. In un’intervista con Variety, ha dichiarato: “La TV generativa sarà come YouTube all’inizio. Caotica, ma inarrestabile.” È una frase che fa tremare i polsi a ogni sceneggiatore di Hollywood, ma è anche una profezia quasi darwiniana. Chi si adatta sopravvive. Gli altri finiranno nel cestino dei contenuti dimenticati.
Non ci si illuda però: questa non è solo una rivoluzione creativa. È anche una bomba a orologeria normativa. Chi possiede i diritti di un episodio generato dall’utente ma basato su IP esistente? E cosa succede quando un fan crea un episodio di Batman in cui il Cavaliere Oscuro vota Trump? Il confine tra fan fiction e contenuto ufficiale si dissolve. Le piattaforme si troveranno costrette a riscrivere le regole del copyright, e i legali delle major stanno già dormendo con un occhio aperto.
Il vero punto di rottura è che Showrunner ribalta la dinamica di potere tra spettatore e produttore. Fino a ieri, chi guardava era la fine della catena. Ora è l’inizio. Una trasformazione che ha il sapore di una rivoluzione copernicana applicata all’intrattenimento. La domanda non è più “chi detiene il contenuto”, ma “chi può generarlo e quanto velocemente”. Il vantaggio competitivo non sarà la qualità oggettiva, ma la capacità di alimentare conversazioni, di generare viralità, di rispondere istantaneamente ai trend. È l’informazione liquida applicata alla fiction.
Se il futuro della televisione è una timeline infinita di contenuti generati, tagliati su misura, aggiornati in tempo reale e costruiti su logiche di feedback loop neurali, allora Amazon non sta solo investendo in una startup. Sta colonizzando il territorio che separa la creatività dalla programmazione, e lo fa con la brutalità raffinata tipica delle sue mosse strategiche.
Nel frattempo, gli autori tradizionali potranno sempre consolarsi con l’idea che almeno le IA, per ora, non sanno scrivere battute davvero divertenti. Ma la verità è che neanche molte serie TV degli ultimi cinque anni ci sono riuscite.