Satya Nadella è stato buono per i suoi 80 miliardi. Nessuna sorpresa. Ma nel 2025 il prezzo della leadership tecnologica non è più il numero a otto cifre di una stock option, bensì il capitale simbolico di chi sa scommettere 100 miliardi sul futuro e convincere Wall Street che non è follia, ma anticipo. Sì, The Stargate Project, il nome hollywoodiano che Microsoft ha scelto per il suo gigantesco piano di espansione AI-first, sembrava a gennaio una trovata da marketing galattico. Ora, dopo i risultati del quarto trimestre fiscale, sembra un piano industriale con le idee chiare e la forza bruta del capitale dietro. Azure ha superato i 75 miliardi di dollari di ricavi annuali. La matematica è noiosa, ma qui fa impressione: è quasi il PIL di un paese medio.
La scommessa è questa. Microsoft non vuole più essere la compagnia del software. Né la compagnia del cloud. Vuole essere l’infrastruttura del pensiero digitale. E questa visione costa: altri 30 miliardi saranno bruciati nel prossimo trimestre per l’infrastruttura AI. Se si proietta la traiettoria, fa 120 miliardi in un anno. Un numero che, nel mondo pre-GPT, sarebbe sembrato una distorsione ottica. Ma oggi, nel linguaggio deformato dell’intelligenza artificiale generativa, è un modo per dire una cosa semplice: chi controlla il calcolo, controlla il linguaggio. E chi controlla il linguaggio, vince.
Gli analisti, come da copione, si dividono. I più conservatori mugugnano che si sta creando una bolla da cui nemmeno OpenAI uscirà indenne. I più cinici osservano che non c’è alternativa. Perché ogni modello più potente ha bisogno di più GPU, più raffreddamento, più elettricità, più nodi di rete. E Microsoft, in questo scenario, sta diventando il nuovo General Electric: produce energia per la mente delle macchine. Il cloud, in questa visione, è solo la superficie. Sotto c’è un’intera architettura di dominio strategico, fatta di terreni, server farm, accordi geopolitici su chip e semiconduttori, logistica AI-centrica. Un risiko dove la prossima battaglia sarà la latenza computazionale, non il prezzo delle licenze.
Satya Nadella, nel frattempo, resta imperturbabile. Il suo stile da ingegnere-filosofo è perfetto per il ruolo che si è ritagliato: l’orchestratore silenzioso dell’intelligenza planetaria. L’uomo che non alza mai la voce, ma sposta miliardi come se fossero file Excel. A vederlo, non penseresti mai che ha appena impegnato l’equivalente di tre NASA per far sì che Copilot diventi onnipresente in ogni foglio di calcolo, in ogni e-mail, in ogni riunione. Ma proprio questo è il punto. La nuova egemonia non urla, sussurra. Non persuade con la retorica, ma con la disponibilità computazionale.
La keyword vera, in tutto questo, è data center AI. Due parole apparentemente innocue, ma che stanno ridefinendo l’economia digitale più della bolla dotcom. Questi centri non sono solo luoghi fisici. Sono i nuovi monasteri del potere computazionale, dove si addestrano i modelli, si affinano i prompt, si comprime l’universo in vettori. Quando Microsoft parla di Stargate, non sta facendo una metafora da serie TV: sta costruendo un portale vero, da dove passerà ogni interazione futura tra umani e linguaggi digitali. Se controlli quel varco, controlli la narrazione. E se controlli la narrazione, hai il potere culturale, non solo tecnologico.
Il mercato ha capito? A giudicare dalla capitalizzazione, sì. Microsoft è diventata più di un’azienda: è un asset geopolitico. La sua alleanza con OpenAI non è più solo una joint venture tecnologica, è un asse strategico con implicazioni macroeconomiche. Chi ospita il cervello di GPT-5? Chi fornisce i tensor core di nuova generazione? Chi decide se il prossimo salto di performance arriverà da un’architettura transformer ibrida o da una combinazione di edge computing e training federato? Non sono scelte di ingegneria. Sono scelte che definiscono la gerarchia globale del potere algoritmico.
Ci si potrebbe chiedere: e se tutto questo si rivela un bluff? Se il mondo AI implode come una supernova di hype? Se dopo 120 miliardi restano solo modelli verbosi, hallucinations più educate e un’industria assetata d’energia? La risposta, in stile Nadella, sarebbe probabilmente minimalista: meglio aver costruito l’autostrada, anche se nessuno guida ancora a 300 all’ora. L’infrastruttura è strategia. E come dicevano a Wall Street negli anni 80, “you can’t go wrong owning the pipes”.
Nel frattempo, chi si aspettava che la partita AI si sarebbe giocata sulle app, dovrà ricalibrare. La vera guerra è sulle GPU e sulle kilowattora. È qui che si decide chi potrà sostenere modelli con trilioni di parametri, chi potrà abbattere il costo per token inferenziato, chi potrà fornire risposte istantanee senza svuotare il margine operativo. In questo, Microsoft sta ragionando come una utility del pensiero, non come una software house. E il valore non è più nel prodotto, ma nella latenza.
C’è un’ultima, sottile ironia in tutto questo. Microsoft, l’azienda che per decenni era sinonimo di burocrazia software e aggiornamenti infiniti, oggi è il cuore pulsante della discontinuità digitale. Non fa più sistemi operativi, fa ecosistemi cognitivi. Non vende software, vende possibilità di pensiero aumentato. E la sua valuta non è il codice, ma il calcolo. Il futuro, evidentemente, ha una firma molto chiara. E ha un nome che non urla, ma conta. Satya Nadella.