Elon Musk minaccia di portare apple in tribunale per presunte violazioni antitrust, e lo fa con la sicurezza di chi ha già trasformato le conferenze stampa in show e le cause legali in parte integrante della propria strategia di marketing. Il bersaglio non è un dettaglio marginale, ma il cuore del potere di Cupertino: l’App Store e la sua capacità di decidere chi sale e chi resta giù nella scala della visibilità digitale.
La scintilla nasce da un’accusa precisa: Apple avrebbe creato un sistema di classifiche e sezioni curate che spinge in modo sproporzionato le app di OpenAI, relegando la concorrenza, incluso Grok e la stessa piattaforma xAI di Musk, a posizioni di secondo piano. Mentre ChatGPT troneggia al primo posto tra le app gratuite negli Stati Uniti, Grok si trova quinto, e soprattutto fuori dalla sezione “Must-Have Apps”, un’area vetrina che può determinare milioni di download in pochi giorni. Non è un caso che Musk definisca questa dinamica “una violazione antitrust inequivocabile”.
Il punto non è solo il piazzamento in classifica, ma l’integrazione stessa di ChatGPT a livello di sistema operativo, grazie a un accordo esclusivo tra Apple e OpenAI. In termini di concorrenza, significa che un utente con un iPhone ha un assistente AI preinstallato e promosso da Apple, e qualsiasi alternativa parte già con un handicap strutturale.
Da un punto di vista legale, Musk potrebbe basare l’azione sulla Section 1 dello Sherman Act, che proibisce accordi restrittivi della concorrenza, e utilizzare la retorica del “mercato chiuso” per trasformare una questione tecnica in un tema politico e mediatico. Dopotutto, la narrativa dell’eroe solitario contro il gigante tecnologico funziona sempre, e Musk lo sa benissimo.
Apple non arriva a questo scontro priva di ferite. Negli ultimi anni ha dovuto affrontare cause, sanzioni e ordini giudiziari che l’hanno costretta a rivedere alcune pratiche dell’App Store. La battaglia con Epic Games ha già messo in discussione le restrizioni sulle opzioni di pagamento esterne. L’Unione Europea le ha inflitto una multa da 500 milioni di euro per violazione del Digital Markets Act, accusandola di impedire agli sviluppatori di indirizzare gli utenti verso canali alternativi.
Quello che Musk tenta di fare è infilare la sua accusa in questa scia di precedenti, creando una pressione mediatica e regolatoria che renda più probabile una revisione delle policy di Apple.
In tutto questo, il tema centrale non è se Grok valga più o meno di ChatGPT, ma se il mercato dell’intelligenza artificiale possa essere lasciato nelle mani di poche piattaforme integrate verticalmente. Musk gioca su una verità scomoda: oggi chi controlla l’accesso e la visibilità delle applicazioni AI non controlla solo un business miliardario, ma anche l’infrastruttura stessa con cui miliardi di persone interagiscono con l’informazione e l’automazione.
Se xAI riuscisse a ottenere una vittoria legale o anche solo una concessione da parte di Apple, potrebbe aprire un precedente capace di ridisegnare gli equilibri. E non è detto che altri competitor, oggi silenziosi per opportunismo o timore, non decidano di unirsi al coro.
Il paradosso è che Apple, paladina della privacy e della user experience controllata, si trova accusata di pratiche che evocano la Microsoft degli anni Novanta, quando l’integrazione di Internet Explorer in Windows scatenò l’ira dei regolatori antitrust. Solo che qui, al posto di un browser, c’è un’intelligenza artificiale generativa con capacità di dialogo, sintesi e persuasione che può spostare opinioni e comportamenti in tempo reale.
In un mondo in cui la guerra per la supremazia AI si combatte su algoritmi, set di dati e soprattutto sulla distribuzione, ogni vantaggio strutturale vale oro. Musk ha fiutato l’occasione, e come un giocatore di poker esperto ha rilanciato pesante, sapendo che il solo annuncio di una causa può influenzare investitori, sviluppatori e persino regolatori.
Il messaggio subliminale è chiaro: se lasciamo che Apple decida chi vince e chi perde nel campo dell’AI, rischiamo di trovarci con un monopolio intellettuale, prima ancora che economico. Musk non è nuovo a sfide simili. Lo ha fatto con Tesla contro l’industria automobilistica tradizionale, con SpaceX contro il cartello spaziale e ora prova a farlo con xAI contro la combinazione Apple-OpenAI.
L’ironia della storia è che questa crociata per la “libertà di scelta” arriva da un imprenditore noto per ecosistemi chiusi e controllati, ma la coerenza non è mai stata il requisito principale per vincere una battaglia mediatica. Qui conta dominare il ciclo delle notizie e mantenere alta la tensione fino al momento di entrare in aula.