Gli imperi cadono non per colpa dei barbari alle porte ma per gli errori commessi all’interno. Nietzsche avrebbe sorriso, con quel suo cinismo che taglia più delle spade, davanti all’idea che il nemico del capitalismo digitale non sia il competitor esterno ma l’impiegato distratto che copia e incolla bilanci interni dentro ChatGPT come se fosse un semplice blocco note. La tragedia non sta nel cloud in sé, ma nella leggerezza con cui gli esseri umani lo trattano, offrendo segreti aziendali a modelli linguistici che vivono di dati come vampiri nella notte.

Cloudflare ha compreso questo paradosso e oggi veste i panni del guardiano che mette ordine in un caos in cui l’ombra dell’intelligenza artificiale rischia di trasformarsi in un nuovo Leviatano. Con il lancio della sua estensione di Cloudflare One, l’azienda offre agli IT manager un paio di occhi a raggi X per scrutare dentro le interazioni dei dipendenti con ChatGPT, Claude e Gemini. Non si tratta solo di monitoraggio, ma di una sorta di confessionale digitale dove ogni prompt viene registrato e classificato. È l’ennesima prova che il potere, nell’era del cloud, non si misura più sulla velocità dei server ma sulla capacità di vedere ciò che gli altri vorrebbero nascondere.

Tre dipendenti su quattro, ci ricorda Cloudflare, usano abitualmente strumenti generativi per scrivere, fare debug, disegnare flussi di dati. Un esercito silenzioso di micro Nietzsche in cerca di scorciatoie creative, che però rischia di trasformarsi in un coro tragico quando le informazioni confidenziali spariscono in un modello esterno. Chi controlla il flusso dei dati controlla anche il destino del capitale intellettuale, e una volta che il segreto è stato divorato da un LLM, non torna più indietro. Qui la tecnologia di Cloudflare interviene con API, scanner e controlli inline che ricordano i guardiani di Platone, solo che al posto delle armi hanno regole di sicurezza e algoritmi di rilevamento.

La concorrenza esiste. Zscaler e Palo Alto Networks già vendono il sogno del controllo totale sull’AI aziendale. Cloudflare tuttavia gioca un’altra partita, quella della semplicità e dell’assenza di agenti installati. Un modello ibrido e agentless che intercetta i prompt al confine della rete e controlla le configurazioni API senza chiedere al CIO di installare l’ennesimo software su ogni laptop. La strategia è chiara: convincere il mercato che la sorveglianza intelligente può essere elegante, trasparente, quasi invisibile, come un poliziotto che sorride mentre ti osserva digitare sulla tastiera.

Ma dietro l’innovazione tecnologica resta la contraddizione esistenziale di Cloudflare. Un’azienda che da oltre dieci anni recita il mantra del “noi non moderiamo, noi proteggiamo”. Un’infrastruttura neutrale che tiene in vita siti odiati, estremisti, tossici, finché qualcuno non porta un mandato legale. Nietzsche direbbe che questa è la metafisica del libero arbitrio applicata al cloud: tutti meritano protezione, anche i peggiori, perché non è compito dell’infrastruttura distinguere il bene dal male. Una posizione filosofica affascinante, ma che ha trasformato Cloudflare in un bersaglio etico.

La storia è costellata di eccezioni, che più che dimostrare la regola ne rivelano la fragilità. Nel 2017 l’azienda decise di interrompere i servizi a The Daily Stormer, spinta non da principi ma da un insulto personale: il sito aveva dichiarato che Cloudflare condivideva segretamente la sua ideologia nazista. Nel 2019 fu la volta di 8chan, legato a sparatorie di massa. Nel 2022, sotto la pressione pubblica, anche Kiwi Farms cadde, quando la violenza online rischiava di trasformarsi in sangue reale. Ogni volta un CEO riluttante, Matthew Prince, confessava che non avrebbe voluto decidere, ma che la realtà lo aveva costretto. È la prova che anche i paladini del libero mercato devono piegarsi quando la pressione sociale diventa insostenibile.

E come se non bastasse, mentre si erge a guardiano contro il pericolo dei prompt interni, Cloudflare si scaglia contro Perplexity AI, accusandola di aggirare i blocchi con crawler mascherati. È l’eterna ironia: chi controlla la rete si lamenta quando altri cercano di sfuggire al controllo. L’azienda ha escluso Perplexity dal suo programma di bot verificati, denunciando pratiche di scraping ingannevoli. Una guerra di ombre in cui tutti vogliono divorare dati altrui, ma nessuno vuole essere divorato.

Qui si gioca la vera partita per il futuro dell’intelligenza artificiale generativa. Non è la corsa agli algoritmi la variabile decisiva, ma la gestione del potere informativo. Le aziende temono più l’impiegato curioso che l’hacker russo, perché un singolo copia-incolla può costare milioni in segreti competitivi. La tecnologia di controllo promessa da Cloudflare, allora, non è tanto un prodotto di sicurezza quanto uno strumento di disciplina, un Panopticon aziendale mascherato da dashboard. La filosofia nietzschiana ci direbbe che non stiamo assistendo al trionfo della verità, ma alla volontà di potenza applicata al controllo dei flussi di testo.

Un giorno, quando i manuali di storia digitale racconteranno l’ascesa dell’AI generativa, non parleranno solo di OpenAI o Google, ma di chi ha deciso dove finivano i dati e chi li poteva osservare. Cloudflare oggi alza la mano e dice: saremo noi i guardiani. La domanda è se i dipendenti, gli stessi che scrivono prompt come preghiere segrete, accetteranno di lavorare sotto un occhio invisibile che non perdona. Nietzsche lo aveva già detto: “Chi lotta con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro”.