Inizio il pezzo sbriciolando l’illusione più comune: non si tratta soltanto di due leader che si stringono la mano davanti alle telecamere, ma di catene di approvvigionamento, licenze, e magneti così piccoli da non farsi notare ma abbastanza vitali da mettere a ginocchio un aereo da combattimento. La finestra di novembre per una possibile visita del presidente Trump in Cina, collocabile intorno al vertice APEC in Corea del Sud, non è soltanto diplomazia di facciata; è il tentativo di trasformare una tregua tariffaria fragile in una soluzione negoziale concreta. L’accordo che mantiene le tariffe a livelli elevati ma stabili è stato esteso fino al 10 novembre 2025, creando una scadenza che funziona come una clessidra per negoziatori nervosi.
Le terre rare non sono rare come parola, ma sono rare come controllo strategico. La Cina ha imposto restrizioni all’esportazione di sette elementi delle terre rare e di magneti critici all’inizio del conflitto tariffario del 2025, una mossa che ha fatto tremare più di qualche catena produttiva nel settore della difesa e dell’automotive. Questo non è uno stratagemma da giornale sensazionalista, ma una politica industriale pensata per sfruttare una posizione di vantaggio nelle fasi alte della raffinazione e della produzione.
Se il lettore pensa che i minerali si esauriscano nelle montagne, si sbaglia. La leva strategica riguarda la raffinazione e le licenze d’esportazione. All’inizio dell’estate del 2025 alcune licenze per esportare magneti permanenti sono state rilasciate di nuovo, portando a un aumento delle spedizioni mese su mese, ma il quadro resta volatile: Cina mantiene il controllo dell’intero ecosistema produttivo, dalla miniera alla lega perfetta che alimenta i motori elettrici e i sistemi di guida dei missili. Le cifre suggeriscono un recupero parziale delle esportazioni, ma non una normalizzazione totale.
Una curiosità da tirocinante della geopolitica: Washington vuole convincere i suoi alleati ad aumentare le tariffe verso Pechino fino a punte colossali, cifre che suonano più come una tattica negoziale estrema che come una politica commerciale praticabile. La Casa Bianca ha aumentato le aliquote e spinge per contromisure su scala globale, ma la realtà politica in Europa e Altrove è meno incline ad appendere la propria economia a una strategia di pura punizione. I vincoli legali, le reti di investimento e le dipendenze tecnologiche rendono improbabile che l’Unione Europea adotti misure speculari nella forma e nella misura prospettate da alcuni commentatori.
Per capire la posta in gioco tecnica, si deve tornare ai dettagli: i grandi magneti al neodimio-ferro-boro e i materiali base per i motori elettrici sono essenziali per aerei da combattimento, sottomarini e auto elettriche. La capacità di impiantare, progettare e manutenere questi sistemi dipende da forniture stabili di elementi come il neodimio, il praseodimio e il disprosio. Una strozzatura delle esportazioni non è solo un fastidio commerciale, ma una minaccia operativa per le forze armate che contano su componenti ad alte prestazioni. Questo spiega l’ansia degli strateghi statunitensi e il perché la questione sia così strettamente connessa alle negoziazioni diplomatiche.
La diplomazia dietro le quinte non è fatta di grandezza retorica ma di processi. Le telefonate e gli incontri tecnici tra dirigenti e funzionari hanno la funzione pratica di traslare richieste politiche in regole amministrative su licenze e controlli. Le voci che indicano una possibile visita di Trump a Pechino in prossimità dell’APEC non devono essere interpretate come una resa o una vittoria simbolica, ma come il tentativo di incanalare uno scontro economico in una dinamica pragmatica dove la materia prima, la procedura e il calendario politico si allineano. Il vertice APEC si terrà a Gyeongju tra fine ottobre e inizio novembre 2025, il che crea un perimetro temporale naturale per incontri bilaterali.
Una nota tecnica confortante per gli scettici: entrambe le parti conoscono i limiti dell’escalation. I dazi possono danneggiare capacità industriali e catene del valore così profondamente da provocare effetti boomerang su mercati domestici e alleati. La retorica aggressiva dunque convive con un calcolo prudente che preferisce gli strumenti di pressione misurati, come le licenze sulle terre rare, alle armi nucleari della globalizzazione commerciale, che sono i dazi esorbitanti. Se Xi e Trump si incontrassero, secondo vari analisti la probabilità di una escalation incontrollata diminuirebbe, perché entrerebbe in gioco la preferenza reciproca per la gestione dell’interdipendenza economica.
La Cina non controlla solo i materiali ma anche i flussi politici. L’idea di trasformare bassi isolotti in riserve naturali nella regione del Mare Cinese Meridionale è una mossa che mescola narrazione ambientale e geopolitica, rafforzando rivendicazioni sovrane e costruendo fatti compiuti sul terreno. Scarborough Shoal come riserva naturale suona bene nei comunicati, ma funziona anche come una tessera di sovranità praticabile che cambia le dinamiche con Filippine e altri vicini. La questione non è estetica, è strategica.
Una considerazione economica che mal si adatta ai proclami: Paesi terzi reagiscono in modo pragmatico, non sempre allineato con la diplomazia americana. Il recente annuncio del Messico di aumentare i dazi sulle auto importate dalla Cina fino al 50 per cento e di rivedere un pacchetto ampio di tariffe riflette sia pressioni esterne sia scelte interne di politica industriale. Non è una mera copia carbone; è politica economica nazionale declinata secondo priorità di lungo termine e pressioni immediate. Questa mossa potenzialmente allinea l’America Latina a logiche protezionistiche più ampie ma rischia anche di innescare ritorsioni e complicare reti di fornitura integrate.
Non bisogna però romanticizzare la forza cinese. La dipendenza globale da catene di produzione cinesi è un vantaggio ma anche un punto vulnerabile per Pechino. Il controllo sulla raffinazione e sulle licenze non è eterno; alternative esistono e vengono incentivate da governi preoccupati. L’Unione Europea e gli Stati Uniti stanno lavorando per diversificare fonti e capacità produttive nelle terre rare, con investimenti e partnership che mirano a deconcentrare il potere di un singolo fornitore. Queste iniziative richiedono tempo e capitali, ma la dinamica è in atto.
Un esempio pratico: le industrie automobilistiche e tecnologiche hanno subito interruzioni a seguito delle restrizioni del 2025, spingendo alcuni produttori a riconsiderare i fornitori e a incrementare scorte di componenti critici. Le scorte e la diversificazione non sono eroismi, sono assicurazioni costose. Quando si parla di semiconduttori o di magneti per motori elettrici, la pianificazione a catena lunga è diventata più preziosa di una politica tariffaria muscolare. L’effetto è che decisioni politiche a Washington e Pechino ricadono sui bilanci aziendali in maniera immediata. (SPF)
Piccola ironia per gli amanti del destino: mentre i leader negoziano, sono i materials scientists e i direttori della supply chain a dettare i tempi della storia. La diplomazia può decidere di incontrarsi a Gyeongju, ma la vera agenda include chi può produrre un magnete stabile a temperature estreme senza dover importare pezzetti critici a prezzi ricattatori. Questo non fa notizia sulle prime pagine, ma decide chi vince il mercato e chi paga il conto della transizione tecnologica.
Infine, una previsione non romantica ma pratica: la scadenza di novembre funziona come un incentivo per trovare compromessi tecnici piuttosto che ideologici. Le soluzioni possibili sono miste e granulari: licenze selettive, deroghe per materie prime non militari, collaborazione su catene di riciclo delle terre rare, investimenti congiunti in capacità estrattive non cinesi. Il risultato sarà probabilmente un patchwork di compromessi che manterrà l’interdipendenza ma la renderà meno vulnerabile a shock unilaterali. Questo tipo di outcome non è spettacolare e non è epico, ma è esattamente ciò che serve quando la posta in gioco è un motore di aereo o la stabilità di una regione marittima.
Un’ultima battuta: chi pensa che la soluzione definitiva sia soltanto una stretta di mano diplomatica sottovaluta il ruolo della politica industriale e della tecnologia. Le vere decisioni saranno prese con brevetti, standard, licenze e bilanci d’investimento. Il genere di dominio che conta non è più solo quello geopolitico, ma quello tecnologico e industriale. Chi controllerà le materie prime critiche e i processi per trasformarle in componenti ad alte prestazioni controllerà, a tutti gli effetti, la possibilità stessa di proiettare potenza militare e leadership economica nel prossimo decennio. (CSIS)