L’apertura della decima edizione di DigithON ieri ha avuto il sapore di un richiamo istituzionale e morale prima che tecnologico: non una semplice celebrazione delle startup, ma un invito a riflettere sul destino collettivo che accompagna la diffusione dell’intelligenza artificiale. Sul palco delle Vecchie Segherie Mastrototaro, tra cronometri che scandivano i pitch e platee di giovani fondatori, Francesco Boccia ha messo subito le cose in chiaro: l’AI non è soltanto un “dispositivo di progresso”, ma una leva che può aprire spazi di libertà oppure innescare nuove forme di dominio. Le sue parole hanno tracciato la cornice etica dell’intera manifestazione: siamo all’incrocio tra progresso e apocalisse, e la politica, ha sottolineato Boccia, ha il dovere di costruire regole globali per evitare che potere e profitto trasformino la tecnologia in arma di massa.
Il senso di urgenza evocato in apertura ha dato tono ai panel successivi, trasformando la mattinata in un dialogo che oscillava tra pragmatismo di impresa e responsabilità pubblica. Non è un paradosso: è proprio questa tensione, tra l’impulso competitivo delle startup e la necessità di governance, che DigithON tenta di mettere in scena in maniera concreta. Lo ha ricordato anche Marianna Ronzoni di Intesa Sanpaolo Innovation Center, intervenuta per parlare di crescita delle startup e del ruolo del finance nel far scalare i progetti italiani. Il messaggio di Ronzoni è stato chiaro e orientato al passo successivo: l’Italia ha maturato know-how, capitale e normative che prima non c’erano, ma ora serve un mindset più aperto e una prospettiva europea per trasformare il fermento nazionale in capacità di competere su scala globale. Le parole di Ronzoni hanno così spostato il fuoco dalla mera creatività all’ecosistema necessario perché l’innovazione duri: network, coaching, matching con le aziende e una visione che guardi anche oltre i confini nazionali.
Tra evocazioni filosofiche e strategie di mercato, la giornata ha poi trovato un momento di concretezza operativa nella presentazione della “Bat Cam” da parte del Questore Alfredo Fabbrocini: un’applicazione studiata per rendere più rapida e efficace l’acquisizione delle immagini di videosorveglianza durante le indagini. L’intervento del Questore della provincia di Barletta Andria Trani, ha ricondotto il dibattito sull’AI al terreno della sicurezza pubblica: “La rapidità salva le indagini” ha detto “e il 70% dei casi si risolve se c’è la prova incontrovertibile dell’immagine”. La Bat Cam promette proprio questo: geolocalizzare le telecamere, creare un link tra operatori e titolari degli impianti, portare dati in una control room e, nel passo successivo, sfruttare l’intelligenza artificiale per tracciare automaticamente possibili vie di fuga. Non un’astrazione accademica, dunque, ma una soluzione che tenta di ridurre il gap tra dati, tempo e decisione operativa. Le presentazioni e le cronache locali hanno documentato come il progetto, che è sviluppato in partnership con aziende del territorio, potrebbe entrare in funzione a pieno regime già dal prossimo 2 ottobre.
Il fil rouge che ha tenuto insieme gli interventi é evidente: l’AI come strumento è neutrale solo in apparenza. Basta che finisca nelle mani sbagliate o che venga lasciata senza regole politiche e sociali chiare, perché il suo impatto diventi asimmetrico e pericoloso. Ne discutevano dunque nello stesso perimetro coloro che cercano di far crescere imprese e capitale (Ronzoni) e chi della tecnologia deve fare uno strumento pubblicistico per la sicurezza (Fabbrocini): due facce dello stesso problema. Se da un lato le startup cercano mercati, investimenti e scalabilità, dall’altro la collettività reclama strumenti e garanzie.
La prima giornata ha poi rimarcato una terza evidenza: DigithON non è solo palco di proclami, ma uno snodo funzionale per chi cerca capitale e relazioni. Le centinaia di startup in gara, che hanno avuto a disposizione cinque minuti ciascuna per convincere investitori e giurie, hanno confermato la dimensione “laboratorio” dell’evento, dove idee di prodotto, business model e compliance si misurano in tempo reale con le domande del mercato. Questo è anche il punto ribadito da più interventi: non basta inventare, bisogna scalare, strutturarsi, dialogare con istituzioni che chiedono responsabilità e con finanziatori che chiedono sostenibilità economica.
Se la prima giornata ha funzionato come messa a fuoco delle urgenze – regole, etica, capacità di scala – ha pure mostrato come l’ecosistema italiano sappia rispondere con progetti operativi. Dalla control room immaginata per la Bat Cam ai programmi di supporto al scale-up annunciati dall’Innovation Center, il racconto si è spostato più volte da un piano teorico a un piano realizzativo: non solo “che cosa temere” ma anche “che cosa fare”. Questa doppia dimensione, tra criticità e operatività, è stata la cifra del giorno e promette di rendere i prossimi appuntamenti della maratona digitale momenti in cui le idee non resteranno confinate allo spazio dei pitch ma dovranno confrontarsi con la loro capacità di incidere nel mondo reale.
La chiusura della giornata, tra interviste ai founder e incontri nei corridoi delle Vecchie Segherie, ha lasciato la sensazione di un ecosistema maturo ma ancora affamato: maturo perché capace di mettere sul tavolo progetti concreti e partnership istituzionali; affamato perché consapevole che senza una regia politica e senza una strategia europea, invocata a più riprese, l’Italia rischia di restare mercato secondario di tecnologie sviluppate altrove.
Le sollecitazioni lanciate nel corso della prima giornata della manifestazione, dalla necessità di regole globali per l’AI, al bisogno di un network finanziario e culturale per le startup, non sono formule retoriche ma la lista d’azione che DigithON ha messo subito sul tavolo.
In chiusura, il racconto della giornata ci restituisce l’immagine di una comunità che si confronta con serietà: istituzioni che richiamano responsabilità, banche che offrono strumenti di crescita, forze dell’ordine che sperimentano soluzioni AI per la sicurezza e startup che cercano mercato e senso. Se l’AI è davvero il bivio che Boccia ha descritto, la domanda che rimane aperta è se il Paese sarà in grado di trasformare questo bivio in una scelta condivisa, fatta di regole, investimenti e visione, prima che le asimmetrie di potere e tecnologia scrivano da sole il futuro.