Il nuovo rapporto del governo statunitense ha alzato il sipario su una realtà che tutti sussurravano nei corridoi della Silicon Valley ma pochi avevano messo nero su bianco: i modelli AI cinesi restano indietro rispetto alle controparti americane, sia in termini di performance che di sicurezza, nonostante la loro crescente popolarità globale. A firmare l’analisi è il Centre for AI Standards and Innovation del NIST, insieme al Dipartimento del Commercio, che ha deciso di classificare piattaforme come DeepSeek nella categoria “adversary AI”. Non proprio il biglietto da visita ideale quando si parla di fiducia e adozione su larga scala.

Buffo come gli Stati Uniti abbiano scelto di misurare la competizione sull’intelligenza artificiale non solo in termini di innovazione, ma di narrativa politica. Il presidente Donald Trump, con il suo AI Action Plan presentato a luglio, ha chiesto espressamente di valutare la capacità dei modelli cinesi di allinearsi alle narrazioni di Stato, un modo elegante per dire che l’intelligenza artificiale di Pechino non è neutrale ma intrisa di censura e di quella sottile propaganda che sa di vecchio manuale da Guerra Fredda digitale.

DeepSeek, che in Cina rappresenta la punta di diamante della corsa all’AI, in America è invece il capro espiatorio perfetto. L’azienda con sede a Hangzhou è stata accusata di rubare dati, amplificare la narrativa del Partito Comunista e offrire modelli vulnerabili agli hacker. Il rapporto della CAISI è stato impietoso: 19 benchmark pubblici e interni hanno mostrato un divario netto rispetto a modelli statunitensi come GPT-5 di OpenAI o Claude Opus 4 di Anthropic. Non solo meno accurati, ma anche più facili da “jailbreakare”, ossia piegare a usi malevoli come il cybercrime.

Il dettaglio più pungente riguarda la censura integrata direttamente negli algoritmi di DeepSeek. Il nuovo benchmark sviluppato dal NIST insieme al Dipartimento di Stato ha testato le risposte su argomenti considerati sensibili dal regime cinese. Il risultato è che i modelli DeepSeek si sono dimostrati più allineati alle narrative ufficiali che alla neutralità scientifica. Il record di conformismo spetta al modello R1-0528, che ha raggiunto il 25,7 per cento di adesione alle posizioni di Pechino quando interrogato in lingua cinese. Difficile immaginare un modo migliore per perdere credibilità in Occidente.

Mentre Washington mette il dito nella piaga, i numeri raccontano una storia diversa. Le versioni “open-weight” di DeepSeek, quelle cioè che rendono pubblici i pesi di addestramento, hanno permesso a migliaia di sviluppatori di scaricarle, modificarle e costruire nuovi prodotti. Su Hugging Face i download sono cresciuti del 1000 per cento dall’inizio dell’anno, mentre i modelli Qwen di Alibaba Cloud hanno registrato un incremento del 135 per cento nello stesso periodo. Non è poco per chi parte in ritardo, e infatti Alibaba si sta rapidamente avvicinando a Meta nella classifica dei modelli più scaricati di sempre, subito dietro OpenAI. Ironico che nel campo dei modelli derivati, quelli creati a partire da Qwen, Alibaba abbia superato di slancio Google, Meta, Microsoft e persino OpenAI. Chi l’avrebbe detto che il gigante dell’e-commerce potesse trasformarsi nell’outsider dell’intelligenza artificiale.

Naturalmente l’America non vuole solo difendere il proprio primato tecnologico ma anche il portafogli degli sviluppatori. Il report sottolinea che GPT-5-mini costa mediamente il 35 per cento in meno rispetto al modello DeepSeek V3.1 per offrire prestazioni simili, usando i prezzi API come metro di confronto. Un modo elegante per dire: restate con noi, l’AI americana non solo è più sicura ma anche più conveniente. Peccato che il dettaglio scomodo sia rimasto fuori dalla narrazione ufficiale. A differenza di OpenAI e degli altri player statunitensi, i modelli open-weight cinesi possono essere eseguiti localmente senza costi API, un vantaggio che per molti sviluppatori indipendenti pesa più di qualsiasi benchmark stilato da Washington.

Chi conosce bene il settore sa che DeepSeek non è rimasta immobile. Negli ultimi mesi ha tagliato i prezzi API di oltre il 50 per cento, mantenendo livelli prestazionali simili, secondo i dati di Artificial Analysis. Una mossa che rende il confronto del NIST già vecchio prima ancora di essere pubblicato. Un po’ come confrontare il prezzo della benzina senza considerare i nuovi incentivi sulle auto elettriche. Ma l’obiettivo non è mai stato l’equilibrio, bensì il messaggio politico: l’AI cinese è un rischio, quella americana è la scelta sicura.

Il segretario al Commercio Howard Lutnick ha twittato che “queste debolezze non sono solo tecniche, dimostrano perché affidarsi a intelligenze artificiali straniere è pericoloso e miope”. È la solita retorica protezionista, mascherata da valutazione tecnica, utile a cementare il legame tra governo e Big Tech domestiche. Non a caso la CAISI collabora direttamente con OpenAI e Anthropic, che da questa narrativa guadagnano legittimità e accesso privilegiato a fondi pubblici. La guerra dell’AI non si combatte solo a colpi di parametri e set di training, ma soprattutto di percezione pubblica e influenza geopolitica.

In questo scenario il vero dato interessante non è tanto che i modelli AI cinesi siano ancora dietro, quanto la rapidità con cui colmano il gap. La crescita vertiginosa delle adozioni su piattaforme come Hugging Face dimostra che gli sviluppatori globali non hanno paura di sperimentare con DeepSeek e Qwen, nonostante i sospetti sulla sicurezza. È il classico paradosso tecnologico: la convenienza e l’accessibilità battono la prudenza, almeno fino a quando non si manifesta una crisi evidente.

Guardando più a lungo termine, la questione cruciale non sarà solo chi ha i modelli migliori, ma chi riesce a costruire lo standard. Proprio come accadde con Internet, chi detta i protocolli e le regole si assicura la leadership, indipendentemente dalla qualità intrinseca delle tecnologie. L’America lo sa bene e per questo investe nel NIST e nella costruzione di benchmark internazionali. La Cina, dal canto suo, punta sull’adozione di massa e sulla logica del “fatto compiuto”: se milioni di sviluppatori useranno DeepSeek o Qwen, sarà difficile scalzarli dal mercato, anche se i modelli americani continueranno a risultare più performanti nei test di laboratorio.

Il conflitto tra modelli AI cinesi e americani non è dunque una semplice gara di prestazioni. È una guerra di narrazione, di costi nascosti, di libertà percepite e di diffidenza reciproca. Chi parla di intelligenza artificiale senza tener conto di questo intreccio politico e commerciale vive ancora nel mondo naïf dei primi chatbot. Il futuro si gioca sul filo sottile tra controllo e apertura, tra efficienza e indipendenza, tra sicurezza nazionale e desiderio di innovazione. DeepSeek oggi è il cattivo della storia, ma la trama si sta scrivendo velocemente e non è detto che domani i ruoli restino così netti.