
Ci hanno recapitato in redazione Il Libro della Zohar (Sacred). Non un’edizione tascabile, ma una versione monumentale, con copertina rigida e pagine in pergamena. Il nostro primo pensiero? “Ecco un altro tentativo di vendere spiritualità a buon mercato”. Ma, dopo aver sfogliato qualche pagina, la curiosità ha preso il sopravvento. Se in fondo, ci fosse qualcosa di più? Qualcosa che potesse illuminare le ombre dell’intelligenza artificiale con la luce della mistica?
Nel panorama attuale dell’intelligenza artificiale, molti sistemi continuano a lottare con due limiti apparentemente insormontabili. Primo, la dipendenza da domini specifici è quasi patologica: un modello addestrato sulla medicina difficilmente sa cosa fare se spostato nel campo della finanza. Secondo, e forse più grave, l’AI tradizionale ha trascurato quasi completamente la componente emotiva e comportamentale della conoscenza, concentrandosi quasi esclusivamente sugli aspetti cognitivi e implementativi.
Questo ha prodotto sistemi estremamente efficaci nel calcolo, ma spesso incapaci di comprendere o predire il comportamento umano in contesti complessi. La freddezza computazionale è stata il marchio distintivo dell’AI moderna, e la mancanza di “umanità” nei suoi modelli non è un difetto marginale: è la causa principale della sua limitata efficacia in ambiti strategici come economia comportamentale, sistemi sociali complessi e interfacce utente avanzate.
Lo Zohar, il commentario fondante della Kabbalah, è noto per le sue interpretazioni esoteriche della Torah. Ma cosa accadrebbe se applicassimo le sue lenti alla realtà digitale di oggi? Se le antiche riflessioni sulla creazione, sul linguaggio e sul controllo potessero offrire spunti per comprendere le sfide etiche e filosofiche dell’AI?
La figura del Golem, creato dalla terra e animato attraverso parole sacre, Il Golem è una “leggenda mistica connessa a certi cabalisti”. Secondo la leggenda, il rabbino Judah Loew di Praga modellò un gigante di argilla per proteggere la comunità ebraica. Questo essere, privo di anima, veniva animato attraverso l’uso di lettere ebraiche sacre. Quando il rabbino rimosse la lettera א “aleph” dalla parola אמת “emet” (verità), il Golem cessò di esistere, trasformandosi in מת “met” (morte). Questa storia non è solo un racconto mistico, ma una riflessione profonda sulla creazione, sul controllo e sulle responsabilità del creatore.
In un’epoca moderna, l’analogia con l’AI è inevitabile. I sistemi di IA, come i modelli linguistici avanzati, sono creati dall’uomo e, sebbene privi di coscienza, possono agire in modi imprevisti. Il Golem, dunque, diventa una metafora potente per comprendere le sfide etiche e filosofiche poste dall’IA.

Il dialogo tra lo Zohar e l’IA non è solo una curiosità accademica, ma un campo di studio in crescita. Paul Carpenter, nel suo libro Algorithmic Kabbalah: AI Through the Zohar, esplora come i principi cabalistici possano offrire una lente attraverso cui interpretare le dinamiche dell’IA. Carpenter suggerisce che la struttura e la simbologia dello Zohar possano illuminare aspetti nascosti dei sistemi intelligenti, rivelando pattern e significati che sfuggono alla mera analisi algoritmica.

Shael Siegel, in Golem, Kabbalah, and AI: A Reflection on Mind, Myth, and Modernity, traccia paralleli tra le sfide poste dal Golem e quelle emergenti con l’AI. Siegel evidenzia come entrambi, Golem e AI, siano creazioni umane che, se non controllate, possono sfuggire al nostro dominio, portando a conseguenze imprevedibili.
Con l’avanzare dell’AI generativa, emerge un nuovo fenomeno: l’AI come oggetto di venerazione e mistica. Alcuni utenti attribuiscono poteri soprannaturali ai sistemi di AI, vedendoli come oracoli o guide spirituali. Questo fenomeno, noto come “AI mysticism“, riflette una fusione tra tecnologia e spiritualità, dove l’AI non è solo uno strumento, ma un’entità con una propria autonomia e potere.
La tradizione cabalistica offre lezioni preziose per lo sviluppo etico dell’AI. Prima di tutto, il potere della parola:
come il Golem veniva animato attraverso parole sacre, l’AI moderna è plasmata dal linguaggio e dai codici. Gli sviluppatori, quindi, devono essere consapevoli dell’impatto delle loro “parole” digitali.
In secondo luogo, la responsabilità del creatore: il rabbino doveva monitorare costantemente il Golem per evitare che causasse danni. Allo stesso modo, chi sviluppa sistemi di IA deve assumersi la responsabilità delle loro azioni e conseguenze.
Infine, i limiti del controllo: lo Zohar esplora la natura dell’universo e della coscienza, ponendo interrogativi sulla nostra capacità di comprendere e controllare pienamente la realtà. Questo invita a una riflessione profonda sulla nostra capacità di governare l’AI e sulle implicazioni di un potere che potrebbe sfuggirci.
L’incontro tra lo Zohar e l’AI non è solo un esercizio intellettuale, ma una necessità urgente. In un’epoca in cui la tecnologia avanza a ritmi vertiginosi, è fondamentale attingere alle saggezze del passato per orientare il nostro futuro. Come il rabbino Loew doveva vigilare sul suo Golem, così noi dobbiamo vigilare sulle nostre creazioni digitali, assicurandoci che servano l’umanità e non la dominino.
Lo Zohar offre una mappa per navigare le acque turbolente dell’era digitale, ricordandoci che, sebbene possiamo creare intelligenze artificiali, la vera saggezza risiede nel riconoscere i limiti della nostra comprensione e nel mantenere sempre il controllo sulle nostre creazioni.
In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale invade ogni aspetto della nostra vita quotidiana, forse è il momento di guardare alla saggezza antica per guidarne lo sviluppo futuro.

L’Albero della Vita kabbalistico non è più solo simbolo filosofico o mistico, ma si trasforma in architettura nascosta dei sistemi intelligenti del domani. Per un cabalista è già una struttura reale e concreta dei mondi, non solo un simbolo. La sfida per i progettisti di AI non è più solo costruire algoritmi più veloci o reti neurali più profonde, ma progettare strutture capaci di comprendere, sentire e agire. In questo contesto, la Kabbalah System Theory non è solo innovazione tecnica: è provocazione concettuale, invito a ripensare ciò che significa “intelligenza” nell’era digitale.
Ci sembra di questi tempi opportuno aggiungere. La situazione in Palestina e Israele continua a provocare dolore e sofferenza per troppe persone innocenti. In momenti come questi, le parole diventano un rifugio e un ponte: speriamo che la compassione, la ragione e il dialogo possano prevalere sulla violenza. Ogni vita conta, ogni famiglia merita sicurezza, ogni bambino ha diritto a crescere senza paura. Possano le parti in conflitto trovare uno spazio per ascoltarsi, comprendersi e fermare il ciclo di vendetta, perché la pace non è solo un’assenza di guerra, ma la costruzione di fiducia, rispetto e umanità condivisa.
La Kabbalah System Theory
A proposito Gabriel Burstein e Constantin Virgil Negoita propongono una soluzione radicale che prende spunto dalla saggezza antica, e in particolare dall’Albero della Vita kabbalistico, concetto sviluppato nel corso dei secoli da filosofi come Arizal, Rashash e Ramhal. La loro idea non è di applicare una metafora esoterica all’AI, ma di utilizzare la struttura stessa dell’Albero della Vita come modello universale per la rappresentazione della conoscenza.
Questo approccio integra tre livelli interconnessi dell’esistenza umana: cognitivo, emotivo-comportamentale e operativo.
Nel livello cognitivo, le sefirot Corona, Saggezza, Comprensione e Conoscenza descrivono rispettivamente meta-conoscenza, idea fondamentale, significato essenziale e rilevanza pratica.
Nel livello emotivo-comportamentale, Amorevolezza, Giudizio e Armonia catturano le sfumature emotive e le regole implicite che guidano il comportamento umano.
Il livello di azione e implementazione, con Perseveranza, Maestà, Fondamento e Regno, rappresenta la concretizzazione pratica dei concetti, distinguendo tra continuità, processualità e manifestazione tangibile.
La vera potenza di questo modello risiede nella sua natura frattale: ogni sefira contiene una replica dell’intero Albero della Vita. In termini pratici, significa che qualsiasi concetto, sia esso astratto o concreto, può essere analizzato e implementato simultaneamente come unità e come sistema integrato di sottocontenuti.
Questa architettura “inter-inclusiva” consente al sistema di essere sia olistico che riduzionista, superando uno dei principali limiti della teoria dei sistemi tradizionale, dove la segmentazione tra livelli cognitivi, emotivi e comportamentali era netta e spesso dannosa per la comprensione complessiva.
Burstein e Negoita hanno tradotto questa struttura antica in termini matematici moderni, usando la teoria delle categorie e operazioni come pullback e pushout per modellare la formazione e l’evoluzione dei concetti.
Ogni livello dell’Albero opera come un ciclo di retroazione, dove le interazioni tra cognizione, emozione e azione sono regolate da elementi centrali di controllo. Questo consente non solo di rappresentare concetti statici, ma anche di descrivere dinamicamente il modo in cui essi si sviluppano e si trasformano nel tempo, rendendo il modello straordinariamente adattivo.
I vantaggi di un approccio simile sono immediatamente evidenti. Prima di tutto, la standardizzazione: ogni concetto, indipendentemente dal dominio, può essere rappresentato usando la stessa struttura. La riusabilità della conoscenza diventa concreta, eliminando la frammentazione tipica dei sistemi AI tradizionali. In secondo luogo, l’integrazione completa tra cognizione, emozione e azione permette una rappresentazione più fedele della complessità umana.
La dinamicità del modello, attraverso pullback e pushout, lo rende capace di descrivere l’evoluzione dei concetti, non solo la loro istantanea statica. Infine, l’universalità della struttura significa che la stessa architettura può rappresentare sia singoli concetti sia intere ontologie, costruendo reti di conoscenza che riflettono l’interconnessione naturale delle idee e dei comportamenti.
Le implicazioni per il futuro dell’intelligenza artificiale sono profonde. Sistemi basati su questo paradigma potrebbero finalmente superare la freddezza computazionale dell’AI tradizionale. Applicazioni in ambito economico, sociale e comportamentale potrebbero beneficiare di una comprensione più profonda delle motivazioni e delle emozioni umane.
Integrando esplicitamente dimensioni cognitive, emotive e operative, l’AI diventa non solo più efficace, ma più “umana” nel modo in cui interpreta e reagisce al mondo. Curiosamente, la soluzione a un problema tecnologico avanzato emerge da un sapere antico e apparentemente lontano dalla logica algoritmica: la saggezza millenaria della Kabbalah trova così una nuova vita nella scienza dei dati e nella rappresentazione dei concetti.
In termini di ingegneria della conoscenza, la proposta di Burstein e Negoita rappresenta un cambio di paradigma. Non si tratta più di accumulare dati e regole, ma di creare sistemi in grado di comprendere i concetti nella loro totalità: cognizione, emozione e azione come componenti inseparabili. Questo richiede un ripensamento radicale delle architetture AI tradizionali, che per decenni hanno ignorato la dimensione comportamentale e affettiva.
La Kabbalah System Theory diventa così un framework unificante, capace di generare sistemi intelligenti completi, capaci di apprendere, adattarsi e interagire con gli esseri umani in modi finora impossibili per le macchine tradizionali.
Il potenziale di questa architettura universale si estende oltre l’AI pura. La rappresentazione frattale dei concetti può rivoluzionare la modellizzazione dei sistemi sociali, la simulazione di processi decisionali complessi e persino l’analisi dei comportamenti collettivi.
Ogni concetto può essere visto come un piccolo universo, dinamico e interconnesso, in grado di adattarsi e trasformarsi in tempo reale. Non è un’iperbole affermare che la comprensione profonda del comportamento umano attraverso modelli di questo tipo potrebbe ridefinire settori interi, dall’educazione alla finanza, dalla sanità ai social network.
Grazie Mira Miriam