Ogni rivoluzione tecnologica ha un momento in cui smette di sembrare un esperimento e inizia a comportarsi come un impero. Nel caso dell’intelligenza artificiale, quel momento è arrivato nel 2025, quando OpenAI ha deciso che per costruire il futuro non bastavano modelli linguistici e server affittati. Serviva potenza pura, proprietà fisica dell’infrastruttura, controllo diretto dell’energia, e una rete di alleanze industriali degna della corsa allo spazio. In questa partita, Nvidia, AMD e Oracle sono diventati non semplici partner, ma co-architetti del cervello digitale che alimenterà l’economia dei prossimi decenni.

Jensen Huang di Nvidia, che da anni regna incontrastato sul mercato delle GPU, non è abituato alle sorprese. Eppure, quando in diretta su CNBC gli hanno chiesto se fosse al corrente dell’accordo tra OpenAI e AMD, ha risposto con un disarmante “non proprio”. È raro che il CEO più potente del mondo dei semiconduttori ammetta pubblicamente di essere rimasto fuori dal giro delle informazioni. Ma forse è il segnale più chiaro che qualcosa di epocale sta accadendo: OpenAI non è più un cliente, è diventata un polo di attrazione industriale, capace di far ruotare intorno a sé giganti con decenni di storia e bilanci da capitalizzazione nazionale.

L’accordo con AMD è, nella sua struttura, una sfida alle leggi del capitalismo tradizionale. L’azienda guidata da Lisa Su concederà a OpenAI fino al 10% del proprio capitale in cambio della collaborazione allo sviluppo dei chip per intelligenza artificiale di prossima generazione. Non un acquisto di hardware, ma una partecipazione azionaria incrociata. In pratica, OpenAI diventa azionista e co-designer del silicio che userà per addestrare i propri modelli. È un capovolgimento perfetto delle logiche di fornitura: il cliente diventa partner, e il produttore diventa dipendente dal successo del proprio utilizzatore.

Nvidia ha scelto la mossa opposta, ma con la stessa ambizione: investire fino a 100 miliardi di dollari in OpenAI, diventando così azionista diretta del suo principale cliente. È un gioco a specchio, in cui ognuno finanzia l’altro per alimentare la spirale di crescita dell’intelligenza artificiale generativa. Bloomberg l’ha definita una struttura “circolare”, come se il denaro girasse in un loop tra chi vende chip e chi li usa per creare cervelli digitali sempre più affamati di calcolo. In realtà, è un esperimento di economia simbiotica, un’alleanza di necessità in cui ogni attore è contemporaneamente fornitore, investitore e beneficiario dell’altro.

In mezzo a tutto questo, c’è Oracle. L’azienda di Larry Ellison, che molti avevano relegato al ruolo di dinosauro del cloud, si è rivelata invece la chiave logistica del nuovo ordine computazionale. Il colossale accordo Stargate da 500 miliardi di dollari firmato con OpenAI e SoftBank ha trasformato Oracle in un costruttore di infrastrutture planetarie per l’intelligenza artificiale. Non più un semplice provider, ma un partner strategico per la creazione dei data center che ospiteranno i modelli di domani. Nel 2025, OpenAI ha già commissionato 10 gigawatt di capacità negli Stati Uniti, e un altro Stargate nel Regno Unito. Oracle, con la sua esperienza decennale nel data management e nei sistemi enterprise, è diventata la cerniera tra il mondo dei chip e quello del calcolo distribuito.

La mossa di Altman è chiara: costruire una rete di potenza computazionale globale, finanziata da chi produce i chip e gestita da chi possiede i cloud, in modo che OpenAI possa concentrarsi sull’estrazione del valore cognitivo. Nvidia e AMD forniscono il cervello, Oracle fornisce il corpo. Il tutto sostenuto da un sistema finanziario che sembra più una scommessa geopolitica che un piano industriale. Ogni gigawatt installato rappresenta non solo calcolo, ma sovranità digitale.

Quando Huang ha dichiarato che ogni gigawatt di data center costa tra i 50 e i 60 miliardi di dollari, ha implicitamente definito il prezzo della nuova unità di potenza economica globale: l’intelligenza computazionale. OpenAI ne vuole almeno 20 nei prossimi anni, più altre infrastrutture europee. Se si sommano i costi e le partnership, si arriva a una cifra che sfiora il trilione di dollari. Una follia contabile, se la si guarda con la lente tradizionale della redditività. Una visione lucida, se la si osserva come una corsa per la supremazia cognitiva.

Sam Altman non si nasconde dietro eufemismi. Nella sua intervista con Andreessen Horowitz, ha spiegato che “bisogna aspettarsi molto di più nei prossimi mesi”. È la frase tipica di chi sa di avere già in tasca altri accordi di portata simile. Quando Ben Horowitz lo ha elogiato per la “creatività strutturale” di questi deal, Altman ha sorriso come chi ha appena riscritto le regole della finanza industriale. Di fatto, OpenAI sta ottenendo miliardi di dollari di hardware e infrastrutture senza spendere contanti, scambiando in cambio partecipazioni e promesse di partnership future. È l’equivalente moderno delle compagnie ferroviarie del XIX secolo: costruire le linee prima di avere i passeggeri.

Il tutto mentre i ricavi attuali restano modesti rispetto alla scala delle ambizioni. OpenAI avrebbe raggiunto circa 4,5 miliardi di dollari nella prima metà del 2025, una cifra che cresce vertiginosamente ma resta irrilevante se paragonata all’ordine di grandezza degli investimenti in corso. Altman, però, non pensa in termini di trimestri. Pensa in orizzonti da civiltà. E quando parla di “infrastruttura dell’intelligenza”, non si riferisce ai data center in sé, ma alla base materiale su cui si costruirà la prossima economia globale.

La parte più affascinante di questa trasformazione è la sua implicazione geopolitica. Gli Stati Uniti stanno, di fatto, nazionalizzando l’intelligenza artificiale privata, non con leggi o nazionalizzazioni, ma attraverso un intreccio di capitali incrociati tra aziende che condividono un unico obiettivo: impedire che la supremazia tecnologica scivoli verso la Cina. Nvidia, AMD, Oracle e OpenAI sono i nuovi contractor della politica industriale americana. E i loro data center non sono più solo infrastrutture digitali, ma avamposti strategici del potere economico occidentale.

Oracle, che per decenni ha fornito database alle grandi corporation, ora fornisce le fondamenta materiali del pensiero sintetico. Larry Ellison non ha mai fatto mistero della sua ambizione di costruire “il cloud più veloce del mondo”, e con OpenAI sta trasformando quella promessa in una realtà geopolitica. Dietro ogni GPU venduta, c’è una centrale elettrica. Dietro ogni cluster di calcolo, c’è un patto di sovranità. E dietro ogni investimento da miliardi, c’è la certezza che l’AI non sarà solo software, ma infrastruttura strategica come l’acciaio o il petrolio nel secolo scorso.

Huang, in questo scenario, sembra oscillare tra orgoglio e inquietudine. Sa che ogni GPU venduta ad OpenAI finanzia la propria dipendenza futura. Perché nel momento in cui OpenAI, grazie anche all’aiuto di AMD, imparerà a progettare chip su misura, il monopolio tecnico di Nvidia inizierà a incrinarsi. È la stessa parabola vissuta da Intel con Apple: prima fornitore indispensabile, poi vittima dell’autosufficienza del cliente. Ma nel frattempo Nvidia incassa profitti record e accumula potere politico, diventando di fatto il nuovo colosso infrastrutturale della civiltà digitale.

Altman gioca una partita diversa. Non vuole essere il produttore di nulla, ma il nodo centrale di tutto. OpenAI è il catalizzatore di un ecosistema che va dal silicio alla distribuzione del linguaggio naturale. Oracle, AMD e Nvidia sono le braccia operative del suo disegno: costruire un sistema cognitivo planetario in grado di pensare, calcolare e generare valore in modo autonomo. È un modello di capitalismo cognitivo dove il prodotto non è più un bene, ma una forma di intelligenza.

Ciò che sorprende non è la dimensione degli investimenti, ma la velocità con cui tutto questo si sta muovendo. In meno di due anni OpenAI è passata dall’essere una startup di ricerca a diventare la regia invisibile del più grande sforzo infrastrutturale dai tempi di Internet. I suoi partner sono aziende con capitalizzazioni da trilioni, e i governi le osservano come si osserva un nuovo blocco geopolitico. Nvidia controlla l’hardware, Oracle la logistica, AMD l’innovazione sul silicio. E in mezzo, Altman orchestra il tutto con la leggerezza di chi sa che ogni sua parola può spostare miliardi.

L’ironia, forse, è che la nuova intelligenza artificiale non nasce nei laboratori, ma nei consigli di amministrazione. È lì che si decide quanta potenza costruire, dove posizionare i data center, quanta energia assorbire, quante quote azionarie scambiare. Il cervello artificiale del mondo è alimentato da accordi che combinano ingegneria, diplomazia e finanza con la precisione di un circuito stampato.

Mentre gli analisti si interrogano sulla sostenibilità di tutto questo, i protagonisti continuano a stringere mani e firmare protocolli da centinaia di miliardi. OpenAI, Nvidia, AMD e Oracle non stanno solo costruendo un’infrastruttura tecnologica, ma un nuovo ordine economico. Uno in cui la potenza computazionale è il nuovo capitale, e la sovranità energetica è la nuova valuta. In fondo, è sempre stato così: chi controlla l’energia controlla il mondo. Solo che oggi l’energia non è più petrolio, ma calcolo. E il cervello del pianeta, a quanto pare, si costruisce in silicio, con un tocco di arroganza e un pizzico di genialità californiana.