È ufficiale: anche Berlino vuole il suo chip. Non quello da aperitivo, ma quello che, in un mondo dominato da silicio, intelligenza artificiale e geopolitica, vale più dell’oro. Il governo tedesco ha approvato la nuova “Strategia per la microelettronica”, un piano ambizioso che promette di trasformare la Germania in una potenza autonoma nella produzione di microprocessori e tecnologie strategiche. “L’obiettivo è rafforzare l’autonomia europea”, ha dichiarato Stefan Kornelius, portavoce del governo federale, con quella calma teutonica che fa sembrare perfino un piano decennale una faccenda di routine.

Dietro la retorica della “resilienza tecnologica”, però, c’è una corsa disperata contro il tempo. L’Europa produce meno del 10% dei chip mondiali, mentre gli Stati Uniti e l’Asia, con Taiwan in testa, si spartiscono il resto del mercato. La pandemia prima e la guerra in Ucraina poi, hanno mostrato cosa succede quando le catene di fornitura globali si inceppano: fabbriche ferme, settore automotive al palo e governi che scoprono, improvvisamente, che il silicio non cresce sugli alberi.

Al centro della strategia tedesca ci sarà il “Chips Office”, un’agenzia con il compito di coordinare ricerca, industria e amministrazioni pubbliche.
In pratica, un tavolo permanente dove università, aziende e ministeri dovranno parlare la stessa lingua che se fossimo in Italia si tratterebbe di un’impresa forse più complessa della fabbricazione stessa di un processore quantico.

La visione di Berlino è chiara: entro dieci anni la Germania dovrà essere autonoma “nello sviluppo, progettazione e produzione di nuove tecnologie di chip”, con un’attenzione particolare ai chip per l’intelligenza artificiale e per l’industria applicativa. Un obiettivo che, tradotto, significa voler competere con TSMC, Nvidia e Intel senza la rete di fornitura globale su cui questi giganti poggiano da decenni.

La strategia arriva dopo un bilancio amaro delle politiche di incentivo.
Il caso simbolo è quello di Intel a Magdeburg: annunciato come un investimento da 30 miliardi e celebrato come simbolo della rinascita industriale europea, è poi evaporato sotto il sole dell’estate 2024. L’azienda statunitense ha fatto marcia indietro, dimostrando che i sussidi non bastano se il contesto non è competitivo.

Per questo Berlino ora cambia approccio: meno bonus, più ecosistema.
Si punta su università, ricerca pubblica e filiere locali, con incentivi mirati e piani di formazione per competenze specialistiche. La parola d’ordine è “autonomia strategica”, ma con un occhio ai partner europei della Semicon Coalition, l’iniziativa varata dall’UE a fine settembre per rafforzare il settore dei semiconduttori.

Non è un caso che la strategia tedesca citi espressamente i chip per l’intelligenza artificiale. Nell’era in cui il potere computazionale è sinonimo di potere politico, la capacità di produrre chip avanzati significa controllare il futuro stesso dell’AI. Gli Stati Uniti hanno costruito la loro supremazia tecnologica sull’ecosistema Nvidia, Microsoft e OpenAI mentre la Cina, da parte sua, risponde con Huawei e SMIC. L’Europa, invece, tenta di entrare in partita con una mossa da manuale: più laboratorio, meno marketing.

La “Strategia per la microelettronica” tedesca è ambiziosa, forse utopica, ma inevitabile. In un mondo in cui ogni chip è una leva di potere, la Germania non vuole più essere solo un mercato, ma un produttore di cervelli digitali.
E se la storia recente ci ha insegnato qualcosa è che, un eventuale prossimo conflitto, si giocherà più che con i blindati con i semiconduttori.