Immagina lo scenario: un partito fondato sulla libertà, sulla retorica anti-élite, sull’odio per il “governo invadente”, che improvvisamente diventa il guardiano della sicurezza digitale. Ironico? Certo. Ma è quello che sta accadendo mentre il movimento MAGA (Make America Great Again) si contrae in una guerra interna sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale. Da simbolo del laissez-faire, alcuni dei suoi pezzi grossi si tramutano in paladini del “non lasciate che i chat-bot uccidano i nostri figli”.
Al centro c’era il “One Big Beautiful Bill”, il mega disegno di legge fiscale di Trump, che includeva di soppiatto una clausola per bloccare per 10 anni qualsiasi normativa statale sull’AI. Una moratoria che non si chiamava moratoria, un cavallo di Troia legislativo.
Quando la clausola è emersa, è esploso lo scontro. Da un lato i tecnofuturisti Elon Musk, Marc Andreessen, Ted Cruz che ritengono che qualsiasi freno all’innovazione sia un suicidio geopolitico. Dall’altro i populisti duri, come Marjorie Taylor Greene (in Foto), Steve Bannon, Josh Hawley, che hanno fiutato un pericolo: la Silicon Valley che diventa Dio.
Greene ha detto di non saperne nulla quando ha votato la legge: “Avrei votato NO se avessi saputo” ha scritto su X. Hawley è stato tra i primi a esclamare “dobbiamo bruciare questa proposta”. Ma la magia politica ha funzionato: la clausola è stata poi eliminata con un voto di 99 contro 1 al Senato.
Ecco il paradosso: il MAGA che chiede controregole, che teme le élite tecnologiche, che trama contro “big tech”, si è trasformato almeno in parte in un movimento che pretende protezioni sull’AI. È come se un cowboy libertario diventasse giurato di tribunale per la censura dei bot.
Non è solo tattica politica. Dietro c’è una frattura ideologica: chi crede nella supremazia del mercato e chi teme che la tecnologia sovverta l’umano. I populisti si rifugiano in visioni quasi teologiche: “non possiamo essere sostituiti”, “non lasciamo che un algoritmo diventi nostro Dio”. L’evocazione mistica non è decorativa, è strategia.
C’è anche la questione della morale: l’AI che suggerisce il suicidio a un sedicenne, che scrive lettere di addio. Un caso reale. I genitori querelano l’azienda per omicidio colposo. Nel Congresso si torna a discutere dell’onere del danno immediato, non solo delle catastrofi transumaniste.
È interessante notare che molti di questi attacchi anti-AI vengono da dentro lo stesso campo MAGA che una volta venerava qualunque cosa fosse “anti-regole”. Il messaggio subliminale? La tecnologia, se incontrollata, potrà divorare chi l’ha legittimata.
Ora guarda il contesto: la Casa Bianca pubblica un “AI Action Plan” che solleva l’AI da “burocrazia soffocante” e spinge per dominare l’equilibrio globale tecnologico e definisce come “sviluppo responsabile” un regime di deregulation controllata. È la parabola perfetta: l’AI deve essere sicura, ma benedetta dal mercato.
Tra i punti di accordo bipartisan emergenti Trump vs Biden c’è l’idea di regolare internamente l’uso dell’AI da parte del governo federale, identificare i sistemi “high impact”, garantire trasparenza. Ma non abbastanza per soddisfare né gli apocalittici né i fanatici della crescita.
Il vero nodo è: chi controlla il controllore? I tecnici? Gli algoritmi? I popoli? La battaglia MAGA sull’AI è un laboratorio perfetto: mostrarsi come scettici per conservare la legittimità, ma già abbracciare strumenti che nessuno può davvero padroneggiare.
La morale se vuoi è che il populismo tecnologico non è antitecnologia, è ipertecnologia regolata a suo piacimento. E che l’AI è diventata l’ultimo terreno dove il MAGA cerca identità: non soltanto “anti-stato”, ma “protettore dell’umano contro la macchina”.