Curioso vedere OpenAI, il colosso da miliardi, correre come un maratoneta sotto steroidi verso la conquista dell’intelligenza artificiale, mentre Anthropic, con meno clamore e più disciplina, comincia a sembrargli la versione sobria e lucida del futuro. OpenAI costruisce data center da centinaia di miliardi, accumula chip come se fossero riserve d’oro, e si muove come una superpotenza convinta che la scala sia sinonimo di inevitabilità. Anthropic, invece, fa l’opposto. Punta su clienti enterprise, non sui fan di ChatGPT. E i numeri iniziano a farle ragione.

Gli analisti del Wall Street Journal riportano che circa l’80% dei ricavi di Anthropic proviene da imprese, contro appena il 30% di OpenAI. Una differenza che non è solo contabile, ma filosofica. Anthropic ha capito che l’intelligenza artificiale non si monetizza vendendo curiosità al pubblico, ma ottimizzando processi, riducendo errori e generando valore tangibile per le aziende. Oggi vanta circa 300.000 clienti corporate, con un run rate di 7 miliardi di dollari e proiezioni che toccano i 9 miliardi entro fine anno. Non male per una società che, fino a poco tempo fa, veniva considerata la “piccola sorella accademica” di OpenAI.

OpenAI, dal canto suo, continua a dominare la scena pubblica con ChatGPT e i suoi 800 milioni di utenti settimanali. Ma la popolarità non sempre si traduce in profitto. Un chatbot gratuito e virale può essere un successo mediatico, ma resta un rompicapo finanziario. I piani premium, da 20 a 200 dollari al mese, non bastano per giustificare gli investimenti titanici nei chip Nvidia e nelle infrastrutture cloud. L’advertising? Un’idea quasi eretica per un prodotto che vive sull’interazione diretta. Inserire pubblicità in una conversazione con un’AI equivarrebbe a interrompere un meeting con un banner lampeggiante. Il rischio di rendere ChatGPT un ibrido tra un oracolo e un televenditore è reale.

Anthropic invece ha scelto la via meno appariscente ma più redditizia. I suoi modelli Claude, apprezzati per l’affidabilità nel coding, nella redazione legale e nell’analisi finanziaria, sono ormai considerati lo standard de facto per chi lavora in ambito corporate. Una ricerca di Menlo Ventures mostra che il 42% degli sviluppatori AI preferisce Claude per attività di programmazione, contro il 21% che si affida a OpenAI. Quando perfino Microsoft, il partner più stretto di OpenAI, decide di integrare Claude nel suo Copilot, il segnale è inequivocabile: la qualità batte il carisma.

Nel frattempo, la strategia consumer di OpenAI comincia a mostrare le prime crepe. L’apertura a conversazioni “adulte” dentro ChatGPT ha fatto storcere il naso a molte aziende preoccupate per la compliance. I reparti legali non vogliono rischiare che il loro assistente virtuale aziendale venga associato a una piattaforma più nota per l’intrattenimento che per la precisione. OpenAI sta diventando un fenomeno di massa, ma un fenomeno di massa non è necessariamente un partner affidabile per i boardroom che misurano ogni rischio reputazionale come se fosse plutonio.

Anthropic, per contro, è disciplinata fino alla noia. I suoi modelli vengono valutati con criteri da sala riunioni: accuratezza, coerenza, auditabilità. I benchmark indipendenti, come quelli di Vals AI, la piazzano davanti a OpenAI in tutte le categorie che contano per chi gestisce denaro, codice o contratti. Non è glamour, ma è ciò che le imprese vogliono. Claude è meno spettacolare, ma più affidabile. E nel business, l’affidabilità è il nuovo lusso.

C’è poi il fattore infrastrutturale. OpenAI sta spendendo cifre astronomiche per costruire data center proprietari, mentre Anthropic si muove in modo opportunistico, sfruttando l’appoggio strategico di Amazon e Google, i due giganti del cloud. In pratica, Anthropic sta trasformando i suoi investitori in fornitori, una mossa tanto sottile quanto geniale. Mentre OpenAI deve autofinanziare la propria potenza computazionale, Anthropic la riceve in outsourcing dai migliori del settore. È come gestire un ristorante stellato senza dover comprare la cucina.

Il carisma di Sam Altman continua a dominare le prime pagine, ma la narrativa sta cambiando. Altman è il visionario che sogna una superintelligenza globale, mentre Dario Amodei, il CEO di Anthropic, gioca una partita più lunga, più fredda, più aziendale. Non vende sogni, vende efficienza. E le imprese, stanche di esperimenti e demo spettacolari, sembrano preferire il secondo tipo di promessa.

L’ironia è che OpenAI, nata come laboratorio di ricerca idealista, rischia di trasformarsi nella Big Tech più convenzionale di tutte, inghiottita dai propri costi fissi e dalle aspettative del mercato. Anthropic, invece, la “rivale minore”, potrebbe diventare il vero standard del business AI. La storia insegna che la tecnologia non premia sempre chi arriva primo, ma chi arriva utile. E in questo momento, per le aziende che cercano produttività, compliance e ROI, Claude è semplicemente più utile di ChatGPT.

L’intelligenza artificiale aziendale non è un gioco di popolarità, è una guerra di margini e precisione. Chi controlla la fiducia delle imprese controllerà il mercato. Anthropic sembra averlo capito, e mentre OpenAI parla di superintelligenze e data center planetari, Claude si siede nelle boardroom, scrive contratti, verifica bilanci e genera codice pulito. È meno visionario, più concreto. Ma in economia, il concreto paga i conti.