Excel e word entrano nell’era dell’agente artificiale

Il concetto di “vibe coding” aveva già fatto sorridere molti sviluppatori, convinti che bastasse qualche prompt ben assestato per sostituire anni di sudore e notti insonni. Ora però il gioco si fa serio. Microsoft prende quell’idea e la porta dritta dentro la sua macchina da soldi più collaudata: la suite Office. Non più righe di codice improvvisate, ma fogli di calcolo complessi, documenti aziendali e presentazioni PowerPoint generati con un comando testuale. Lo chiamano “vibe working”, ma la sostanza è più brutale: stiamo assistendo all’automazione spinta di attività cognitive che fino a ieri richiedevano eserciti di junior consultant sottopagati.

La nuova modalità agente di Excel e Word è presentata come una naturale estensione di Copilot, il chatbot che Microsoft ha innestato dentro Microsoft 365. Non ci si limita a chiedere una formula o a correggere un testo: si ottiene un intero artefatto, pronto per la riunione del consiglio o per l’ennesima review trimestrale. Un salto qualitativo notevole, perché il modello non si accontenta di rispondere, ma orchestra strutture complesse, simula processi di ragionamento e consegna un prodotto finito che un tempo avrebbe richiesto giorni di lavoro manuale. Non è un dettaglio tecnico, ma una trasformazione economica con implicazioni pesanti sul mercato del lavoro.

Il discorso di Sumit Chauhan, vicepresidente dell’Office Product Group, va letto con attenzione. Quando afferma che la nuova generazione di agenti in Copilot permette di sbloccare la “produttività basata su agenti per gli artefatti di Office”, non sta solo presentando una feature. Sta dicendo, con una certa nonchalance, che il valore professionale di attività considerate fino a ieri core skill – come impostare un modello finanziario in Excel o costruire una narrativa solida in PowerPoint – viene ridotto a commodity. E come ogni commodity, il prezzo tende rapidamente verso lo zero.

C’è un parallelo ironico con ciò che accadde anni fa nello sviluppo software. Il cosiddetto vibe coding ha democratizzato la programmazione, abbassando drasticamente la barriera d’ingresso e trasformando la figura del programmatore in qualcosa di meno elitario. Ora lo stesso processo avviene per i knowledge worker, quei milioni di professionisti che popolano uffici e aziende di consulenza. Se basta scrivere “preparami un documento con analisi di mercato e raccomandazioni strategiche” per ottenere in cinque minuti quello che prima costava cinque giorni, si può immaginare l’effetto domino.

Il modello agente di Excel promette di smontare la complessità delle formule e delle tabelle pivot, rendendo accessibile a chiunque quello che era un territorio esclusivo di analisti esperti. E qui sta l’aspetto più sovversivo: non si tratta di “aiutare” l’utente, ma di sostituirsi a lui. Il consulente junior diventa ridondante, il middle manager si trasforma in un prompt engineer inconsapevole, il CEO ottiene più rapidamente le stesse slide che avrebbe commissionato a un team intero. È un colpo diretto alla catena del valore, che rischia di lasciare scoperte intere industrie.

Ma non illudiamoci che la qualità rimanga invariata. Un agente artificiale può generare in pochi secondi una presentazione “pronta per la lavagna”, come sostiene Chauhan, ma quanto di quel contenuto sarà davvero insight e non semplice riproposizione statistica di dati pre-digeriti? È un dubbio scomodo, che si scontra con la frenesia delle aziende di tagliare costi e accelerare i processi. La tentazione di sostituire l’analisi con il riempimento automatico è troppo forte, e i rischi di banalizzazione del pensiero strategico sono evidenti.

Il paradosso più affascinante è che Microsoft, mentre semplifica Excel e Word, rafforza la propria posizione come gatekeeper della produttività globale. Trasforma Copilot in un agente attivo, non più un semplice assistente, e in questo modo vincola intere aziende a un modello proprietario. Non è solo questione di intelligenza artificiale, è un’operazione di lock-in di proporzioni industriali. E dietro la facciata democratica del vibe working, si cela un disegno preciso: chi controlla l’agente, controlla anche il flusso del lavoro e, di riflesso, i dati.

Il “vibe working” potrebbe diventare una droga per uffici già saturi di riunioni inutili e report che nessuno legge. Perché perdere tempo a scrivere un executive summary quando puoi delegarlo a un agente che lo produce in due secondi? La domanda che resta sospesa è se questa delega radicale porterà a più lucidità o a più rumore. In un mercato dove ogni slide e ogni tabella possono essere generate all’istante, il vero valore non sarà più nel produrre contenuti, ma nel saperli interpretare, filtrare e smontare. E forse qui sta la vera ironia: l’era del vibe working non ci renderà più produttivi, ma ci costringerà a diventare lettori più scettici e selettivi, in un mare di contenuti “perfetti” ma privi di anima.