Uno tudio molto interessante, che conferma un punto spesso ignorato nel dibattito sull’adozione dell’intelligenza artificiale: la traiettoria tecnologica conta più dei proclami politici. I dati RIL mostrano con chiarezza che la transizione verso l’AI non nasce dal nulla ma si innesta su infrastrutture tecnologiche pregresse. Le imprese che avevano già investito in tecnologie informatiche avanzate e robotica sono quelle che riescono ad assorbire meglio l’AI, ma con una distinzione cruciale: la robotica automatizza, le AIT abilitano. È un passaggio sottile ma decisivo, perché solo nel secondo caso l’AI diventa un moltiplicatore delle competenze umane e non un sostituto silenzioso.
La conferma empirica del legame tra AIT e formazione AI-related suggerisce che l’innovazione non si compra, si coltiva. Gli incentivi fiscali, spesso sbandierati come la panacea per la “digital transformation”, mostrano qui il loro limite: se manca la readiness tecnologica e la capacità di assorbimento, ogni sgravio diventa un placebo. È il capitale cognitivo dell’impresa, non quello fiscale, a determinare la qualità dell’adozione.
Colpisce anche l’evidenza sulla complementarità uomo-macchina, perché scardina la narrativa semplicistica della sostituzione. Quando l’AI dialoga con sistemi IT evoluti, il valore emerge proprio dall’interazione con i lavoratori. Quando invece si innesta su strutture robotiche, tende a rafforzare logiche di automazione pura, riducendo l’impatto formativo. In altri termini, l’AI riflette la cultura tecnologica che trova, amplificandone virtù e limiti.
Una lezione che vale anche per i policy maker: spingere l’AI senza consolidare le basi AIT è come installare un motore quantistico su una carrozza. Lo studio di Brunetti, Ricci e colleghi fornisce un raro contributo empirico a una discussione troppo spesso ideologica, e invita le imprese a guardare meno ai bandi e più ai propri percorsi tecnologici interni.
l paper mette in luce, attraverso l’esercizio di PSM, è che gli incentivi funzionano solo per le imprese già forti in termini di capacità digitali. Quello che suggeriamo è che in questo, come in altri casi, sarebbe necessario pensare a politiche più complesse, capaci di entrare davvero all’interno delle imprese e facilitare, dove possibile, l’accumulazione di quel capitale tecnologico e organizzativo che sembra essere il vero motore del cambiamento tecnologico.
Paper : https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/10438599.2025.2573062?src=#:~:text=In%20Italy%2C%206.2%25%20of%20firms,such%20as%20telecommunications%20and%20software.