Reduce dal fervore di COP30 a Belém, dove promesse, impegni e qualche inevitabile selfie politico hanno riempito i corridoi senza che fosse possibile adottare alcuna road map concreta, questa volta a tornare al centro del dibattito climatico è l’Australia, con un messaggio sorprendentemente compatto da parte delle sue grandi compagnie energetiche: puntare sulle rinnovabili non è solo sostenibile, è l’unica mossa sensata per evitare bollette stellari e un crash energetico da manuale. E visto che metà del Paese ancora dipende da centrali a carbone anziane come un modem 56k, la questione è leggermente urgente.

In un rapporto appena pubblicato, oltre dieci tra le principali aziende del settore – tra cui Australian Gas Company (AGC), Origin Energy ed EnergyAustralia – tutte riunite sotto l’Australian Energy Council (AEC), hanno compiuto un gesto che fino a qualche anno fa sarebbe sembrato più futuristico dell’auto volante, ovvero hanno difeso l’obiettivo di neutralità climatica al 2050.

Sì, proprio loro: le compagnie considerate per decenni ancorate ai combustibili fossili. Ci si è resi conto tuttavia che non adottare su larga scala le rinnovabili significa nel medio termine costi più alti di generazione elettrica e bollette più care. Secondo Louisa Kinnear, chief executive dell’AEC, “le rinnovabili saranno tra le fonti più economiche una volta operative”. Il che tradotto significa che il conto iniziale farà un po’ male, ma il menù finale sarà conveniente.

La verità è che l’Australia non ha molta scelta. Quando si parla di carbone siamo abituati a puntare il dito contro l’India e la Cina (sebbene quest’ultima si stia muovendo velocemente nel settore delle rinnovabili), ma ci dimentichiamo spesso che più della metà dell’elettricità nazionale australiana arriva ancora dal carbone. Le centrali stanno, tuttavia, arrivando alla fine della loro vita utile. Molte chiuderanno entro il 2035 e a quel punto la domanda non sarà più “se” investire nelle rinnovabili, ma “quanto ritardo è stato accumulato?”. Non solo in termini di investimenti, perchè è chiaro che sostituire infrastrutture così grandi costa, adattare la rete a fonti intermittenti costa, espandere capacità di stoccaggio e trasmissione costa. Ma anche perché, in termini di competenze e sviluppo di nuove tecnologie, c’è chi, come la Cina, sta già correndo come un centometrista alla ricerca del suo ennesimo primato.

Quello dell’Australia peraltro è un paradosso. L’Australia è uno dei Paesi al mondo con più sole, più vento e più capacità di sviluppo dell’idrogeno. Se non si sostituiscono presto le centrali fossili, il rischio non è solo ecologico, ma economico: blackout, prezzi instabili, perdita di competitività industriale. E da questo punto di vista, COP30 ha reso ancora più evidente che la decarbonizzazione non è un vezzo, ma un percorso obbligato.