Non capita spesso che uno spazio di archeologia industriale trasformato in sala performance riesca a mettere in discussione la percezione stessa della realtà. Ma ieri sera, alla Fondazione Pastificio CERERE, è successo. Franz Rosati, artista visivo e compositore elettroacustico, ci ha portato altrove. Non altrove nel senso naïf dell’arte immersiva per turisti digitali, ma in un luogo difficile da nominare, fatto di vettori, texture e latenza. Più che un’esibizione, una dissezione algoritmica del paesaggio. Se uno volesse trovare una parola per quello che abbiamo visto, dovrebbe forse inventarla.
Rosati non suona e basta. Rosati orchestra macchine. Non macchine come strumenti, ma macchine come entità dotate di linguaggio, memoria e volontà grafica. Il suo setup è chirurgicamente distribuito tra Ableton Live, Max/MSP, TouchDesigner e Unreal Engine. Un’architettura modulare che fa impallidire l’idea stessa di “live performance”, perché qui il tempo reale è una simulazione guidata da dati, da strutture sintetiche e da pulsazioni nervose che sembrano provenire direttamente da una foresta neurale, non da un musicista.