È lì, tra l’asfalto cocente dell’est di Roma e le ciminiere della nostalgia industriale del Tecnopolo Tiburtino, che prende forma il nuovo epicentro della sovranità digitale italiana: Hyper Cloud Data Center. Settantiquattromila metri quadri, cinque data center indipendenti, trenta megawatt di potenza IT. Non è una metafora, è cemento, silicio e fibra. È l’iperbole fisica di un’infrastruttura pensata per ospitare tutto: PMI, hyperscaler, enti pubblici e, volendo, anche l’inconscio algoritmico nazionale. Altro che palazzi ministeriali: il potere oggi si misura in megabit.
Se Google è l’oracolo e l’AI il nuovo profeta, allora i data center sono le cattedrali moderne. Ma a differenza delle basiliche, qui non si prega: si processano dati, si ospitano intelligenze, si alimentano economie. Il campus di Aruba è molto più di un cluster tecnologico: è una dichiarazione di ambizione. Non solo per Roma, ma per l’intero assetto geopolitico delle telecomunicazioni italiane.