La proposta di uno scambio di territori tra Ucraina e Russia, che prevede la cessione di porzioni della regione di Donetsk in cambio di un cessate il fuoco e garanzie di sicurezza occidentali, ha suscitato reazioni di rabbia e incredulità tra le comunità ucraine, in particolare a Slovyansk. Molti residenti considerano questa proposta un tradimento della loro sovranità nazionale e un’offesa alla memoria dei soldati caduti. Svitlana Kuznetsova, che ha perso il nipote in battaglia, ha dichiarato che lascerebbe la sua casa di una vita se le forze russe prendessero il controllo della città.
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Chi pensa che la politica estera sia fatta soltanto di trattati, mappe e accordi segreti non ha capito il ventunesimo secolo. La diplomazia della moda è entrata prepotentemente nel lessico geopolitico e lo ha fatto con un colpo di scena degno di un palcoscenico teatrale: Volodymyr Zelensky che si presenta alla Casa Bianca in giacca nera impeccabile davanti a Donald Trump. L’uomo che era stato sbeffeggiato mesi prima per la sua scelta di indossare abiti militari nelle stanze ovattate del potere americano si trasforma di colpo in icona stilistica, conquistando persino le lodi del presidente più capriccioso della storia recente degli Stati Uniti. Sembra un dettaglio estetico, e invece è un colpo di maestria comunicativa. La guerra in Ucraina non si combatte solo sul fronte orientale, ma anche davanti alle telecamere, e l’immagine di un leader può valere più di un intero pacchetto di armi.

La scena alla Casa Bianca è di quelle che meritano di essere fotografate e incorniciate. Donald Trump passeggia accanto a Volodymyr Zelenskyy e a una manciata di leader europei, mentre i riflettori illuminano sorrisi e strette di mano. Ma dietro la facciata di cordialità si consuma una delle più ciniche trattative geopolitiche degli ultimi anni. L’Ucraina, devastata dalla guerra e sospesa tra disperazione e pragmatismo, ha offerto un pacchetto da 100 miliardi di dollari in acquisti di armi statunitensi per ottenere garanzie di sicurezza dagli Stati Uniti. Una transazione che non è un accordo difensivo, ma un gigantesco contratto commerciale con clausole politiche implicite. “Se ci vendete le armi, ci difendete”, questo il sottotesto brutale.

Non servono più generali geniali, servono algoritmi che sanno uccidere. Il Pentagono lo sa bene. Per questo ha appena firmato un contratto da 50 milioni di dollari con Auterion, una startup svizzera con sede a Zurigo e Arlington, per fornire 33.000 “strike kits” alimentati da intelligenza artificiale all’esercito ucraino. Cosa fanno questi kit? Trasformano droni commerciali da Amazon in killer autonomi. Praticamente, il futuro della guerra costa meno di uno smartphone.
Non parliamo di prototipi da laboratorio, ma di hardware pronto per la spedizione entro fine anno. Le specifiche tecniche fanno rabbrividire quanto entusiasmare chi investe nella difesa next-gen. Il cuore del sistema è Skynode S, un modulo grande come una carta di credito con 4GB di RAM, 32GB di storage e la capacità di navigare, riconoscere bersagli e colpirli anche sotto jamming elettronico. In altre parole: il drone non ha più bisogno di un pilota umano. Vede, pensa e attacca. In autonomia. Chi ha bisogno del joystick quando puoi dare carta bianca a un software che prende decisioni mortali a 100 km/h?

Ramzan Kadyrov, leader ceceno noto per le sue violazioni dei diritti umani e il suo sostegno incondizionato all’invasione russa dell’Ucraina, ha ricevuto in dono un Tesla Cybertruck da Elon Musk.
Ovviamente, Kadyrov non ha perso tempo nell’equipaggiare il veicolo con una mitragliatrice e nell’annunciare l’invio del “Cyberbeast” nella zona di guerra.