Benvenuti nella nuova era della “distant writing”, un concetto introdotto da Luciano Floridi, che si candida ad essere la prossima rivoluzione copernicana della letteratura. Se prima si parlava di “distant reading”, ovvero l’analisi computazionale dei testi su larga scala proposta da Franco Moretti, oggi il pendolo si sposta ancora più in là: non ci limitiamo a leggere macro-pattern letterari, ora li generiamo direttamente con l’ausilio di modelli di linguaggio come GPT.

Dimentichiamoci l’idea romantica dell’autore come demiurgo ispirato: nell’era della “wrAIting“, l’autore è un architetto, uno stratega, un progettista di narrative che affida l’esecuzione alla macchina.Floridi delinea questa pratica in modo chirurgico: l’umano stabilisce requisiti, vincoli e afflati stilistici, il modello linguistico si incarica di eseguire. Un lavoro di “design” più che di “creazione”, un processo iterativo di raffinamento, molto più simile alla progettazione industriale che alla scrittura tradizionale.

È un cambio di paradigma che non solo trasforma la letteratura, ma devasta senza pietà i concetti stessi di creatività, paternità dell’opera e originalità.

Non che sia una novità assoluta: già nell’arte rinascimentale gli artisti più celebri come Raffaello delegavano la realizzazione delle opere agli assistenti. Solo che ora l’assistente non è umano, non ha emozioni, non ha mente: ha solo una “dataprint”, una firma stilistica emergente che Floridi descrive come inevitabile fingerprint computazionale.

Una firma più fredda di quella di qualsiasi bottega, ma allo stesso tempo distintiva, a suo modo quasi inquietante.Ma c’è di più: la “distant writing” non si limita a replicare lo scrivere umano, bensì esplora spazi narrativi boundless, potenzialmente infiniti ma non infiniti in senso platonico.

L’universo narrativo diventa isotropo, plasmabile in qualsiasi direzione purché coerente. Non si tratta più di inventare nuove storie, ma di generare nuovi modi di scriverle, stressando l’impalcatura stessa della narrativa, creando multiversi letterari, network di storie interconnesse, esplorando il “cosa sarebbe successo se” con una facilità e una velocità disarmanti.

Floridi, con il suo cinismo elegante, ci avverte che tutto ciò ha conseguenze devastanti sull’industria editoriale, sulla critica letteraria, sull’insegnamento della scrittura creativa. L’editore dovrà diventare un curatore di prompt e un raffinato conoscitore dei “dataprint” delle IA; il critico dovrà smettere di cercare intenzioni biografiche dove ci sono solo statistiche probabilistiche; il professore di scrittura creativa dovrà insegnare l’arte del “prompt design” più che quella della composizione frase per frase.

Una rivoluzione pedagogica che rovescia il tavolo con una forza brutale, rendendo l’abilità esecutiva irrilevante rispetto alla capacità progettuale.

Ovviamente, tutto questo ha risvolti etici.

L’originalità? Dissolta in una nuvola di remixabilità profonda. Il diritto d’autore? Un ginepraio senza precedenti, dove i confini tra appropriazione e innovazione diventano liquidi come mai prima.

La creatività? Declassata a esercizio combinatorio. In pratica, Floridi ci dice, con la sua impeccabile ironia accademica, che stiamo assistendo non alla morte dell’autore, ma alla sua metamorfosi in meta-autore:

una figura responsabile della progettazione, non dell’esecuzione. Forse, l’unica speranza di salvare un barlume di creatività umana in mezzo alla bulimia produttiva delle IA.Se pensavi che l’avvento della stampa avesse rivoluzionato la cultura, preparati: la “distant writing” non sta solo cambiando come scriviamo, ma cos’è scrivere.

Disponibile qui: Articolo Originale SSRN