C’è un luogo, immerso nel nulla della costa saudita, che sembra uscito da una simulazione di Ray Kurzweil sotto LSD. Un’enclave ipertecnologica, dotata di un supercomputer che fa impallidire il parco server di Google, incastonata in una monarchia teocratica che, fino a due minuti fa, vietava alle donne di guidare. Si chiama KAUST, King Abdullah University of Science and Technology, e se non ne hai mai sentito parlare è perché funziona esattamente come dovrebbe: silenziosa, chirurgica, determinata. Non è un’università. È un vettore strategico con la scusa dell’accademia.

Fondata nel 2009 da re Abdullah (un sovrano più visionario di quanto l’Occidente voglia ammettere), KAUST è una bomba culturale camuffata da campus. La prima università mista del regno, dove uomini e donne condividono aule, laboratori e, chissà, forse pure qualche idea sovversiva. Per la società saudita è stato uno shock. Per il potere, invece, un’evoluzione darwiniana in giacca d’alta tecnologia. Il vero obiettivo? Colonizzare le menti prima che la Silicon Valley si accorga di essere diventata un supermercato per petrodollari.
La parola chiave non è “istruzione”. È “infiltrazione”.
KAUST ha l’endowment da capogiro. Una potenza di fuoco finanziaria che non sfigurerebbe nemmeno al tavolo di poker delle Ivy League. Ma al contrario di Harvard o MIT, che si crogiolano nella loro legacy, KAUST agisce. Investe. Scommette. Acquista. E lo fa con una precisione chirurgica degna di un fondo sovrano sotto steroidi.
Gli investimenti nella Silicon Valley? Non sono solo operazioni speculative. Sono escursioni geopolitiche sotto mentite spoglie. Quando un’università saudita mette 200 milioni di dollari su startup americane non sta cercando il prossimo unicorn tecnologico. Sta cercando il prossimo punto d’appoggio in un mondo che si governa sempre meno con la politica e sempre più con gli algoritmi.
Vision 2030 non è un programma di riforme. È un progetto di conquista

MBS Mohammad bin Salman non vuole un regno più aperto. Vuole un impero tecnologico. KAUST è il laboratorio. Neom è la vetrina. Aramco è il portafoglio. E il PIF (Public Investment Fund) è il grimaldello per entrare dove i sauditi, fino a ieri, non erano neanche invitati.
C’è un’aria di rivincita neocoloniale in tutto questo. L’Occidente ha sfruttato per decenni il petrolio arabo per alimentare le sue macchine. Ora le monarchie del Golfo si comprano direttamente quelle macchine. Letteralmente. Lucid Motors, startup di auto elettriche, è solo l’inizio. Quando firmi un accordo con KAUST, non stai stipulando una partnership accademica. Stai stringendo un patto con una visione.
E qui la narrazione si sporca. Perché l’innovazione, quella bella e pulita che ci vendono con le slide colorate e i TED Talk, ha un prezzo. Non è mai gratuita. Chiedetelo a Jamal Khashoggi. O meglio, chiedetelo ai CEO che, dopo il suo omicidio, hanno finto indignazione per 48 ore, per poi tornare con la coda tra le gambe a bussare ai fondi sauditi. Uber, Magic Leap, SoftBank Vision Fund – tutti hanno preso il denaro. Perché il denaro, come il petrolio, sporca solo chi non sa usarlo.
La Silicon Valley è diventata un’arena geopolitica. Gli investitori non sono più venture capitalist col cappuccio di Patagonia e il MacBook pieno di sticker woke. Sono emissari strategici di Stati-nazione che usano la tecnologia come leva d’influenza. E KAUST, con la sua faccia pulita e i suoi paper peer-reviewed, è perfetta per entrare dalla porta principale.
La vera domanda non è “perché un’università saudita investe nella tecnologia americana?”. È: “Perché l’America glielo permette?”. La risposta, ovvia, è che l’America ha fame. Fame di capitale. Fame di consenso. Fame di crescita. E quando hai fame, non chiedi chi ha cucinato. Mangi.
Curiosità da bar: nel 2017, mentre Trump e MBS stringevano accordi da 110 miliardi di dollari, al campus di KAUST si studiava come desalinizzare l’acqua a costi irrisori. La stessa acqua che, nel prossimo futuro, deciderà le guerre più delle pipeline.
Questa storia ci racconta qualcosa di scomodo. Che la scienza non è neutrale. Che l’innovazione non è apolitica. E che, in un mondo sempre più ibrido tra codice e capitale, chi finanzia l’infrastruttura ha già scritto il codice sorgente del futuro.

KAUST non sta più giocando. Sta ridefinendo le regole del gioco
E se pensi che tutto questo sia esagerato, aspetta di vedere cosa succede quando le università americane inizieranno a copiare il modello saudita. Non per ideologia, ma per sopravvivenza.
Nel frattempo, prepariamoci a vedere crescere una nuova élite accademica, non in Europa o negli USA, ma nella sabbia. Dove prima c’erano solo cammelli e petrolio, ora ci sono droni, AI e criptovalute. Il deserto è il nuovo laboratorio del futuro. E chi ride ancora dei beduini non ha capito nulla del XXI secolo.