Sei pronto per una guerra combattuta da software e sensori invece che da uomini? No? Peccato, perché il Regno Unito ha deciso che è esattamente lì che stiamo andando. Il segretario alla Difesa britannico John Healey, con una dichiarazione dal sapore vagamente apocalittico e una strategia che sembra uscita da un pitch di venture capital del 2015, ha annunciato che l’intelligenza artificiale sarà il cuore pulsante della nuova Strategic Defence Review.

Per capirci: niente più carri armati che impiegano quindici anni per arrivare (ciao, Ajax), ma algoritmi pronti in settimane, magari scritti da contractor che il giorno prima lavoravano su un’app per ordinare sushi. Il keyword principale? Intelligenza artificiale militare. Le keyword collaterali? Difesa britannica, procurement bellico. Il tono? Quello dell’urgenza tecnologica a velocità di guerra.

Sì, perché oggi sostiene Healey l’80% delle vittime sul campo in Ucraina non muore più per l’artiglieria, ma per i droni. E no, non stiamo parlando di quei droni consumer da Black Friday. Stiamo parlando di sistemi autonomi con capacità di riconoscimento target, weapon selection automatica e una durata di vita media che fa impallidire i più precoci smartphone Android: settimane. Non anni. Non mesi. Settimane.

Traduzione: il ciclo di procurement militare tradizionale, quello da dieci-dodici anni, è morto. Finito. Bruciato sul campo insieme all’ultimo tender da 3 miliardi per una flotta di elicotteri che arriveranno nel 2042. Ora si parla di sistemi che vanno testati sul campo anche se non del tutto finiti. MVP bellici, direbbe uno startupper con l’elmetto.

L’idea è semplice e brutale: se vuoi vincere, devi innovare alla velocità della guerra. Non importa se il sistema non è perfetto. Lo mandi in battaglia, vedi cosa combina, e poi lo iteri. In pratica, stiamo agilizzando la guerra. Scrum con la mimetica. DevOps coi droni.

Nel frattempo, si attiva il solito effetto collaterale: l’industria della difesa britannica quella che negli ultimi anni sembrava più un residuato bellico della Thatcher che un pilastro industriale del XXI secolo torna improvvisamente sexy. Perché? Perché l’Europa ha finalmente sbloccato l’accesso delle aziende UK ai 150 miliardi del Fondo Difesa Europeo. Sì, avete letto bene: centocinquanta miliardi di euro. Un bottino che farebbe gola a chiunque, soprattutto se stai cercando di costruire un arsenale di software killer e droni assassini. Letteralmente.

E qui arriva Palantir. Sì, quella Palantir. La creatura distopica di Peter Thiel l’amico dei Trumpiani, il fondatore paranoico-conservatore con una fissazione per il controllo e la sorveglianza. Ma anche, paradossalmente, il partner perfetto per chi vuole digitalizzare un esercito. Palantir vende sistemi di targeting automatico usati già in Ucraina e, controversamente, anche a Gaza. Healey difende Palantir a spada tratta: “Hanno innovazioni importanti, e quando lavorano con noi, le regole le fissiamo noi”. Più che rassicurante, suona vagamente come “li teniamo al guinzaglio… per ora”.

Il governo inglese, nella sua solita schizofrenia tra grandeur post-imperiale e pragmatismo neoliberista, ora promette di mettere insieme un fondo unico per l’AI militare. Un barile digitale da cui attingere milioni per comprare sistemi intelligenti, droni letali, e — probabilmente — software pieni di bug che verranno patchati mentre fluttuano sopra i cieli del Baltico.

La vera perla, però, è questa: l’intera revisione strategica è stata in parte scritta con l’intelligenza artificiale. Hai capito bene. Hanno dato in pasto 8.000 risposte di stakeholder esterni, più di 2 milioni di parole, a un sistema di lettura automatica che ha generato sintesi e analisi. È come se ChatGPT avesse scritto l’agenda di guerra del Regno Unito. O forse, l’ha davvero fatto. In tal caso, salve colleghi.

C’è un’ironia involontaria che sconfina nell’autoparodia: mentre ci si preoccupa di quanto sia rischioso usare AI in ambito civile — i bias, la trasparenza, le derive autoritarie nessuno si fa troppi scrupoli a delegare le decisioni di vita o di morte in teatro bellico a un sistema addestrato su milioni di immagini satellitari e log provenienti da guerre precedenti. È la meritocrazia della morte: se sei bravo a riconoscere pattern, puoi bombardare.

Ah, dimenticavo: niente Iron Dome britannico, niente giocattoloni da copertina con missile su rampa e bandiera sventolante. Troppo costoso, dicono. Meglio spendere per software più intelligenti, meno visibili, più economici. E potenzialmente più letali. Del resto, oggi la vera difesa non si fa a casa propria, ma nella rete globale di sensori, dati e attacchi preventivi. L’ultima linea non è più il radar. È il dataset.

Nel futuro prossimo, la guerra sarà una dashboard. E la strategia? Una funzione predittiva. Sperando che nessuno prema invio per sbaglio.