Mentre a Wall Street si brinda all’ennesimo record storico di Nvidia, in un angolo meno chiassoso del pianeta qualcuno sta costruendo una rete invisibile. Silenziosa, a basso costo, brutalmente efficiente. Si chiama DeepSeek, arriva da Hangzhou, e ha appena fatto saltare il banco della narrativa occidentale secondo cui l’intelligenza artificiale avanzata sarebbe un’esclusiva americana, magari con hardware made in Taiwan. No, perché la Cina, senza troppo rumore, si prepara a investire tra i 600 e i 700 miliardi di yuan nel solo 2025 in capex per l’AI. Tradotto: fino a 98 miliardi di dollari, con una crescita annuale prevista del 48%.

Questi numeri non arrivano da qualche think tank di partito, ma da Bank of America. E la cosa interessante non è tanto l’entità della spesa, quanto la sua composizione: solo 172 miliardi di yuan verranno da colossi privati come Alibaba e Tencent. Il grosso, ben 400 miliardi, è investimento statale, diretto. L’equivalente di una manovra finanziaria, ma fatta per rendere la Cina indipendente dal chip californiano per eccellenza.

C’è un termine per tutto questo: sovranità computazionale. E in Cina, la si persegue non con post su X o dichiarazioni di CEO in giacca di pelle, ma con un esercito di bulldozer, data center, reti elettriche e innovazione frugale. DeepSeek, la startup che ha rilasciato due modelli open source – V3 e R1 – a costi ridicoli rispetto a quelli di OpenAI o Anthropic, è il canarino nella miniera. Un segnale chiaro: non serve un H100 per ogni esperimento. Serve un piano, e serve replicabilità.

Nel frattempo, Alibaba ha annunciato 380 miliardi di yuan in tre anni per l’infrastruttura AI. Tencent ha quadruplicato la sua spesa AI nell’ultimo trimestre del 2024, raggiungendo 36,6 miliardi di yuan. Ma il vero colpo di scena non è nei numeri, è nella destinazione. A differenza degli Stati Uniti, dove i fondi vanno in buona parte in chip e hardware IT – leggi Nvidia – la Cina investe su scala nei data center e nell’energia necessaria a farli funzionare. Infrastruttura, non solo silicio. E lo fa pensando al lungo periodo, con un piano nazionale che prevede sinergia tra AI e rinnovabili. I data center verdi non sono più esperimenti da ricerca universitaria, ma assi strategici di politica industriale.

Si chiama Piano d’Azione e coordina sviluppo AI e energia pulita. Esiste. È pubblico. E non è solo retorica. Secondo il report BofA, la domanda di rame e apparecchiature elettriche crescerà a un ritmo del 20% annuo da qui al 2030. Le soluzioni di raffreddamento a liquido? Più 57% già nel prossimo anno. Questo non è un ciclo tech: è una rivoluzione industriale in corso.

Ora, la domanda è inevitabile: con una Cina che costruisce data center come se fossero centrali nucleari e modelli AI che funzionano senza GPU Nvidia, stiamo assistendo all’inizio della fine del dominio del colosso californiano?

Dipende da cosa si intende per dominio. Certo, Nvidia detiene ancora il controllo su una fetta critica dell’hardware AI avanzato, e i suoi margini lo dimostrano. Ma l’AI è un’industria di filiera, non un prodotto finito. E quando una superpotenza decide di verticalizzare, può resistere anche senza i migliori chip. Può costruire strati inferiori – energia, storage, comunicazione – mentre lavora a quelli superiori. Huawei lo sta già facendo. Non avrà gli H100, ma ha una roadmap. E in Cina, le roadmap diventano realtà con una puntualità che fa impallidire le quarterly earnings americane.

La competizione con gli Stati Uniti, dicono da Pechino, non si gioca solo sui chip. È una questione di capacità sistemica. Gli americani costruiscono Stargate, un programma da 500 miliardi di dollari per data center avanzati. La Cina risponde con capex statale e DeepSeek, il cavallo di Troia open source che può ridurre le barriere d’ingresso per l’AI domestica.

Il vero punto è che Nvidia è dominante finché il paradigma resta quello attuale: modelli enormi, GPU avanzate, centralizzazione. Ma se il paradigma cambia? Se l’efficienza diventa la variabile chiave? Se modelli piccoli e distribuiti si diffondono come standard? Allora Nvidia rischia di diventare il mainframe IBM dell’era post-LM. Ancora indispensabile, ma sempre più isolato.

Certo, non sarà domani. Gli Stati Uniti hanno ancora il vantaggio tecnologico netto. Ma Pechino gioca su un orizzonte più lungo. E intanto, la distanza si riduce. Chip o non chip, la Cina costruisce. E quando finisce di costruire, apre il rubinetto. Di dati, di modelli, di capitale. Non è un’ondata speculativa, è una strategia industriale.

La vera minaccia al dominio di Nvidia, in fondo, non viene da un altro chip. Viene da un’altra idea di come si fa AI. E quella, per ora, parla mandarino.