La vicenda giudiziaria che vede protagonista Elon Musk, la sua startup xAI e l’ormai onnipresente OpenAI è un condensato perfetto di ciò che significa vivere nella nuova “guerra fredda” dell’intelligenza artificiale. Da un lato abbiamo il solito Musk, l’uomo che riesce a trasformare ogni controversia legale in un palcoscenico mediatico globale. Dall’altro, un ex ingegnere, Xuechen Li, accusato di aver sottratto segreti industriali preziosi per portarli direttamente in casa del nemico. La narrativa è quasi hollywoodiana: lo scienziato che fugge con i documenti segreti e la multinazionale tradita che corre in tribunale per fermare l’emorragia. Ma dietro la sceneggiatura, c’è molto di più.

La denuncia depositata in California parla chiaro: Li avrebbe trafugato materiale riservato riguardante Grok, il chatbot di xAI, spacciato come tecnologicamente superiore rispetto a ChatGPT. Un dettaglio che vale oro, perché non si tratta solo di software, ma di architetture, modelli di addestramento, pipeline di ottimizzazione. Non stiamo parlando di codici scaricabili da GitHub, ma di conoscenza tacita accumulata in mesi di lavoro, la vera materia prima dell’AI generativa. In altre parole, il petrolio del ventunesimo secolo.

Curioso notare come OpenAI, pur non essendo formalmente imputata in questa causa specifica, si ritrovi ancora una volta al centro del ciclone. Musk la accusa di avere perso la sua vocazione originaria, quella di creare un’intelligenza artificiale per il bene dell’umanità, per virare invece verso un modello spudoratamente commerciale. Non a caso, qualche mese fa, ha intentato un’altra causa proprio contro Sam Altman, trasformando l’ex sodale in avversario diretto. Le contrapposizioni ideologiche diventano così conflitti economici e, inevitabilmente, guerre legali.

Ciò che colpisce è la tempistica. Li avrebbe lasciato xAI, vendendo contestualmente 7 milioni di dollari di stock option, e poco dopo si sarebbe insediato in OpenAI. Lo schema è familiare nella Silicon Valley: il talento che cambia casacca non solo per uno stipendio più ricco, ma per un accesso immediato a infrastrutture e potere di calcolo che poche realtà al mondo possono permettersi. È la dimostrazione plastica di come oggi il capitale umano e il capitale computazionale siano le due valute reali per dominare l’AI.

L’elemento ironico, quasi grottesco, è che Musk si trova costretto a proteggere i suoi segreti industriali esattamente come quelle big tech che per anni ha criticato per monopolismo. Eppure, mentre xAI denuncia furti e manovre oscure, la stessa azienda cita nei documenti legali che le sue tecnologie sarebbero “più innovative e immaginative” di ChatGPT. Un’affermazione che, se confermata, aprirebbe scenari inquietanti per la supremazia nel mercato degli assistenti virtuali.

Il contenzioso svela anche l’altro lato del boom dell’intelligenza artificiale: il reclutamento aggressivo dei migliori cervelli. Le aziende non competono soltanto sul prodotto finito, ma su chi riesce a trattenere o sottrarre gli ingegneri capaci di spostare l’ago della bilancia. È una corsa che ha il sapore del doping tecnologico, dove ogni nuova assunzione viene letta come un colpo di mercato, non diversamente da quanto accade nel calcio europeo. Solo che qui non si tratta di attaccanti o difensori, ma di modelli linguistici capaci di ridefinire il lavoro, l’informazione e forse la democrazia stessa.

La posta in gioco è altissima. Se le accuse di xAI fossero fondate, OpenAI potrebbe trovarsi a gestire non solo una tempesta reputazionale, ma anche un’arma competitiva senza precedenti. Se invece dovessero cadere, Musk si ritroverebbe come l’imprenditore che urla al complotto, trasformando un sospetto in un boomerang mediatico. È il paradosso di chi gioca sempre sul filo tra visione e provocazione, rischiando di bruciare credibilità mentre difende la sua creatura.

Intanto il mercato osserva e prende appunti. Ogni causa legale, ogni fuga di notizie, ogni accusa diventa un tassello nella narrativa più grande: la battaglia per il dominio sull’intelligenza artificiale generativa. Oggi Grok contro ChatGPT, domani forse nuovi contendenti pronti a rivendicare la loro porzione di futuro. Una cosa però è chiara: i tribunali stanno diventando l’arena parallela di questa guerra, perché la vera supremazia non si gioca solo nei data center, ma anche tra faldoni, giudici e avvocati.