I data center non sono più soltanto “fabbriche di bit”: se guidati da una visione strategica, possono diventare leve di competitività, occupazione e sostenibilità per l’Italia. È quanto emerge dal Position Paper “L’Italia dei data center. Energia, efficienza, sostenibilità per la transizione digitale”, presentato al Forum di Cernobbio da TEHA Group in collaborazione con A2A. Secondo lo studio, lo sviluppo del settore potrebbe contribuire dal 6% al 15% della crescita annuale del PIL nazionale, abilitando fino a 150.000 nuovi posti di lavoro tra diretti, indiretti e indotti. Numeri che confermano come i data center siano ormai infrastrutture strategiche, indispensabili per sostenere la diffusione di AI, IoT e cloud computing.

Italia: da periferia digitale a polo strategico

Nel 2024 i data center censiti nel mondo erano 10.332, oltre la metà negli Stati Uniti. L’Europa, con 2.254 strutture, rappresenta la seconda area per capacità installata. L’Italia, con 168 data center e 513 MW di potenza installata, si colloca al 13° posto globale, ma mostra segnali di crescita rapida: Milano e la Lombardia stanno emergendo come hub strategici, grazie anche alla saturazione dei grandi poli tradizionali (Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi, Dublino).

Milano concentra già il 46% della capacità nazionale (238 MW), superando piazze consolidate come Madrid e Zurigo e attirando l’interesse degli investitori internazionali.

Energia: la vera sfida competitiva

Lo sviluppo degli hub digitali non è privo di sfide. Entro il 2035 i consumi globali dei data center potrebbero quadruplicare, passando da 371 TWh a 1.600 TWh (pari al 4% della domanda elettrica mondiale). In Italia, la potenza installata potrebbe raggiungere i 4,6 GW, con un impatto sui consumi nazionali compreso tra il 7% e il 13%.

Da qui l’urgenza di una strategia energetica integrata. L’Unione Europea ha già definito KPI stringenti sulla sostenibilità dei data center, con il 75% degli indicatori legati all’efficienza energetica.

Il Position Paper individua quattro leve chiave:

  • Recupero di calore per alimentare reti di teleriscaldamento;
  • Utilizzo di aree brownfield per ridurre il consumo di nuovo suolo;
  • Power Purchase Agreements (PPA) per garantire forniture energetiche rinnovabili e tracciabili;
  • Valorizzazione dei RAEE, con modelli industriali circolari.

Esempi concreti sono già attivi: a Brescia, il data center Qarnot di A2A recupera calore di scarto per riscaldare 1.350 appartamenti. A Milano, dal 2026, il progetto Avalon 3 immetterà oltre 15 GWh di energia termica l’anno nella rete cittadina.

Oltre l’infrastruttura: un ecosistema strategico

Per i C-level e i decision maker del settore IT, il messaggio è chiaro: i data center non sono più una commodity, ma piattaforme abilitanti per la competitività digitale del Paese. Se l’Italia saprà adottare le best practice europee, la Data Economy nazionale — oggi pari a 60,6 miliardi di euro (2,8% del PIL) — potrebbe crescere fino a 207 miliardi entro il 2030.

Come sottolinea Roberto Tasca, Presidente di A2A, “integrare rinnovabili, efficienza e modelli circolari vuol dire trasformare una necessità tecnologica in un’opportunità sociale, economica e ambientale. Governare con lungimiranza questa transizione significa rendere le città più green e garantire che la digitalizzazione diventi una risorsa condivisa”.

Per quello che possiamo vedere, il futuro dei data center italiani si giocherà sulla capacità di coniugare efficienza, sostenibilità ed espansione industriale. Milano e la Lombardia sono già sulla mappa europea dei grandi hub digitali, ma serve una visione nazionale per trasformare queste infrastrutture da “consumatori energivori” a motori di crescita e resilienza digitale.