Robyn Denholm, presidente di Tesla, ha lanciato un appello quasi disperato agli azionisti: sostenere il pacchetto di compensi da un trilione di dollari per Elon Musk o rischiare di vederlo lasciare la guida dell’azienda. Nella sua lettera, Denholm ha scritto che “senza Elon, Tesla potrebbe perdere un valore significativo”, una frase che suona più come una minaccia che come un’analisi. Il voto si terrà il 6 novembre, ma il dibattito è già feroce.

Il pacchetto proposto è il più grande della storia aziendale americana, più grande persino del precedente piano da 56 miliardi del 2018, poi annullato da un tribunale del Delaware per mancanza di trasparenza. Questa volta la cifra è astronomica: 12 tranche di azioni vincolate a obiettivi quasi fantascientifici, tra cui una capitalizzazione di mercato di 8,5 trilioni di dollari e 20 milioni di auto prodotte, oltre a milioni di robotaxi e robot alimentati da intelligenza artificiale. È la visione di Musk nella sua forma più pura: un mix di ambizione, arroganza e ingegneria del futuro.

Denholm ha cercato di rendere il voto una questione di identità più che di finanza. “Volete trattenere Elon come CEO e motivarlo a portare Tesla a diventare la società più preziosa del mondo?”, ha chiesto agli azionisti. La risposta non è scontata, perché alcuni grandi investitori, insieme a società di consulenza come ISS e Glass Lewis, hanno già espresso contrarietà, denunciando la sproporzione del piano e i conflitti interni del consiglio di amministrazione. In altre parole, temono che Tesla sia ormai diventata un culto della personalità più che un’impresa.

Dietro le cifre da capogiro c’è una tensione più profonda. Tesla non è più semplicemente un produttore di auto elettriche, ma un esperimento di convergenza tra intelligenza artificiale, robotica e mobilità autonoma. Musk ne è il perno e l’ostacolo insieme: la sua genialità e la sua imprevedibilità hanno spinto Tesla oltre i limiti del possibile, ma ora la società è costretta a pagare il prezzo della sua dipendenza dal suo fondatore.

Denholm parla di un “punto di svolta critico”. Lo è davvero, ma non solo per Tesla. È un test sul futuro del capitalismo tecnologico, quello in cui il valore di un’azienda si misura non tanto in risultati concreti quanto nella capacità di un visionario di riscrivere le regole del gioco. Se Musk dovesse lasciare, Tesla perderebbe forse il suo fuoco creativo, ma potrebbe anche scoprire se la sua rivoluzione può sopravvivere senza il suo profeta.

Gli azionisti hanno tempo fino al 5 novembre per decidere. Non stanno solo votando un piano di compensi. Stanno votando se il genio è sostituibile o se l’impresa del futuro è destinata a restare prigioniera del suo stesso mito.