OpenAI ha appena fatto un passo che ridefinisce la frontiera dell’identità digitale con l’aggiornamento di Sora 2, l’app di generazione video basata su intelligenza artificiale. Ora gli utenti possono trasformare praticamente qualsiasi cosa in un avatar riutilizzabile. Non solo volti umani, ma anche animali domestici, illustrazioni, giocattoli, o qualsiasi oggetto che possa assumere una forma “personificata”. Li chiamano character cameos, e sono il nuovo tassello nel mosaico dell’evoluzione di Sora verso un ecosistema di creazione narrativa completamente automatizzato.
Ogni cameo può essere gestito con un sistema di permessi che distingue nettamente l’identità digitale dell’utente da quella del suo alter ego generato. È possibile mantenerlo privato, condividerlo con un gruppo ristretto o renderlo pubblico, come se fosse un personaggio open source. Un’idea che suona tanto affascinante quanto inquietante, soprattutto se si considera che la distinzione tra persona e personaggio, tra vero e sintetico, sta diventando una linea sottile come un pixel.
La novità si lega alla possibilità, già introdotta in versioni precedenti, di creare deepfake autorizzati. Ora però Sora amplia il concetto di “io digitale” a qualunque soggetto. Il risultato è un laboratorio di meta-identità dove l’immaginazione diventa codice e il codice diventa volto. Ogni personaggio ha un nome, un handle e può essere taggato nei video, proprio come un attore virtuale con un contratto collettivo d’intelligenza artificiale.
La tempistica è intrigante. L’aggiornamento arriva mentre OpenAI è finita nel mirino di una causa legale da parte della piattaforma Cameo, che accusa l’azienda di aver usato impropriamente il termine “cameo”. Una disputa semantica, ma anche simbolica, che mostra come la proprietà dei nomi e delle identità digitali stia diventando il nuovo terreno di scontro tra creatori umani e aziende di AI.
Parallelamente, Sora introduce la possibilità di unire più clip per creare video più lunghi e strutturati, in una sorta di montaggio automatico che porta la produzione cinematografica dentro la logica del prompt. A completare il quadro arrivano le leaderboard, che mostrano i video e i personaggi più popolari, trasformando l’app in un social network della creatività generativa, dove la popolarità non si misura più in like ma in remix.
Per stimolare la diffusione, OpenAI ha temporaneamente aperto l’accesso a Sora negli Stati Uniti, in Canada, Giappone e Corea, eliminando la necessità di un invito. Una mossa strategica per alimentare la crescita della community proprio mentre la piattaforma entra in una fase cruciale di sperimentazione identitaria.
Il vero punto, tuttavia, non è la tecnologia ma la filosofia implicita. Se ogni oggetto può diventare un avatar, e ogni avatar può vivere indipendentemente dal suo creatore, allora la creazione video AI non è più solo un atto artistico, ma una forma di clonazione culturale. L’ironia è che mentre il mondo discute di privacy e autenticità, Sora costruisce un universo dove tutto può essere reinterpretato, ricombinato, rimesso in scena.
OpenAI non sta solo offrendo uno strumento di creatività, ma sta ridefinendo il concetto stesso di presenza digitale. Con Sora 2, l’identità diventa un servizio, il volto una licenza e la narrazione un loop continuo. La prossima generazione di contenuti non sarà fatta da autori, ma da entità create dagli autori che a loro volta verranno reinterpretate da altre AI. E forse è proprio questo il futuro: un palcoscenico infinito dove ogni volto, reale o immaginato, può tornare in scena ancora e ancora.