Nel cuore ipercompetitivo dell’industria automobilistica cinese, Xpeng ha deciso di riscrivere il concetto di mobilità intelligente, e di farlo con una certa spavalderia. Non si accontenta più di giocare nel campionato degli “smart EV”. Ora vuole diventare il simbolo di una nuova era in cui auto, robot e persino veicoli volanti convivono in un ecosistema guidato dall’intelligenza artificiale. Nel 2026, promette il CEO He Xiaopeng, i cittadini cinesi potranno salire su un robotaxi interamente autonomo, prenotabile tramite Amap, l’app di mappe di Alibaba. Sarà il debutto commerciale di un’idea che fonde visione, linguaggio e azione in un solo modello cognitivo: il VLA.

L’obiettivo non è solo tecnologico. È un colpo diretto al cuore del business automobilistico globale, che si sta spostando dal prodotto al servizio, dal possesso alla fruizione. Se Tesla ha fatto da apripista con il Full Self Driving, Xpeng risponde con una versione che, a detta di He, disinnesca i limiti della concorrenza. In un test comparativo, il sistema FSD di Tesla ha richiesto sette interventi umani in 54 minuti di guida autonoma. Il modello VLA di Xpeng ha completato lo stesso percorso in 49 minuti, con un solo intervento. Numeri che, se confermati su larga scala, cambiano il gioco. L’intelligenza artificiale di nuova generazione non descrive più il mondo con parole: lo percepisce e lo interpreta come un essere vivente digitale.

Dietro il clamore mediatico, c’è una strategia di integrazione verticale degna delle più ambiziose visioni da Silicon Valley. Xpeng non si limita a usare AI, ma la costruisce. Le sue auto saranno alimentate da quattro chip proprietari chiamati Turing AI, sviluppati internamente per garantire potenza di calcolo e sicurezza ridondante su tutti i sistemi critici, dal freno alla visione artificiale. Tutto questo a un prezzo sotto i 200.000 yuan, meno di 28.000 dollari. Un messaggio chiaro a Tesla e ai costruttori occidentali: l’AI non è più un lusso, è un diritto di massa.

Ciò che rende interessante la partnership con Amap non è solo la funzionalità di prenotazione integrata, ma la costruzione di un ecosistema digitale cinese completamente autonomo dall’infrastruttura occidentale. He Xiaopeng conosce bene l’universo Alibaba: ne è stato parte dopo aver venduto UCWeb nel 2014, prima di lanciare la sua nuova sfida. La scelta di Amap come piattaforma per i robotaxi è dunque tanto tecnica quanto simbolica. È la riaffermazione dell’auto cinese come prodotto e servizio sovrano, capace di vivere senza dipendere da Google Maps o da software made in USA.

Il tono provocatorio di He emerge anche quando parla del suo VLA come di un cervello sintetico in grado di “imparare dal mondo visivo senza bisogno di traduzioni linguistiche”. Una dichiarazione che, a suo modo, rovescia il paradigma del linguaggio come intermediario della conoscenza. È un’intelligenza più “umana” proprio perché non parla, ma vede e agisce. In un certo senso, è il passaggio definitivo dall’AI conversazionale all’AI incarnata, una transizione che anticipa il futuro del mercato dei robot autonomi.

E qui arriva l’altra metà del piano: i robot umanoidi Iron e le auto volanti Aridge e A868. Se tutto procede secondo i piani, il 2026 sarà l’anno in cui Xpeng produrrà 1.000 robot con capacità di dialogo, movimento e interazione, e 10.000 veicoli volanti con autonomia superiore a 500 km e velocità oltre 360 km/h. Non è un esercizio di stile, ma la dichiarazione che la mobilità si sta sganciando dai limiti terrestri. Il CEO non nasconde la sua ambizione: “Nel 2030, l’auto sarà solo una delle molte forme della mobilità intelligente”. È il tipo di frase che, pronunciata da un manager occidentale, suonerebbe come futurismo da palco. In Cina, è una roadmap di business.

Dietro la patina visionaria, Xpeng dimostra una consapevolezza strategica che molti competitor occidentali faticano a replicare. Mentre Tesla lotta con la regolamentazione americana e con un mercato che ha già raggiunto la saturazione del hype, la casa cinese si muove in un contesto in cui il governo sostiene la sperimentazione tecnologica come strumento geopolitico. Le città cinesi stanno diventando laboratori a cielo aperto per la guida autonoma, con infrastrutture dedicate e reti 5G progettate per la comunicazione veicolo-veicolo. Xpeng non sta solo costruendo auto, ma sta colonizzando la prossima frontiera del software on wheels.

C’è anche un dettaglio che i mercati non dovrebbero ignorare: Volkswagen ha deciso di adottare il modello VLA di Xpeng nei suoi nuovi veicoli già dal 2026. È la prima volta che un colosso europeo integra in modo così esplicito una tecnologia AI sviluppata da una casa cinese. È un segnale della nuova geografia dell’innovazione, dove la Cina non è più il produttore low-cost ma il laboratorio dell’intelligenza applicata alla mobilità.

La promessa dei robotaxi come business da trilioni di dollari non è più una proiezione teorica. È un settore che sta emergendo con la stessa inevitabilità con cui l’e-commerce ha divorato il retail tradizionale. L’auto autonoma non sarà solo un mezzo, ma un terminale cognitivo in rete. Ogni corsa produrrà dati, ogni dato alimenterà l’AI, e ogni miglioramento dell’AI renderà più competitiva la piattaforma. È la perfetta spirale dell’intelligenza autoalimentata.

Certo, restano i dubbi sulla sicurezza, sulla privacy e sulla sostenibilità economica di un modello che promette di sostituire milioni di conducenti umani. Ma in un paese in cui la velocità dell’innovazione è un valore politico, la questione non è se accadrà, ma quanto presto. Xpeng ha capito che il vero vantaggio competitivo non è più la potenza del motore, ma la potenza del cervello digitale che lo guida.

In fondo, l’AI automobilistica non è altro che un esperimento di convivenza tra macchina e uomo. E come in ogni convivenza, la fiducia si costruisce con i fatti. Se nel 2026 i robotaxi di Xpeng riusciranno davvero a navigare nelle strade caotiche di Guangzhou senza intervento umano, sarà la prova definitiva che l’intelligenza artificiale ha smesso di promettere, e ha cominciato a guidare.