La sostenibilità è morta”. Non è il titolo di un film apocalittico né il teaser di una nuova serie distopica. È l’incipit, volutamente provocatorio, con cui Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, ha aperto la quarta edizione degli Stati Generali della Sostenibilità Digitale, in scena anche quest’anno a Varignana.

Una frase che suona come una campana funebre, ma che in realtà è un invito al risveglio. Perché, come chiarisce subito Epifani, la sostenibilità non è morta davvero. È comatosa. E senza una trasformazione radicale, dal punto di vista tecnologico, culturale e politico, non si sveglierà.

Il Presidente ha messo subito i numeri sul tavolo. E non sono belli. Sugli ormai celebri 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, il mondo è “in linea” soltanto sul 18% dei target. Il resto è tra il fortemente in ritardo e il clamorosamente peggiorato. Altro che transizione: qui siamo in retromarcia.

E l’Italia? Anche qui la fotografia è in chiaroscuro: 11 obiettivi su 17 potenzialmente raggiungibili. Gli altri? Epifani non gira intorno alle parole: “spiace dirlo, ma non li centreremo“.

Una dichiarazione che suona forse politicamente scorretta eppure drammaticamente onesta. Ma in tempi di slogan sostenibili e risultati tossici, qualcuno doveva pur dirlo.

Secondo Epifani, il problema non è (solo) tecnologico. È strutturale. “Non esiste una governance globale sulla sostenibilità” ha spiegato, indicando una crisi multilivello fatta di disuguaglianze crescenti, tensioni geopolitiche, modelli organizzativi obsoleti e dipendenza strategica dell’Europa in termini di approvvigionamento da Paesi caratterizzati da una forte instabilità.

In questo scenario, mentre gli Stati Uniti rallentano e l’Europa arranca, l’Italia resta sospesa tra buone intenzioni e cattiva esecuzione. Con un’aggiunta pericolosa: una cronica fragilità energetica , che viaggia assieme ad una burocrazia letargica e a filiere digitali preistoriche.

Altro che innovazione: qui servirebbe una torcia, non un algoritmo.

Se qualcuno sperava che almeno la politica internazionale fosse riuscita ad invertire la rotta, deve ricredersi. La COP30, lo abbiamo visto, è stata archiviata come l’ennesimo summit degli “accordi vaghi” e dei “compromessi immobili”. Un esercizio di diplomazia formale, ma sterile, con buona pace degli ultimi inguaribili romantici.

Altro punto dolente: la sostenibilità giocata come leva di marketing (e di comunicazione). Il presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale ha colpito duro su un tema sempre più imbarazzante: aziende che comunicano sostenibilità senza praticarla. Non solo greenwashing, ma anche una forma più subdola di “sostenibilità cosmetica”. Tradotto: compro crediti di carbonio, quindi sono a posto con la coscienza.

Peccato che il pianeta non funzioni a ricevute fiscali.

Qui arriva la parte più interessante e, forse, più rivoluzionaria del discorso di Epifani. La sostenibilità, dice, è stata raccontata per anni come rinuncia, riduzione, sacrificio e freno allo sviluppo.

Tutto sbagliato.

“La sostenibilità non è decrescita. È un nuovo modello di crescita.”

Stefano Epifani – Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale

Non è una perdita. È un upgrade.

Non è una camicia di forza. È un moltiplicatore di valore.

Serve a far crescere le imprese, a rendere le città più vivibili, ad ottimizzare le catene del valore e a migliorare la qualità della vita. Ma solo se smettiamo di trattarla come una penitenza collettiva.

Altro passaggio chiave: la fine dei modelli predittivi e l’inizio di una nuova era. Epifani lo dice chiaramente: “non possiamo più lavorare su modelli predittivi. Dobbiamo usare modelli adattivi.” Il mondo è diventato troppo complesso, instabile e interdipendente per essere previsto come una previsione meteo (su cui pure l’incidenza degli errori negli ultimi tempi è significativa).

Ed è qui che entra in scena lei: l’intelligenza artificiale.

Non come giocattolo tecnologico, Ma come strumento di governo dei sistemi complessi, meccanismo di supporto alle decisioni strategiche, infrastruttura invisibile delle politiche sostenibili. Senza AI, semplicemente, non è possibile gestire la complessità della sostenibilità moderna.

Uno degli applausi più convinti della platea è arrivato proprio su questo punto. Epifani ha fatto una distinzione chiarissima che molti fingono di non capire:

  • Digitalizzazione → ottimizzare i processi
  • Trasformazione digitale → cambiare il senso delle cose

Perché, tanto per fare un esempio, digitalizzare una burocrazia folle non la rende intelligente. La rende solo più veloce nel fare danni. Dobbiamo renderci conto che la trasformazione digitale è culturale prima che tecnologica. E deve avere una direzione: la sostenibilità.

Ma quindi la sostenibilità è morta davvero? Al di là delle provocazioni, è certamente appassita e occorre farla riprendere, anzi, in un certo senso farla rinascere. Perché solo quando qualcosa muore davvero, nel linguaggio, nella pratica e nella retorica, può finalmente rinascere in forma nuova.

Nel nostro caso significa meno slogan. Più sistema.
Meno green. Più governance.
Meno storytelling. Più struttura.

E magari, per una volta, anche più verità.