C’è un paradosso tutto italiano che Roberto Cingolani prova a smontare con pazienza scientifica e visione industriale nell’intervista rilasciata a Fortune Italia. Leonardo S.p.A., uno dei più grandi gruppi tecnologici europei e globali, continua a essere percepito da una parte dell’opinione pubblica come un’azienda legata esclusivamente alla produzione di armamenti da usare in guerra, mentre in realtà è uno dei principali motori dell’innovazione tecnologica, dell’intelligenza artificiale applicata e dei sistemi avanzati di sicurezza. Il punto di partenza del ragionamento dell’amministratore delegato è netto e volutamente provocatorio. Leonardo non produce guerra, ma tecnologia per difendere la pace. E in un mondo in cui la pace non è più un dato acquisito, ma un equilibrio fragile da proteggere, questa distinzione diventa tutt’altro che semantica.

Guardando da vicino il posizionamento di Leonardo emerge un gruppo che opera esattamente nel punto di intersezione tra intelligenza artificiale, spazio, cybersecurity, sensoristica avanzata e difesa multidominio. È qui che si gioca la partita tecnologica del presente. La guerra tradizionale, quella fatta solo di carri armati e fanteria (lo abbiamo visto negli ultimi anni in Ucraina e più recentemente nel Medio Oriente) appartiene al passato. Oggi il conflitto è fatto di dati, satelliti, software, reti e algoritmi. “Bullets and byte” non è uno slogan efficace, ma una descrizione piuttosto fedele della realtà. Un drone dal costo contenuto, guidato da una connessione satellitare e da un sistema di intelligenza artificiale, può neutralizzare asset militari dal valore di decine di milioni. È su questo cambio di paradigma che Leonardo ha costruito la propria strategia industriale.

Il Michelangelo Dome, uno dei progetti simbolo raccontati da Cingolani, è forse l’esempio più chiaro di questa evoluzione. Non si tratta di un singolo sistema d’arma, ma di un’architettura tecnologica aperta, modulare e scalabile che integra sensori terrestri, navali, aerei e spaziali, piattaforme di cyber defence, sistemi di comando e controllo e intelligenza artificiale predittiva. L’obiettivo non è solo intercettare una minaccia, ma comprenderla prima che si manifesti pienamente, fondendo dati provenienti da domini diversi e coordinando automaticamente la risposta più efficace. È difesa, certo, ma è anche supercalcolo, AI, data integration e ingegneria dei sistemi complessi. Tutto ciò che definisce l’avanguardia tecnologica contemporanea.

In questo scenario Leonardo si propone come un abilitatore di sovranità tecnologica europea, dove l’interoperabilità è la parola chiave. La vera debolezza storica dell’Europa, sottolinea Cingolani, è stata la frammentazione. Troppi sistemi diversi, troppe soluzioni non comunicanti. Da qui la spinta alle alleanze industriali con colossi come Airbus e Thales, soprattutto in ambito spaziale, dove le costellazioni di satelliti per l’osservazione della Terra e l’intelligence diventano una vera e propria sentinella orbitale al servizio della sicurezza collettiva. Non telecomunicazioni commerciali, ma occhi e cervelli digitali che proteggono infrastrutture critiche, territori e cittadini.

Un altro asse centrale del posizionamento di Leonardo è la cybersecurity, un settore in cui il gruppo ha visto più che raddoppiare il fatturato negli ultimi anni. La guerra ibrida non ha bisogno di bombe per paralizzare un Paese. Basta colpire reti elettriche, sistemi sanitari, banche, infrastrutture digitali. In questo contesto la difesa diventa prevenzione, resilienza e capacità di risposta rapida. L’intelligenza artificiale non serve a decidere chi colpire, ma a riconoscere pattern anomali, anticipare attacchi informatici e neutralizzare malware prima che produca danni sistemici. Anche qui il confine tra tecnologia civile e militare si fa sempre più sottile e Leonardo opera esattamente su quella linea.

C’è poi un elemento spesso sottovalutato nel racconto pubblico dell’azienda: il capitale umano. Leonardo è una multinazionale con oltre sessantamila dipendenti in più di cento Paesi, una realtà che vive di competenze STEM, di ricerca e sviluppo e di contaminazione tra discipline. Quasi la metà del top management è composto da donne e l’età media si è abbassata sensibilmente. È l’immagine di un gruppo che ha deciso di rompere con un passato troppo conservativo sugli investimenti in R&D e di rilanciarsi come piattaforma tecnologica integrata. Le joint venture con player internazionali come Baykar e Rheinmetall vanno lette in questa chiave: condividere tecnologia, soprattutto AI driven, per competere su scala globale.

La riflessione che emerge dall’intervista di Fortune è quindi più ampia di una semplice strategia aziendale. Leonardo rappresenta un caso emblematico di come la tecnologia avanzata, anche quando nasce nel settore della difesa, abbia un ruolo sociale. Difendere la pace oggi significa investire in algoritmi, spazio, intelligenza artificiale, supercalcolo e sicurezza digitale. Significa proteggere infrastrutture civili, dati sensibili, sistemi democratici. In questo senso ridurre Leonardo all’etichetta di fabbrica della guerra non è solo ingiusto, ma profondamente miope.

Lo stiamo vedendo chiaramente: nel mondo di oggi la pace non è gratis e non è nemmeno analogica. È una costruzione tecnologica complessa, fatta di codice, sensori e reti. Leonardo, piaccia o no, è uno dei pochi attori italiani ed europei che questa complessità la governa davvero. Ed è forse arrivato il momento di raccontarlo per quello che è. Un gioiello di tecnologia made in Italy che parla il linguaggio del futuro.