Il mito di una generative AI che sostituisce gli esseri umani come macchina perfetta per l’automazione è già fallito, anche se pochi lo ammetteranno pubblicamente. Le aziende tecnologiche continuano a spingere narrazioni trionfalistiche, ma nella pratica i numeri non mentono. Le prime sperimentazioni hanno mostrato chiaramente che la sostituzione integrale delle persone non funziona, e le stesse organizzazioni stanno tornando sui propri passi, spesso in modo silenzioso ma deciso.

Nei servizi al cliente, esempi recenti sono eloquenti. Klarna ha richiamato agenti umani dopo che i chatbot non hanno retto il peso delle richieste complesse. IBM ha reintegrato personale HR quando il suo “AskHR” AI non è riuscito a gestire la sfumatura delle interazioni umane. Il pattern è chiaro: l’AI progettata per sostituire persone genera frustrazione, errori e danni alla reputazione. L’automazione totale si è rivelata un vicolo cieco.

Nel retail, il fenomeno è altrettanto evidente. Catene come Target, Dollar General e Aldi stanno riducendo le postazioni self-checkout per reintrodurre casse con personale. I risultati sono concreti: meno furti, margini più solidi e clienti più soddisfatti. La lezione è semplice: il contatto umano resta un asset competitivo, soprattutto quando il cliente percepisce affidabilità e attenzione. Il ritorno alla presenza fisica del personale non è romantico, è economico.

La leadership aziendale stessa sta mostrando pentimenti diffusi. In un sondaggio globale, il 55% degli executive ha ammesso di aver sbagliato a tagliare personale durante i primi rollout di AI. Non è questione di nostalgia, ma di riconoscimento che certe decisioni, dettate da hype e pressione di mercato, hanno effetti tangibili sulla produttività e sulla reputazione. Chi pensa che basti un algoritmo per sostituire anni di esperienza umana scopre presto che la teoria si scontra con la complessità dei comportamenti reali.

I dati macroeconomici confermano questo shift. Il Census Bureau mostra un calo dell’adozione enterprise di AI, dal 14% al 12% dalla metà del 2025. Allo stesso tempo, i “boomerang hires” rappresentano ormai il 35% dei nuovi inserimenti: ex-dipendenti che tornano perché il contatto umano non può essere eliminato senza costi nascosti. Il mercato del lavoro racconta la verità che le narrazioni HaaS tentano di oscurare: la sostituzione totale delle persone non è scalabile, né desiderabile.

Il fenomeno che chiamerei AI 1.0 è stato fondato su piloti fallimentari, economie non sostenibili e storytelling trionfalistico. Il ritorno degli umani non è un ripensamento romantico ma un aggiustamento razionale. La fase HaaS, costruita per creare hype e attirare capitali veloci, ha mostrato i suoi limiti e ora si avvia a una conclusione quasi inevitabile. Il settore tecnologico ha guadagnato rapidamente, sì, ma l’ingegneria più brillante si è spesso concentrata su schemi finanziari più che su reale innovazione operativa.

AI 2.0 si profila come una rivoluzione più sottile ma più profonda. Non si tratta di sostituire le persone, ma di potenziarle. Non di inseguire risparmi immediati, ma di costruire valore sostenibile. Non di erodere fiducia, ma di ricostruirla. In questa fase, l’AI diventa uno strumento complementare, un amplificatore di capacità umane, piuttosto che un sostituto.

Curiosamente, le organizzazioni più veloci a integrare questa logica mostrano risultati concreti. Riduzione degli errori, decisioni più informate, maggiore engagement del personale. Le aziende iniziano a capire che il vantaggio competitivo non risiede nel licenziamento massivo, ma nella combinazione intelligente tra algoritmi e talento umano. In pratica, l’AI smette di essere un tiranno e diventa un consulente onnipresente, capace di anticipare problemi e suggerire soluzioni senza sostituire la capacità critica dei professionisti.

Il re-humaning si manifesta anche nei dati qualitativi. Feedback dei clienti, clima aziendale, fidelizzazione: tutti indicatori che mostrano come la presenza umana resti imprescindibile. Le storie di clienti frustrati dai chatbot o di manager disillusi dagli esperimenti di automazione abbondano. Questo non significa che l’AI non abbia un ruolo, ma che il suo ruolo deve essere ridisegnato secondo principi di complementarità e non di sostituzione.

Il passaggio da AI 1.0 a AI 2.0 è quindi più culturale che tecnologico. Richiede un cambio di mindset: dalla convinzione che la tecnologia possa sostituire l’uomo, alla consapevolezza che la tecnologia deve amplificare l’intelligenza, la creatività e il giudizio umano. L’industria americana, guidata da esperimenti fallimentari, sta finalmente apprendendo questa lezione, sebbene con ritardo.

In termini pratici, il cambiamento si riflette in strategie di assunzione, formazione e gestione delle performance. Le aziende stanno investendo in training che combinano AI e competenze umane, creando team ibridi in cui l’algoritmo supporta decisioni ma non le impone. Il risultato è una resilienza maggiore, minori costi nascosti e un ritorno alla fiducia, sia interna che verso il cliente.

La narrativa dominante di pochi anni fa, secondo cui l’automazione avrebbe ridotto costi e licenziato massa critica, mostra i suoi limiti. Le lezioni sono ovvie per chi osserva con attenzione: i clienti preferiscono parlare con persone, i manager riconoscono il valore del contatto diretto, i dipendenti tornano quando vedono un equilibrio tra tecnologia e relazioni umane. In altre parole, l’AI senza umani è come una Ferrari senza motore: estetica, rumorosa, ma sostanzialmente inutile.

In conclusione pratica, chi ignora questo shift rischia di trovarsi rapidamente in svantaggio competitivo. La generative AI continuerà a crescere, ma la sua forza sarà misurata dalla capacità di integrare l’elemento umano. Il re-humaning non è nostalgia, è economia. È gestione del rischio. È intelligenza strategica. Le aziende più lungimiranti stanno già ridefinendo processi, investimenti e culture per abbracciare un modello in cui AI e umani non competono, ma cooperano.

Il futuro del lavoro e del business non è un mondo popolato da robot efficienti ma insensibili. È un ecosistema in cui la tecnologia potenzia chi sa guidarla, e la leadership torna a valorizzare la dimensione umana come asset insostituibile. La narrativa trionfalistica di AI come sostituto totale non regge più, e chi lo aveva creduto dovrà fare i conti con un ritorno pragmatico e inevitabile: le persone contano, sempre, anche nell’era dell’intelligenza artificiale.

[1] Klarna CEO remarks on bringing back human agents
[2] WSJ/Information Age on IBM rehiring in HR
[3] Target self-checkout limits (RetailDive, 2024)
[4] Dollar General reversal of self-checkout (Bloomberg/Reuters, 2024)
[5] Orgvue Global Survey (Apr 2025)
[6] U.S. Census Bureau, Business Trends & Outlook Survey (2025)
[7] ADP data on “boomerang hires,” March 2025