Nel vasto mosaico dell’industria italiana, ogni tanto scompare una tessera. A volte è piccola, altre volte è un’intera parte dell’immagine. La cessione di Comau, storica eccellenza italiana nella robotica industriale, rientra senza dubbio nella seconda categoria. Stellantis ha infatti avviato la procedura per cedere il pieno controllo dell’azienda al fondo statunitense One Equity Partners, pronto a salire dal 50,1% al 100% del capitale.
Per il colosso nato dalla fusione tra Fiat Chrysler e Peugeot, l’operazione è soprattutto una scelta strategica. Per molti osservatori, invece, rappresenta l’ennesimo simbolo dell’abbandono progressivo del comparto produttivo italiano da parte della galassia Elkann, sempre più concentrata su scenari globali anziché sul radicamento industriale nazionale.
Comau: la storia di un gioiello nato prima dei robot e cresciuto con loro
Fondata nel 1973, Comau non è una semplice azienda di robotica, ma uno dei protagonisti dell’automazione industriale europea. Le sue braccia meccaniche hanno accompagnato l’evoluzione dell’auto italiana e internazionale, contribuendo allo sviluppo di modelli iconici e alla modernizzazione delle catene di montaggio.
Non è un dettaglio da poco che persino Elon Musk abbia riconosciuto il ruolo decisivo dei sistemi Comau nei momenti più difficili per Tesla, quando tra il 2017 e il 2019 la sua casa elettrica era vicina al collasso produttivo. Anche Stellantis stessa, per voce dei suoi dirigenti, aveva recentemente ribadito l’importanza della partnership. Eppure, nella grande strategia “asset light” del gruppo automobilistico, Comau non sembra più un componente indispensabile.
One Equity Partners: l’acquirente che punta sull’automazione globale
One Equity Partners, fondo di private equity americano, aveva già rilevato la maggioranza della società nel 2024. Ora punta al 100%, in un’operazione che potrebbe superare i 300 milioni di euro (considerando anche il debito).
L’accordo prevede che Stellantis possa a sua volta cedere entro il 2027 la quota residua, un dettaglio che conferma come la permanenza nel capitale fosse stata pensata fin dall’inizio come temporanea.
Una scelta che si inserisce nel percorso di progressiva separazione dalla filiera tecnologica e produttiva italiana: prima Magneti Marelli, ora Comau. E chissà cosa verrà dopo.
Un paradosso tutto italiano: aziende strategiche che crescono… ma altrove
La cessione arriva in un momento in cui il settore della robotica e dell’automazione vive una fase di espansione globale grazie alla transizione dell’industria verso modelli ad alta intensità tecnologica, tra fabbriche autonome, supply chain intelligenti e integrazione dell’AI nei processi produttivi.
Insomma, mentre il mondo corre verso la manifattura 5.0, l’Italia si ritrov, ancora una volta, a semplice spettatrice, con un pezzo della propria competenza strategica che vola Oltreoceano. Vero, i robot di Comau continueranno a costruire automobili, ma non più all’interno del nostro ecosistema produttivo, indebolendo ancora di più il nostro comparto industriale.
Automotive e industria: l’uscita silenziosa di Stellantis dal modello Italia
La vendita di Comau conferma una tendenza sempre più evidente: Stellantis sta progressivamente ridisegnando la propria presenza industriale nel Paese, riducendo il legame con quei segmenti tecnologici che per decenni hanno alimentato la competitività del settore automotive nel nostro territorio.
Non si tratta solo di numeri o di bilanci. È il segno di un ecosistema che rischia di perdere competenze fondamentali mentre il resto del mondo investe in automazione, AI applicata alla fabbrica e robotica avanzata.
L’ironia, se vogliamo coglierla, è che mentre la politica discute di come riportare il lavoro in Italia, i robot, quelli sì, stanno già preparandosi a fare le valigie.