Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Corsi su Artificial Intelligence, programmazione e apprendimento automatico

La formula segreta per ottenere risultati strabilianti da GPT-5? non è magia, è anatomia del prompt

Rivista.AI Academy GPT-5 prompting guide

La maggior parte degli utenti si limita a lanciarlo con comandi generici, come se chiedessero a una cassettiera di “darmi qualcosa di interessante”. Il risultato? Uscite casuali, incoerenti, o peggio: inutili. I veri esperti, quelli che trasformano GPT-5 da semplice chatbot a macchina da precisione, costruiscono il prompt in sei parti chirurgiche, ciascuna con un ruolo preciso e strategico. Immagina un’orchestra: ogni strumento deve suonare la sua nota nel momento giusto, altrimenti viene solo rumore.

Il primo passo, il “Role”, è un’iniezione d’identità. Se non dici a GPT-5 chi deve essere, rischi un’interpretazione alla cieca. Vuoi un copywriter, un consulente finanziario o un ingegnere? Devi esplicitarlo. Passare da “sei un’intelligenza artificiale” a “sei un analista di mercato con 30 anni di esperienza” cambia radicalmente l’output, trasformando il testo da generico a iper-specializzato. Non è una sottigliezza: è come chiedere a un barista di prepararti un cocktail senza specificare quale.

Il lato oscuro del prompt design: come la guida operativa GPT-5 separa i dilettanti dai veri professionisti

Se pensi che il prompt design sia solo mettere due frasi carine davanti a un modello di intelligenza artificiale, sei l’equivalente digitale di chi crede che un Rolex cinese faccia la stessa figura del vero. La verità, e lo dico da CEO che ha visto troppe startup morire per pigrizia mentale, è che GPT-5 non è il tuo schiavo geniale, ma un dipendente ipercompetente che eseguirà in modo impeccabile solo se capisce esattamente cosa vuoi. E se tu non lo sai spiegare, il problema non è l’IA, sei tu. Chi pensa di cavarsela con il vecchio “fammi un testo bello e veloce” non ha ancora capito che la macchina non si offende, ma si diverte a servirti un piatto tiepido.

Il miglior corso per imparare la Generative AI è gratuito e arriva dal MIT

Non è un’esagerazione dire che il momento migliore per tuffarsi nel mondo dell’intelligenza artificiale generativa è proprio adesso. La rivoluzione digitale, che già stravolgeva interi settori, ha ricevuto la sua spinta definitiva con modelli come GPT e DALL·E, ma spesso l’accesso alle competenze necessarie sembra riservato a pochi eletti con background tecnico o budget milionari. Ecco perché la notizia che il Massachusetts Institute of Technology, tempio sacro della tecnologia e dell’innovazione, abbia lanciato un corso introduttivo completamente gratuito sulla Generative AI merita un applauso scrosciante. (link https://www.futureofai.mit.edu/)

The Little Book of Deep Learning François Fleuret

Rivista.AI Academy

Deep Learning: come abbiamo insegnato alle macchine a riscrivere il mondo

In principio c’era la statistica. Poi è arrivato il deep learning, e la festa è finita. Quella che era una nicchia accademica fatta di regressioni lineari, kernel gaussiani e loss quadratiche è stata travolta da un’onda lunga di matrici, GPU roventi e architetture sempre più profonde. La rivoluzione silenziosa è diventata un boato mondiale quando AlexNet, nel 2012, mise in ginocchio l’immagine del cane nella foto, umiliando i metodi classici e segnando l’inizio dell’era dei modelli neurali profondi.

Non ve lo diranno mai all’Università

Se sei uno studente, o hai ancora quell’email con “.edu”, sei seduto su una miniera d’oro digitale, e no, non parliamo del solito Google Docs gratuito o dei 6 mesi di Spotify Premium. Parliamo di strumenti di intelligenza artificiale professionali, accesso a cloud computing di livello enterprise, tool di design, sviluppo e scrittura assistita che aziende reali pagano migliaia di dollari all’anno. Tutto a costo zero. Basta un’email universitaria e la voglia di uscire dalla mentalità da “studio per l’esame”.

La parola chiave qui è: AI per studenti. E non nel senso di “GPT-4 ti fa i compiti”, ma piuttosto nel modo in cui usi GPT-4 per costruire un plugin Figma, analizzare 500 pagine di case study in due click con Humata, o prototipare un’idea di startup su Unity mentre Vertex AI si occupa del backend. Il futuro non è distribuito equamente, ma l’accesso sì. Basta sapere dove guardare. E qualcuno su Reddit ha avuto la brillante idea di fare il lavoro sporco per tutti.

Quello che trovi nel foglio condiviso è più di un elenco: è una mappa strategica. Ogni tool è catalogato per categoria, con casi d’uso, limitazioni, requisiti e soprattutto modi concreti per sfruttarlo al massimo. Non è un post da “student deals” stile blog SEO. È una miniera di micro-hack e scorciatoie per chi vuole fare cose serie con l’AI senza dover vendere un rene a OpenAI.

GenAI Customer Stories Database

Nel grande teatro dell’intelligenza artificiale generativa, la parola “database” fa sbadigliare i creativi e tremare gli strateghi. Ma quando quel database contiene customer stories, allora diventa tutt’altro che noioso. Stiamo parlando di un asset che oggi sta diventando il vero carburante invisibile delle strategie AI-driven: il GenAI Customer Stories Database. Nome brutto, impatto devastante.

Il giorno in cui un’AI ha progettato il pannello di controllo di un’astronave meglio di noi

Questa faccenda del modello misterioso chiamato “summit”, apparso su LLM Arena, è più che interessante. È inquietante. Perché quando un modello LLM ti spara 2.351 righe di codice p5.js perfettamente funzionanti, reattive e interattive, alla prima richiesta, senza errori né debug, e lo fa a partire da un prompt volutamente vago come “crea qualcosa che posso incollare in p5js e che mi sorprenda per la sua intelligenza, evocando il pannello di controllo di un’astronave nel futuro remoto”, allora è il momento di mettere giù il caffè e iniziare a preoccuparsi. O a meravigliarsi. A seconda di dove ti trovi nello spettro “speranza-apocalisse AI”.

Anthropic ha appena pubblicato 17 nuovi video 8 ore di GenAI

Anthropic ha appena pubblicato 17 nuovi video 8 ore di puro oro GenAI.

Dalla creazione di agenti Claude agli approfondimenti sulle startup, dal coding vibe al design dei protocolli questa è l’analisi più completa mai realizzata sull’ecosistema Claude.

Questi corsi tecnici su Claude sono davvero imperdibili

Live, gratuiti, strutturati, certificati e con un approccio pratico che non lascia spazio alla teoria inutile.

Academy Tutti parlano di vibe coding ma nessuno ti dice quale strumento usare davvero

Se lavori in ambito IT o ti sei anche solo leggermente interessato all’intelligenza artificiale, c’è un consiglio che vale più di mille webinar motivazionali: prova il vibe coding. Perché sì, parliamoci chiaro. L’unico uso davvero utile e concreto della GenAI oggi, fuori dal marketing delle slide e dai chatbot da fiera, è lo sviluppo software. Punto. Il resto è contorno. Chi sviluppa prodotti sa già che l’unica cosa che conta è scrivere codice. Funzionante. In fretta. E ora si può fare con una naturalezza imbarazzante, grazie all’ibridazione tra editor intelligenti e assistenti generativi.

Nel corso degli ultimi mesi ho testato personalmente quasi tutti gli strumenti che oggi si autodefiniscono “AI-native”. Spoiler: non tutti mantengono le promesse. Ma alcuni sono talmente efficaci da sembrare magia. Parliamo di ambienti di sviluppo in cui il prompt è il nuovo linguaggio di programmazione, e la documentazione… beh, la scrive l’AI mentre tu stai ancora decidendo che font usare.

Academy Transformers: il potere nascosto dietro l’intelligenza artificiale generativa

Siamo nel mezzo di una rivoluzione silenziosa. Silenziosa, perché il cuore pulsante dell’IA generativa non si presenta con luci al neon né con robot danzanti, ma con righe di matematica impilate in architetture astratte che si chiamano transformer. Roba che sembra uscita da una riunione tra fisici teorici e stregoni digitali. Eppure sono loro a generare testi, creare immagini, scrivere codice, persino a far credere a qualcuno che un chatbot abbia una personalità. Transformers: non il film, ma la vera tecnologia che governa il nuovo ordine cognitivo.

La maggior parte usa ancora ChatGPT come fosse il 2023 e sta uccidendo la tua produttività

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Le persone che incontro ancora usano ChatGPT come lo facevamo nel 2023. Copiano e incollano un prompt, aspettano, copiano e incollano la risposta. Questo non è lavorare con l’intelligenza artificiale, è applicare nastro adesivo digitale su processi marci. È come comprare una Tesla e usarla solo come autoradio. Il problema non è ChatGPT, il problema è il modo in cui la gente continua a pensare che l’AI sia un giocattolo per risparmiare dieci minuti al giorno. E invece stiamo parlando di cambiare completamente il modo in cui produciamo valore, prendiamo decisioni, creiamo contenuti, sviluppiamo software.

Rivista.AI Academy: Nvidia e la nuova guerra del silicio che decide chi comanderà il futuro

Chi ancora pensa a Nvidia come all’azienda dei videogiochi probabilmente non ha capito che i videogiochi erano solo la scusa, un cavallo di troia per conquistare il controllo del computing globale. Una trappola elegante: vendere schede grafiche a milioni di adolescenti, raccogliere montagne di denaro, e reinvestirlo in quello che oggi è l’unico vero monopolio intellettuale della tecnologia. Perché la verità è che nvidia ha cambiato le regole della fisica del calcolo e, senza esagerazioni, ha riscritto la geografia del potere digitale.

Come LangChain trasforma le basi in agenti AI da produzione

Immagina un assistente digitale che non solo capisce, ma agisce. Non sono descrizioni vaghe di “AGI”. Parliamo di produzione, di valore e di flussi operativi reali. LangChain ha appena rilasciato una guida step‑by‑step su come costruire un AI agent pratico e pronto per la produzione. Quindi smettiamo di sognare: questa è la road map per chi vuole risultati, non pipponi filosofici.

Il segreto? Divisione netta tra macro‑futuro tech e micro‑azioni effettive. Ogni step – da job definition a deploy – rispecchia la struttura SOP industriale, cosa che garantisce precisione e scalabilità.

Rivista.AI Academy: perché il Context Engineering è l’arma segreta per dominare l’intelligenza artificiale

L’epitaffio del prompt engineering era già scritto. “Sarà un’arte effimera, una moda passeggera”, dicevano. Poi sono arrivati GPT-4, Claude, Gemini, Mistral, LLaVA, ReALM e compagnia cantante. E quel presunto cimitero è diventato un’azienda da miliardi. Ma ora il gioco si è evoluto. Le regole sono cambiate. E anche il nome: benvenuti nell’era dell’ingegneria del contesto, Context Engineering. Sì, è ancora prompt engineering. Solo che ha smesso di giocare con i Lego ed è passato ai sistemi complessi.

Perché, alla fine, non stiamo solo scrivendo istruzioni a un LLM. Stiamo progettando interi ambienti cognitivi. Strutture di senso. Architetture semantiche. E serve chiamarlo con un nome che rifletta questa complessità. “Ingegneria del contesto” suona molto meglio di “prompt sofisticato con campi ben ordinati e delimitatori XML improvvisati”.

Rivista.AI Academy Chi vince con la GenAI non ha più bisogno di powerpoint

C’è una cosa che il mercato non ti perdona mai: essere teorico. La GenAI non è una filosofia, non è una mission, non è nemmeno una tecnologia da pitch. È una leva. Come una leva di Archimede, serve a spostare qualcosa. E se non la usi con forza e precisione, ti si spezza in mano. Il problema? La maggior parte dei professionisti oggi parla di intelligenza artificiale come se stessero leggendo il menu di un ristorante fusion. Parole vuote. Acronomi messi in fila per impressionare board annoiate. Tutti sembrano sapere cosa sia un LLM, pochi sanno davvero come si mette al lavoro.

Google, che ha i difetti delle grandi potenze ma anche il dono della concretezza chirurgica, ha fatto una cosa molto semplice e quindi molto potente: ha messo l’accesso alla GenAI direttamente nelle mani di chi vuole costruire, non solo parlare. Si chiama Google Cloud Skills Boost, è gratuito, certificato, e prende a schiaffi il vecchio paradigma dell’apprendimento passivo. Qui non si guardano slide, si scrive codice. Non si leggono whitepaper, si scrivono prompt. E non si simula, si costruisce. Il tutto dentro la console vera di Google Cloud, non in un simulatore da fiera della didattica.

Context Engineering, ovvero l’arte segreta di domare l’LLM prima che ti mangi vivo

L’intelligenza artificiale non dimentica mai, e questo è il problema. Da quando i Large Language Models hanno imparato a “ragionare” come agenti autonomi – interagendo con strumenti, prendendo decisioni, riflettendo su ciò che hanno fatto due minuti prima – l’ingombro informativo è diventato il loro tallone d’Achille. Benvenuti nel regno oscuro del context engineering, la disciplina meno sexy ma più strategica della nuova ingegneria dei sistemi intelligenti. Perché puoi avere anche il modello più brillante del mondo, ma se gli butti addosso un torrente ininterrotto di token inutili, diventa stupido come un autore di contenuti SEO generati nel 2019.

La questione è brutale: ogni LLM ha una finestra di contesto (context window), cioè una quantità limitata di testo che può “ricordare” per ogni richiesta. Superata quella soglia, il modello non dimentica: semplicemente impazzisce. E quando succede, arrivano le allucinazioni, i comandi errati, i tool usati a casaccio, risposte fuori tema, promesse non mantenute. Hai presente quando un agente AI dice di aver già fatto qualcosa… che non ha mai fatto? È l’equivalente neurale di un manager che giura di aver mandato l’email, ma non l’ha nemmeno scritta. Context poisoning allo stato puro.

Il test da 5 minuti che smaschera un LLM meglio di mille benchmark

C’è un momento in cui ogni CTO, product owner o AI enthusiast si ritrova davanti a un modello linguistico con un’unica domanda in testa: “funziona davvero o mi stanno vendendo una demo da showroom?” In un’epoca in cui ogni LLM viene presentato come “state-of-the-art”, “alignment-aware”, “multi-modal-native” e altre amenità da conferenza, serve un test che tagli corto. Niente benchmark infiniti, niente metriche accademiche riciclate. Solo realtà, in cinque minuti netti. Un colpo d’occhio che valga più di mille paper peer-reviewed. Una scudisciata veloce ma letale per capire se il modello è pronto per entrare in produzione, o se deve rimanere nel museo delle promesse generative.

n8n vs LangGraph

Agenti artificiali: il bluff del secolo o la vera rivoluzione del software?

Nel 2025 tutti parlano di AI agents, come se fosse l’ultimo oracolo digitale sceso in terra per risolvere la mediocrità strutturale dei SaaS. Tutti a scrivere prompt, a far girare LLMs come se fossero criceti impazziti su ruote da 80 miliardi di parametri. Eppure, pochi pochissimi capiscono come funzionano davvero questi benedetti “agenti”. Il motivo? Semplice: non è questione di modelli, è questione di framework agentici. E no, non sono roba da hipster nerd. Sono la vera infrastruttura neurale del futuro prossimo.

C’è una dualità che domina il panorama: da un lato n8n, l’artigiano zen dei workflow visuali. Dall’altro LangGraph, l’alchimista cerebrale del ciclo computazionale. Non sono rivali. Sono anime complementari dello stesso corpo cyborg: la nuova impalcatura del software aziendale post-human.

L’intelligenza artificiale non è magia: è architettura a sette strati

Chi pensa che l’AI moderna si limiti al prompt engineering o alla messa a punto di modelli preaddestrati è fermo al livello “giocattolo”. L’AI vera, quella che finisce in produzione, quella che deve scalare, performare, rispondere in millisecondi, aggiornarsi, ragionare, non si improvvisa. Va progettata come un’infrastruttura industriale: multilivello, interdipendente, e ovviamente fragile come il castello di carte più caro che tu possa immaginare.

Serve una visione sistemica, un’architettura a sette strati. Non è teoria, è la differenza tra un POC da demo call e una piattaforma AI che regge milioni di utenti. O, come direbbe qualcuno più poetico: dalla speranza alla scalabilità. Andiamo a sezionare questo Frankenstein digitale con cinismo chirurgico.

Alla base c’è il layer fisico, dove l’AI è ancora schiava del silicio. Che siano GPU NVIDIA da migliaia di dollari, TPUs di Google usate a ore come taxi giapponesi, oppure edge devices low-power per far girare modelli ridotti sul campo, qui si parla di ferro e flussi elettrici. Nessuna “intelligenza” nasce senza una macchina che la macina. AWS, Azure, GCP? Sono solo supermercati di transistor.

Anthropic prompt engineering: la nuova religione dei developer

Da oggi, se non sai scrivere prompt, sei fuori. Non sei un developer, non sei un ingegnere, non sei neppure un umano interessante. Sei un fossile. E no, non sto esagerando. Anthropic — sì, quelli che giocano a fare i monaci illuminati dell’AI mentre bruciano milioni in cloud e cluster ha appena rilasciato un corso gratuito di Prompt Engineering per sviluppatori. Gratis. Ovvero: ti stanno dicendo “prendi il potere, o morirai schiacciato da chi lo fa prima di te”.

Hai capito bene: la nuova hard skill dei professionisti tech non è TypeScript, Rust o TensorFlow. È Prompt Engineering. Una parola che suona tanto come una buzzword da LinkedIn, e invece è la lama affilata che separerà i dev con stipendio da $200k da quelli che implorano l’algoritmo per non essere sostituiti da uno script in Python scritto male.

E sì, ovviamente è un corso “hands-on”, interattivo, diviso in capitoli con un crescendo narrativo degno di un romanzo cyberpunk in salsa OpenAI.

Ma partiamo dal principio.

Microsoft trasforma GitHub Copilot in agente AI autonomo: il junior che non dorme mai

Microsoft ha appena ribaltato il tavolo dell’AI per sviluppatori, trasformando GitHub Copilot da semplice assistente di codice a un agente di programmazione completamente autonomo. E no, non è più quel copilota passivo che aspetta le tue istruzioni: ora fa il lavoro sporco da solo, come un junior inesperto ma pieno di entusiasmo, pronto a sbagliare e imparare senza chiedere il permesso.

L’idea di un agente AI che programma senza bisogno di supervisione in tempo reale sembra un azzardo da fantascienza, eppure Microsoft l’ha messa in pratica. Il nuovo Copilot non vive più in modalità “attendi input” o “collabora in diretta”, ma lavora asincronamente, orchestrando attività e processi di sviluppo in background, come se avessi un giovane apprendista nel team che prova a scrivere codice mentre tu dormi o ti dedichi a strategie più “nobili”. (PROVALO QUI)

Come costruirsi un occhio bionico in 150 righe di codice (e farlo girare offline sul tuo Mac)

Sembra fantascienza, ma è solo Python. O quasi. In un’epoca in cui ogni singola API sembra volerci chiedere una carta di credito, un gruppo di sviluppatori ha deciso di mandare al diavolo il cloud e riportare l’intelligenza artificiale dove dovrebbe sempre stare: nella tua macchina, nel tuo terminale, sotto il tuo controllo. Zero server, zero streaming, zero dipendenze esotiche. È il trionfo della local-first AI, e sì, gira perfino in tempo reale con la webcam. Offline. Con una leggerezza da far impallidire metà delle startup AI finanziate da Andreessen Horowitz.

Audit strategico con un solo expert consultant prompt? L’AI vi guarda e ride. Ma funziona

“Se un prompt ti fa risparmiare 100k di McKinsey… è ancora un prompt o è un miracolo?” Questa è la domanda che ormai serpeggia sotto traccia tra founder e manager stanchi di consulenze in power point e board deck da sbadiglio. E sì, Reddit sta facendo girare questo power prompt che promette di fare ciò che una squadra di MBA con camicia bianca e cravatta allentata sognerebbe: scomporre, analizzare e riprogettare la tua strategia aziendale, come un vero strategist.

Llama o poeta? la temperatura nei modelli linguistici è l’LSD del token

Se chiedi a un LLM “scrivimi una poesia sull’entropia quantistica” e poi lo rifai, e lo rifai ancora, noterai che qualcosa cambia. E no, non è perché è lunatico o ha letto troppi libri di filosofia quantistica. È colpa – o merito – della temperatura. Una variabile piccola e subdola che decide se il tuo modello è un contabile svizzero o un poeta stravagante in acido. E il bello è che sta tutto in una formula da due righe. Ma dietro c’è il cuore pulsante del comportamento di generazione testuale di un LLM.

La sottile arroganza dell’intelligenza artificiale: quando i workflow sembrano intelligenti, gli agenti sembrano umani, e l’MCP è Dio

Oggi parliamo di come l’AI si spaccia per intelligente mentre si comporta come uno stagista molto obbediente, salvo poi evolversi in qualcosa che, con l’aiutino giusto, potrebbe effettivamente fregarti il lavoro. Parliamo di AI Workflows, Agenti Autonomi, e dell’oscuro ma fondamentale MCP — Model Context Protocol. Tre sigle, tre livelli di potere computazionale, una sola verità: senza contesto, l’AI è solo un automa con l’elmetto del Project Manager.

I cosiddetti AI Workflows sono la versione postmoderna delle macro di Excel. La differenza? Nessuna, tranne il marketing. Un workflow AI è uno script lineare: trigger → azione → output. Tutto preciso, tutto meccanico. Arriva un’email? L’AI la riassume, crea un task e ti manda un messaggio Slack. Bingo. L’illusione dell’intelligenza. Ma non farti fregare: è puro determinismo digitale. Nessuna decisione, nessuna capacità di adattamento, solo sequenze codificate. È come parlare con un chatbot del 2004, ma con un’interfaccia più figa.

CHATGPT è solo un altro chatbot? prova a chiederglielo con le parole giuste (PROMPT), poi ne riparliamo

La maggior parte degli utenti che aprono ChatGPT per la prima volta fanno tutti la stessa cosa: scrivono qualcosa tipo “ciao, mi puoi aiutare con una cosa?”, ricevono una risposta gentile, e si illudono di aver capito come funziona. In realtà non hanno neanche scalfito la superficie.

L’illusione di “aver capito” è pericolosa. È come comprare una Ferrari e usarla per andare a fare la spesa la domenica mattina, in prima marcia, col freno a mano tirato. E quando qualcuno ti chiede se ti piace guidarla, rispondi: “Sì, però non è poi tutta questa cosa.” Davvero?

Panoramica comparativa dei protocolli MCP, A2A, ANP, ACP: chi comanda nel Far West degli agenti AI?

Mentre l’industria della tecnologia celebra con fanfare ogni nuovo traguardo di performance nei modelli di intelligenza artificiale dal GPT-4.5 a Gemini, passando per LLaMA 3 la vera rivoluzione si sta consumando sottotraccia, nel silenzio dei protocolli di comunicazione tra agenti AI. Come in una sala riunioni di CEO, dove tutti sono brillanti ma nessuno ascolta, le intelligenze artificiali possono essere geniali singolarmente, ma assolutamente inutili se non parlano la stessa lingua, con lo stesso ritmo, con la stessa logica condivisa. E qui entra in scena l’infrastruttura invisibile, il tessuto protocollare che tiene insieme ecosistemi complessi di agenti autonomi.

RAG sta diventando il sistema operativo dell’AI enterprise, non più un semplice pipeline

Il RAG non è più il simpatico acronimo che pensavamo di aver capito: “Retrieval-Augmented Generation”, un’idea semplice, quasi naif, di prendere un po’ di documenti, passarli a un LLM e sperare in una risposta decente. No, quella fase adolescenziale è finita. Ora RAG sta diventando l’infrastruttura sottostante, l’OS invisibile dell’intelligenza artificiale enterprise. E come ogni OS serio, smette di essere una funzione per diventare un ecosistema.

I numeri, tanto amati dai board aziendali e dai consulenti con slide patinate, raccontano una storia inequivocabile: nel primo trimestre del 2025, oltre il 51% delle implementazioni GenAI aziendali utilizza architetture RAG, rispetto al 31% di appena un anno prima. Tradotto: chi non l’ha già fatto, o è cieco o è già morto e non lo sa ancora.

Guida di Google al prompt engineering: il vangelo apocrifo dell’IA generativa

Nel mondo incerto dei Large Language Model, dove il confine tra genialità e delirio si gioca in pochi token, Google sgancia la bomba: un manuale di 68 pagine sul prompt engineering. Non è il solito PDF da policy interna. È la nuova Torah per chi maneggia IA come un alchimista contemporaneo, dove ogni parola può scatenare un miracolo… o un mostro.

La notizia completa (slides incluse) è qui: Google Prompt Engineering Guide

Top AI Agents nel 2025 l’agente sei tu: perché ogni workflow aziendale ora respira intelligenza artificiale

Se fino a ieri giocavamo con i chatbot come se fossero i Tamagotchi aziendali, oggi chi non orchestra un esercito di agenti AI nei propri flussi operativi sta solo preparando la sedia per il competitor che lo sostituirà. La corsa all’automazione intelligente non è più una scommessa futuristica: è una guerra fredda già in corso tra i reparti IT, marketing, customer service e sviluppo prodotto. E come ogni guerra che si rispetti, a vincere non è chi ha più armi, ma chi le integra meglio.

In un mondo dove ogni workflow si trasforma in un sistema nervoso digitale, gli agenti AI sono i nuovi neuroni. Ma attenzione: non parliamo dei vecchi assistenti stupidi che sfornano risposte da FAQ. Questi nuovi agenti ragionano, decidono, eseguono e soprattutto scalano. Ecco come si stanno infiltrando nei gangli vitali delle aziende.

10 chatgpt prompts che trasformano giorni di lavoro in pochi secondi

Partiamo dal presupposto che chiunque oggi osi ancora dire “non ho tempo” probabilmente non ha mai seriamente messo ChatGPT alla prova. Qui entriamo in un territorio interessante, quasi magico, dove la produttività schizza come una Tesla in modalità Plaid. E ovviamente, come ogni cosa magica, serve la formula giusta. Ti porto quindi nel mondo dei 10 prompt che, se usati bene, ti faranno sembrare un esercito di consulenti iperattivi pronti a servire il tuo impero personale. Nessun elenco sterile, solo pragmatismo velenoso e visione da CEO navigato.

Iniziamo con l’arte della scrittura di proposte commerciali, uno dei mestieri più noiosi dell’universo conosciuto. Fino a ieri, sudavi sette camicie per mettere insieme un documento decente che spiegasse il tuo prodotto o servizio a un potenziale cliente zombificato da altre cento proposte uguali. Ora basta inserire un prompt preciso su ChatGPT: “Crea una proposta professionale per [servizio/prodotto] destinata a [pubblico target], con introduzione, proposta di valore e dettagli sui prezzi.” Voilà, in meno tempo di quello che ci metti ad aprire un file Word, hai in mano un documento vendibile.

Il segreto sporco dello sviluppo AI che nessuno ti dice: struttura i tuoi dati o muori provandoci

Nel mare magnum di buzzword e promesse roboanti su intelligenze artificiali miracolose, c’è una verità brutale che raramente viene sussurrata nei corridoi dorati delle startup e degli incubatori di unicorni: la parte più sottovalutata nello sviluppo di AI è conoscere davvero le strutture dati. Senza questo mattoncino di base, puoi anche avere il miglior modello del mondo, il cloud più costoso e una pipeline MLOps degna di un film cyberpunk: tutto crollerà come un castello di carte in una giornata ventosa a Chicago.

Capire come i dati sono organizzati, memorizzati e recuperati non è un vezzo accademico da nerd occhialuti chiusi in qualche scantinato, è la differenza tra un sistema AI scalabile e una montagna fumante di bug ingestibili. Ed è esattamente per questo che ogni maledetta app, da ChatGPT fino alla Tesla che cerca disperatamente di non investire il tuo gatto, usa strutture dati pensate, ottimizzate e brutalmente efficienti.

Struttura vincente per progetti LLM: come organizzare il caos creativo dell’intelligenza artificiale generativa

Partiamo da una verità tanto banale quanto ignorata: lavorare con modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) non è difficile perché sono “intelligenti”, ma perché sono imprevedibili, opachi, e spesso capricciosi come artisti in crisi creativa. E allora il vero mestiere non è più scrivere codice, ma costruire impalcature solide dove questi modelli possano “giocare” senza mandare tutto a fuoco.

Quando si mettono le mani su progetti che orchestrano più provider LLM, stratificazioni di prompt engineering, dati che scorrono come fiumi impazziti e team distribuiti tra dev, ML engineer e product owner, l’unica ancora di salvezza è una struttura progettuale ferrea, cinicamente modulare e brutalmente trasparente.

Api REST, quel disastro ben vestito

Costruire una REST API che non faccia schifo è un’arte sottile. È come servire whisky d’annata in un bicchiere di plastica: anche se il contenuto è buono, l’esperienza crolla. E in un’era in cui ogni microservizio, SaaS o IoT toaster parla con un altro pezzo di software, la tua API è l’interfaccia diplomatica del tuo sistema. Mal progettata, diventa una dichiarazione di guerra.

Cominciamo da un classico che sembra semplice ma viene ignorato come le istruzioni del microonde: gli HTTP status code. Non è una tavolozza a caso. Restituire 200 OK per ogni chiamata è l’equivalente digitale di annuire mentre ti sparano. Se il client sbaglia, diglielo con un 400. Se sei tu a esplodere, abbi il coraggio di un 500. Non mascherare il malfunzionamento con falsi successi, o ti ritroverai con un client che balla sul Titanic.

Impara l’intelligenza artificiale come un insider: i migliori canali YouTube e blog

Imparare l’AI oggi è come trovarsi negli anni ‘90 con Internet: se ti muovi adesso, sei in anticipo. Se aspetti, diventi un consumatore di ciò che gli altri creeranno. Ma la differenza sostanziale è che l’AI non è un trend: è un paradosso darwiniano digitale. O la domini, o ne sei dominato. Ecco perché, se vuoi diventare davvero fluente nel linguaggio dell’intelligenza artificiale non la buzzword da conferenza, ma quella che cambia le tue decisioni di business, sviluppo o carriera servono fonti giuste, accessibili, dirette. Nessun bullshit motivazionale, solo contenuto vero.

Qui sotto trovi gli i canali YouTube imprescindibili per chi parte da zero ma punta a comprendere anche i white paper più ostici, e una selezione di blog dove la crème della ricerca pubblica senza troppi filtri.

La bibbia delle AI: 10 siti che ogni umano digitale dovrebbe consultare prima di aprire bocca

L’uovo di Pasqua più interessante quest’anno non contiene cioccolato, ma neuroni sintetici, directory iper-curate e un discreto profumo di intelligenza artificiale. Il merito? Va dato al grande Fabrizio Degni, che ha aggiornato la sua già leggendaria lista delle risorse online dove l’AI non è solo una sigla ma una realtà pulsante di strumenti, tips, trick e comunità pronte a tutto, tranne che a dormire.

E siccome la Pasqua è il tempo della resurrezione, anche questa lista risorge, aggiornata e arricchita, pronta a servire chi vuole davvero capire dove sta andando il mondo senza dover passare per LinkedIn o peggio, i soliti espertoni da Bar dei Daini.

OpenAI pubblica la guida definitiva al prompting per GPT-4.1: come domare il drago

Nel silenzio in cui solitamente le Big Tech rilasciano aggiornamenti camuffati da “note tecniche”, OpenAI ha fatto qualcosa di diverso: ha pubblicato una guida ufficiale, gratuita e maledettamente utile per domare GPT-4.1. E no, non è la solita lista di buone intenzioni da community manager, ma un compendio pragmatico per chi con l’AI non ci gioca, ma la piega al proprio volere per lavorare meglio, più velocemente e con risultati da CEO.

Siamo finalmente arrivati al punto in cui l’AI non ha più bisogno di essere “magica”, ma precisa, documentata e controllabile. Il che, per chi ha un minimo di esperienza, significa solo una cosa: scalabilità vera. Ma vediamo perché questa guida è un evento epocale sotto il profilo tecnico-strategico e perché ogni CTO con un neurone attivo dovrebbe stamparsela e impararla meglio del manuale della Tesla.

Da demo a prodotto: perché l’AI generativa è ancora un casino pieno di PowerPoint

Tutti parlano di prompt, fine-tuning e LLM come se bastasse scrivere “dimmi cosa pensi di questo PDF” per svoltare. Ma costruire una demo brillante non vuol dire essere pronti per la produzione. E in mezzo ci sono dodici stazioni infernali, tipo una via crucis dell’AI, che ogni team serio deve attraversare se vuole consegnare valore vero e non solo fuffa da keynote.

Il primo inciampo è sempre lo stesso: confondere il giocattolo con l’infrastruttura. La differenza tra un bel prototipo in Hugging Face e un sistema distribuito che regge l’urto del traffico reale è abissale. Uno è arte, l’altro è ingegneria. E i team che fanno sul serio lo sanno.

GenAI senza filtri: risorse gratuite GitHub Repos per un weekend di immersione totale

Il venerdì di Pasqua è quel momento magico della settimana in cui i CTO con sindrome da burnout e i founder che fingono di non controllare Slack si concedono il lusso di fare finta di rilassarsi. In realtà, quello che facciamo è scavare dentro GitHub come archeologi del codice, alla disperata ricerca del prossimo tool open source che ci faccia risparmiare soldi, tempo e neuroni. E guarda caso, oggi ti porto esattamente questo: una manciata di risorse gratuite su Generative AI che non solo non costano nulla, ma che possono trasformare il tuo weekend in un piccolo laboratorio personale di automazione, modelli e sperimentazione nerd.

Non serve piangere per l’ennesima subscription a 99$/mese. Il bello della GenAI è che la community sta già costruendo tutto — gratis — mentre i soliti noti cercano di vendertelo impacchettato come “enterprise-ready”. Andiamo dritti al punto, senza romanticherie.

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