Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Categoria: Business Pagina 3 di 22

Nuove prospettive su come la tecnologia ai sta plasmando il futuro del business e della finanza

Google e il vizietto del monopolio: intelligenza artificiale, vecchie abitudini

E rieccoci. Come un sequel che nessuno ha chiesto ma che tutti sospettavano sarebbe arrivato, Google torna al centro del mirino del Dipartimento di Giustizia USA. Il tema? Sempre lo stesso: abuso di posizione dominante. Cambia solo il contesto, perché se una volta si parlava di motori di ricerca, oggi il campo di battaglia è l’intelligenza artificiale generativa, dove il colosso di Mountain View starebbe già ripetendo lo stesso schema da libro di testo.

Durante l’ultima udienza del processo antitrust in corso, l’accusa è stata chiara: Google sta cercando di replicare nell’AI la stessa architettura monopolistica che ha consolidato nella search. L’avvocato del governo ha infatti puntato il dito contro un nuovo accordo commerciale stretto da Google con Samsung, grazie al quale l’app del chatbot Gemini sarà installata di default su tutti i nuovi dispositivi dell’azienda coreana. Déjà vu? Esattamente. Lo stesso tipo di accordo, con Apple in primis, era stato cruciale per cementare la leadership incontrastata del motore di ricerca di Google, come rilevato nella sentenza dello scorso agosto che lo ha bollato come monopolio illegale.

Moody’s L’intelligenza artificiale è il nuovo collega: come GenAI sta riscrivendo le regole della finanza

L’industria finanziaria, per anni paralizzata dalla sindrome dell’eccesso di cautela regolatoria, ha finalmente rotto gli argini. Da timorosa osservatrice a protagonista entusiasta, ha deciso di buttarsi nella piscina stavolta profonda – dell’intelligenza artificiale generativa. Moody’s, con la sobrietà americana che la contraddistingue, lo conferma: il settore finanziario è pronto a flirtare sul serio con la GenAI, e i numeri parlano chiaro.

Secondo Statista, nel 2023 il settore ha investito 35 miliardi di dollari in AI, cifra destinata a quadruplicarsi entro il 2028 raggiungendo i 126,4 miliardi. Non stiamo parlando di esperimenti da laboratorio, ma di un nuovo modello operativo in cui le macchine smettono di suggerire per iniziare a decidere.

Goldman Sachs Private Tech Tour 2025: Asia guida la rivoluzione tech del 2030

Mentre l’Occidente si distrae con il teatrino della politica interna e i mercati annaspano tra trimestrali tiepide e annunci fumosi sull’IA, Goldman Sachs decide di mandare in trasferta i suoi analisti più svegli per vedere con i propri occhi cosa sta bollendo nella pentola asiatica. Il risultato? Un vero schiaffo morale a Silicon Valley e Washington D.C.: la Cina è avanti. Di brutto. E non solo in un settore, ma in un ecosistema industriale che copre tutto, dai chip fotonici agli eVTOL, passando per robotaxi, server AI, e smartphone dal design impietosamente competitivo.

Il Private Tech Tour 2025 di Goldman è una sorta di via crucis high-tech da Shanghai a Shenzhen, con tappa a Guangzhou, durante il quale i cervelloni della banca d’investimento incontrano 19 aziende selezionate in otto settori critici. Ma la vera notizia non è l’elenco – peraltro interessante – delle società visitate. La notizia è che Goldman torna con un messaggio chiaro: l’Asia, e in particolare la Cina, non sta più inseguendo. Sta guidando. E non ha intenzione di aspettare che l’Occidente si svegli.

La fine del discount globale: Temu e Shein alzano i prezzi negli USA per colpa dei dazi Trumpiani

La notizia ha il sapore del déjà vu, ma stavolta i numeri sono spietati: dal 25 aprile, i prezzi su Temu e Shein aumentano. Non di qualche spicciolo, ma con una mossa che sa tanto di riposizionamento forzato sul mercato americano, guidato più da Washington che da logiche di business. Il colpo arriva con la delicatezza di un bulldozer: il ritorno del “tariff man” Donald Trump che, ancora in piena campagna elettorale, ha rispolverato il suo armamentario preferito per riequilibrare (a modo suo) la bilancia commerciale con la Cina.

Questa volta l’affondo è chirurgico. Un dazio del 145% sui beni provenienti dalla Cina, fine della cosiddetta “de minimis rule” che consentiva l’ingresso duty-free negli USA per pacchi sotto gli 800 dollari. Una regola che, per anni, ha permesso a Temu e Shein di inondare il mercato statunitense con milioni di pacchi al giorno, facendo leva su logistica iperottimizzata, pricing aggressivo e un uso chirurgico degli influencer per agguantare Gen Z e Millennial.

La nuova guerra digitale tra banche e deepfake: la Fed rispolvera l’intelligenza artificiale

La dichiarazione di Michael Barr, Governatore della Federal Reserve, non è passata inosservata. In un mondo dove la minaccia non ha più un volto ma un algoritmo, Barr ha lanciato un appello ai banchieri: svegliatevi, abbracciate l’intelligenza artificiale o sarete carne da macello per i nuovi truffatori digitali.

Nel suo intervento alla Federal Reserve Bank di New York, Barr ha tracciato un quadro che definire allarmante è poco. Le tecnologie deepfake quelle meraviglie del diavolo capaci di replicare perfettamente volto, voce e movimenti di una persona reale non sono più una curiosità accademica o uno scherzo da social. Sono armi. E come ogni arma che si rispetti, puntano dritte al cuore: le identità bancarie.

Un caffè al Bar dei Daini: OpenAI da 260 miliardi come vendere l’aria compressa e farla sembrare oro colato

Nel grande carnevale delle startup AI del 2025, c’è una regina indiscussa: OpenAI. L’azienda ha appena chiuso un round da 10 miliardi di dollari guidato da SoftBank, con una valutazione pre-money da 260 miliardi. Già solo questa cifra merita una scrollata di testa e un sorso di bourbon. Non è solo un finanziamento, è una dichiarazione di potere. Un grido al mercato: “il futuro dell’umanità passa dai nostri prompt”.

Dietro a questo slancio economico degno di una IPO di altri tempi, ci sono numeri che fanno girare la testa anche al più smaliziato dei venture capitalist: 3,7 miliardi di fatturato annuo, di cui 2,8 derivanti dagli abbonamenti a ChatGPT. Tradotto: l’AI come SaaS di massa sta funzionando. Molto più di quanto chiunque si aspettasse, anche nei peggiori incubi di un docente universitario che oggi compete con uno strumento da 20 dollari al mese.

Nvidia, Cina e il boomerang da 5,5 miliardi di dollari a stelle e strisce: quando il chip è amaro

Martedì, Nvidia ha acceso l’allarme rosso nei mercati dichiarando un colpo da 5,5 miliardi di dollari sulle sue finanze, un’anticipazione tutt’altro che digeribile per Wall Street. Il motivo? Le nuove, ennesime, restrizioni imposte dal governo degli Stati Uniti sulla vendita di chip per l’intelligenza artificiale e altre attrezzature hi-tech verso la Cina. Un déjà vu geopolitico che si trasforma, ancora una volta, in un bagno di sangue finanziario.

Il titolo Nvidia ha perso subito quota, lasciando sul terreno un secco 6% nelle contrattazioni after-hours. Non è una flessione qualsiasi: è un termometro emotivo, un segnale di panico sotto la superficie dorata del Nasdaq. Il gigante dei semiconduttori ha spiegato che l’onere è legato a inventario, impegni di acquisto e riserve associate ai chip H2O, quei gioiellini di silicio creati su misura per i clienti cinesi. Insomma: una Ferrari costruita per un mercato che ora rischia di finire sotto embargo. Non il massimo del timing.

Trump rilancia i dazi e affonda i chip: 1 miliardo di dollari in fumo per l’industria americana

Se c’è una costante nella geopolitica economica degli Stati Uniti targati Trump, è questa: ogni volta che si alza una barriera doganale per punire la Cina, qualcuno in California piange. E ora a piangere, con le tasche alleggerite di almeno un miliardo di dollari l’anno, sono proprio i colossi dell’industria dei semiconduttori americana. Applied Materials, Lam Research, KLA, e i player minori come Onto Innovation stanno facendo i conti non con i margini, ma con l’ascia di un protezionismo miope che rischia di segare il ramo su cui l’America tecnologica è seduta.

Secondo quanto riportato da Reuters, le tre principali aziende statunitensi produttrici di apparecchiature per semiconduttori stanno ciascuna fronteggiando perdite stimate attorno ai 350 milioni di dollari l’anno. Non a causa di un crollo della domanda, ma per le tariffe doganali decise dal solito zelo patriottico di Washington, in versione campagna elettorale. Onto Innovation, meno nota ma comunque presente nella supply chain globale, rischia perdite nell’ordine delle decine di milioni. Bruscolini, certo, ma solo per chi non lavora nell’azienda.

Zuckerberg voleva scorporare Instagram: quando la paura dei regolatori batte l’ego di un imperatore digitale

Non è un segreto che il regno di Menlo Park sia stato costruito a colpi di acquisizioni strategiche, mosse predatorie e una visione quasi napoleonica del controllo dei dati personali. Ma ciò che emerge dal processo antitrust tra la Federal Trade Commission e Meta è un retroscena che profuma di auto-preservazione travestita da strategia imprenditoriale.

Secondo e-mail interne risalenti a sette anni fa, Mark Zuckerberg avrebbe considerato lo scorporo volontario di Instagram, proprio perché il suo successo crescente rischiava di oscurare Facebook, la piattaforma madre.

FS Research Center Prevedere o costruire il futuro? L’illusione del cigno nero e il risveglio del planner visionario

Nel panorama rarefatto della pianificazione infrastrutturale italiana, Mario Tartaglia Lead del Research Center lancia una provocazione tanto elegante quanto velenosa: “To Predict or to Build the Future?”. Una domanda che non è un semplice invito alla riflessione, ma un’accusa neanche troppo velata verso la cronica miopia decisionale di chi dovrebbe disegnare il nostro domani su rotaie, asfalto e reti digitali.

Tartaglia non gioca sul banale ottimismo futurista. Mette in fila quarant’anni di incoerenza istituzionale – dal primo Piano dei Trasporti del 1985 alla tragicomica sequela di liste della spesa strategiche della cosiddetta Legge Obiettivo del 2001 per farci capire che il vero cigno nero non è la pandemia, né il cambiamento climatico. Il vero Black Swan è l’incapacità sistemica di pianificare con visione. E, come suggerisce il buon Nassim Taleb, il COVID non era nemmeno un cigno nero: era un elefante nella stanza, annunciato da Gates, Quammen e mezzo mondo scientifico. Ma come al solito, nessuno ha ascoltato Cassandra.

Huawei sfida Nvidia: la supernode cinese che punta a riscrivere le regole dell’intelligenza artificiale

Mentre l’occidente dorme e si gingilla con le sue regolazioni etiche e i suoi panel consultivi, Huawei ha appena alzato il sipario su qualcosa che, nel gergo bellico delle tecnologie emergenti, suona come un messaggio nucleare: la CloudMatrix 384 Supernode. Non è un nome da blockbuster hollywoodiano, ma dietro a questo acronimo rigido si nasconde una bestia da 300 petaflop, un Frankenstein di silicio che – se i numeri dichiarati reggono surclassa la tanto celebrata NVL72 di Nvidia (ferma a “soli” 180 petaflop). Fonte: STAR Market Daily

Il tempismo non è casuale. Gli USA hanno sbarrato l’accesso ai chip avanzati? Huawei risponde rilanciando con un’architettura AI che fa a meno di Santa Clara. La risposta cinese alla fame mondiale di potenza computazionale non è più una replica, è una dichiarazione di indipendenza. Ed è strategica, non solo tecnologica. Il fatto che la supernode sia già operativa a Wuhu, nella provincia centrale dell’Anhui, non è un dettaglio geografico: è la conferma che l’infrastruttura AI cinese non sta più nei laboratori, ma nei datacenter attivi, quelli veri.

Google (lay off) taglia in silenzio: la dieta nascosta di Big G per sopravvivere all’era dell’intelligenza artificiale

Mentre il mondo tech continua a rotolare tra bolle di hype e delusioni strutturali, Google sta affinando la sua arte preferita: licenziare senza far troppo rumore. Dopo il teatrale taglio del 2023, quando 12.000 dipendenti furono mandati a casa in un solo colpo (il 6,4% della forza lavoro), oggi Mountain View ha imparato a fare il macellaio con il silenziatore. Niente più fuochi d’artificio, niente più comunicati stampa epocali. Solo tagli chirurgici, distribuiti nel tempo, a colpi di “qualche centinaio di persone” qua e là. Più discreto, meno PR tossica, ma altrettanto letale.

La strategia è semplice, quasi elegante nella sua brutalità. Colpire ogni area con piccole ondate: vendite pubblicitarie, hardware, ingegneria, assistente virtuale, cloud, il reparto X da sempre specializzato in sogni impossibili (e costi altrettanto visionari), e – ultimo ma non meno importante – l’intero comparto Android, Chrome e Pixel. Tradotto: tagli ovunque ci siano muscoli che non portano più valore immediato.

La trappola dorata dell’AI: perché i big tech stanno spendendo troppo e gli investitori iniziano a inquietarsi

È affascinante osservare come l’industria tech, in particolare i titani del settore, continui ad avventurarsi in quella che sembra una corsa all’oro digitale: l’intelligenza artificiale. Ma mentre scavano a mani nude con badili d’oro in cerca della prossima “general intelligence”, qualcosa comincia a scricchiolare nella narrazione. Gli investitori – quei bastardi razionali – stanno iniziando a porsi domande che fino a ieri sembravano eresia: “E se stessero spendendo troppo?”

Robert Ruggirello, CIO di Brave Eagle Wealth, ha messo il dito nella piaga con una dichiarazione chirurgica: se i mega-cap tech rallentano la corsa al capex sull’AI, potrebbe addirittura essere visto come un segnale positivo dai mercati. In un mondo in cui ogni CFO è ossessionato dal burn rate, un taglio mirato agli investimenti può far lievitare le quotazioni più di una trimestrale da record. Perché? Perché la vera arte non è crescere, ma crescere con grazia, senza dissanguarsi.

E invece Alphabet – nella sua eterna guerra contro la fisica dei server – ha appena giurato di investire 75 miliardi di dollari per costruire infrastrutture data center. Per dare un’idea della scala: nel solo Q4 2024, l’azienda ha speso 14 miliardi, spalmati su Google Services, Google Cloud e la sempre affamata DeepMind. Il tutto mentre l’intero settore – tra Alphabet, Amazon, Meta e Microsoft – si prepara a gonfiare il proprio capex a 322 miliardi, circa il 40% in più rispetto alle aspettative dell’anno.

Thinking Machines Lab: l’anti-OpenAI da $10 miliardi che sta riscrivendo le regole dell’IA

Nel mondo iper-accelerato dell’intelligenza artificiale, i soldi sembrano crescere sugli alberi. Ma quando un’ex CTO di OpenAI lancia una startup, abbandona il carrozzone di Microsoft e in due mesi raddoppia il target di raccolta fondi a 2 miliardi di dollari, la faccenda prende una piega diversa. È quello che sta succedendo a Thinking Machines Lab, il nuovo mostro sacro in gestazione partorito da Mira Murati, ex mente tecnica dietro ChatGPT, ora pronta a giocare una partita tutta sua – con regole diverse, e ambizioni ancora più grandi.

Secondo quanto riportato da Business Insider, la società ha già messo sul piatto una valutazione da almeno 10 miliardi di dollari. In soldoni: una startup fondata tre mesi fa da ex ribelli di OpenAI sta per essere valutata più di molte aziende quotate con anni di attività alle spalle. Ma qui non si tratta solo di soldi. Si tratta di vendetta, visione e – soprattutto – controllo.

Mira Murati, donna silenziosamente centrale nell’ascesa dell’IA generativa, ha lasciato OpenAI proprio mentre il colosso iniziava a ballare sulle note composte da Microsoft. Il motivo? Non ufficiale, ma il timing e le mosse successive parlano da soli. Thinking Machines Lab nasce a febbraio, e nasce con un manifesto in tre punti che sembra il negativo fotografico della strategia OpenAI: aiutare le persone ad adattare l’IA ai propri bisogni (e non il contrario), creare fondamenta solide per sistemi più capaci, e – udite udite – promuovere una “cultura della scienza aperta”. Detta altrimenti, tutto ciò che OpenAI non è più da quando ha stretto il patto faustiano con Redmond.

L’intelligenza artificiale sta uccidendo il traffico web dei creator (e loro lo sanno)

Mentre tutti applaudono all’efficienza dei chatbot, i creatori di contenuti stanno scoprendo a proprie spese che l’intelligenza artificiale non è solo un alleato, ma anche un predatore. Il paradosso è servito: il progresso tecnologico, che da anni viene cavalcato da blogger, influencer e microeditori per monetizzare audience e traffico web, ora si sta ritorcendo contro di loro sotto forma di AI Overviews, Panoramiche Intelligenti e motori di ricerca che “rispondono” senza più bisogno di cliccare.

Fino a ieri, la SEO era la Bibbia. Bastava un titolo accattivante, qualche parola chiave ben piazzata e l’immancabile link affiliato piazzato come una trappola per topi: qualcuno cercava “miglior estrattore di succo 2025”, finiva sul tuo blog, leggeva il tuo articolo pseudo-obiettivo e cliccava su Amazon. Il gioco era fatto. Una commissione del 10-20%, moltiplicata per qualche migliaio di visitatori, significava soldi veri. Oggi, quella catena si spezza all’origine.

Strumenti come ChatGPT e Perplexity non mandano più traffico, lo trattengono. Google, con i suoi riassunti in cima ai risultati, taglia le gambe a chi viveva di “how to” e “best of”, per questo il traffico da Google è già sceso del 5,5% su base annua solo a marzo. E siamo solo all’inizio.

Bank of England: Il software AI potrebbe innescare una crisi di mercato per profitto

Il romanticismo che ancora circonda l’intelligenza artificiale – questa creatura metà algoritmo e metà divinità capitalista – si scontra oggi con una delle paure più ataviche della finanza moderna: che la macchina, lungi dall’essere un servo neutro, decida di ribaltare il tavolo. Il grido d’allarme arriva nientemeno che dalla Financial Policy Committee della Bank of England, che in un recente rapporto ha scoperchiato uno scenario tanto plausibile quanto scomodo: i modelli AI autonomi utilizzati nel trading finanziario potrebbero non solo destabilizzare i mercati, ma farlo intenzionalmente, per puro profitto.

C’è qualcosa di profondamente ironico in tutto questo. Abbiamo addestrato queste AI sulle logiche predatorie dei mercati, alimentandole con anni di dati intrisi di avidità, speculazione e arbitraggio sfrenato, e ora siamo sorpresi che queste stesse AI abbiano imparato a massimizzare il caos come leva di guadagno? Non stiamo parlando di semplici errori di calcolo, né di algoritmi impazziti. Stiamo parlando di sistemi sufficientemente avanzati da identificare vulnerabilità strutturali, manipolarle con finezza e far crollare interi mercati con un clic, tutto in nome dell’ottimizzazione dei profitti.

La guerra dei dazi tecnologici 125%: perché Apple e Nvidia non bastano a salvarci dal disastro annunciato

Un caffè al Bar dei Daini

Nel bel mezzo di un tracollo globale dei mercati, Donald Trump – con la consueta teatralità da venditore di padelle –ha annunciato un aumento vertiginoso delle tariffe sulle importazioni dalla Cina, portandole al 125%. Un colpo secco e clamoroso, mentre concedeva una “pausa” di 90 giorni ai dazi punitivi diretti alla maggior parte delle altre nazioni. Il messaggio è chiaro: il bersaglio ora è unico, si chiama Pechino. Tutti gli altri, per ora, respirano.

A sentirlo parlare, sembra che 75 paesi gli abbiano implorato di fare un accordo. E come al solito, il presidente americano si mette in posa da macho solitario con l’istinto infallibile: “China wants to make a deal… but they don’t quite know how.” Una frase che suona più da psicoanalisi per popoli fieri che da geopolitica. Ma il sottotesto è semplice: Xi Jinping, sei nel mirino, fatti vivo.

La retorica, degna di una campagna elettorale permanente, si traduce in una nuova escalation: dazi cumulativi del 125% contro Pechino, mentre la Cina risponde immediatamente con un +50% su tutte le importazioni americane. Non esattamente il clima ideale per una distensione commerciale, ma in Borsa, si sa, basta poco per riaccendere l’euforia. L’S&P 500 rimbalza fino all’8% dopo quattro sedute da incubo. L’isteria algoritmica vince ancora.

Dietro le quinte, tuttavia, regna l’ambiguità. La pausa concessa agli “altri” resta avvolta nella nebbia. Perché anche l’Unione Europea – che nel frattempo ha imposto ritorsioni – viene inclusa nella moratoria? Mistero. Nessuna risposta chiara, solo l’ennesimo “go with the gut” di Trump. Un approccio che definire artigianale è un eufemismo: “Non puoi fare i conti con la matita, è questione d’istinto.” Una filosofia gestionale da poker texano con le economie globali come posta sul tavolo.

Intanto, i suoi fedelissimi cercano di riscrivere la narrativa: le tariffe non sono una reazione alla caduta dei mercati, ma una strategia pianificata. “Trump ha provocato la Cina a scoprirsi,” dice il Tesoro. Che in pratica è come dire: abbiamo fatto tiltare Pechino e ora il mondo sa chi è il cattivo. Un po’ troppo comodo, forse.

Mentre si aprono nuovi tavoli di trattativa – con Vietnam e Giappone pronti a mandare “deal teams” –la Casa Bianca manda un messaggio al mondo: chi non ha risposto con ritorsioni sarà trattato con clemenza. Ma resta la domanda su quanto durerà la luna di miele. Perché dietro l’apparente trionfalismo si intravede il solito schema trumpiano: creare il caos, attendere il panico, poi offrire la via d’uscita.

Daniel Russel, ex Consiglio per la Sicurezza Nazionale con Obama, fotografa il paradosso: “Il bersaglio è solo la Cina, ma i continui zigzag creano un’incertezza tossica per aziende e governi.” Ecco il problema: l’unilateralismo tattico senza una visione strategica di lungo termine. Pechino, secondo Russel, non cederà. Aspetterà che Trump si spinga troppo oltre, poi agirà. Perché a concedere si rischia di perdere, e Xi non è tipo da perdere la faccia.

La sensazione? Che questa sia solo la prima stagione di una lunga serie. Una fiction politico-commerciale a metà tra House of Cards e Succession, dove l’unica costante è il protagonismo compulsivo di un presidente che confonde la diplomazia con la roulette russa. Con una differenza: qui non si gioca con i gettoni, ma con l’equilibrio dell’economia mondiale.

Nel nome della sovranità commerciale e di un nazionalismo economico che ormai puzza di muffa, l’amministrazione Trump ha appena scatenato l’ennesima bomba atomica sul fragile equilibrio del mercato tecnologico globale. Un colpo da 104% in pieno volto alla Cina, con tariffe che sembrano uscite da un manuale di autodistruzione economica, ha riacceso le fiamme di una guerra commerciale che tutti fingevano dimenticata ma che, a quanto pare, era solo sopita.

Il contraccolpo è immediato, sistemico, e francamente prevedibile. La risposta di Pechino arriva puntuale come un razzo ipersonico: 84% di dazi sui prodotti americani. Benvenuti nel 2025, dove la globalizzazione è un ricordo vintage e la filiera tecnologica globale è diventata un campo minato geopolitico. Wedbush, attraverso la voce – sempre pessimista quanto realista – di Daniel Ives, non ha nemmeno bisogno di analizzare troppo: i tech non forniranno guidance. Nessuno sano di mente si azzarda a proiettare numeri nel caos. Apple inclusa.

TikTok shop sotto assedio: da Trump a Temu, il grande bluff del cross-border cinese si sgonfia

Quando la politica fiscale diventa un’arma commerciale e l’e-commerce si trasforma in carne da macello doganale, non serve un veggente per capire che il vento è cambiato. TikTok Shop, la gallina dalle uova d’oro del retail made in China travestita da social entertainment, ha iniziato a lanciare allarmi ai suoi venditori cinesi: addio all’esenzione doganale, benvenuto inferno tariffario.

Con l’arrivo di maggio, il “de minimis” – quella magica soglia sotto gli 800 dollari che permetteva l’ingresso in USA di pacchi duty-free – sarà archiviato come un bel sogno ad occhi aperti. E come ogni sogno infranto in mano a un ex-presidente con la nostalgia da candidato, arriva la stangata: da 30% a 90% di dazio sul valore dei pacchi. Una tassa camuffata da protezionismo patriottico, che però, come sempre, finisce per colpire il consumatore finale… e l’algoritmo del prezzo più basso.

L’imprenditore che voleva la Luna: Jared Isaacman pronto a conquistare la NASA

La prossima settimana si consumerà un siparietto degno di un copione hollywoodiano scritto tra una conference call di SpaceX e un cocktail con Raytheon: Jared Isaacman, il miliardario con la passione per le acrobazie spaziali e i bilanci in ordine, si presenterà al Senato per una delle audizioni più delicate degli ultimi anni. Non come testimone, ma come protagonista. Al centro del palcoscenico politico-tecnocratico, Isaacman si prepara ad affrontare la Commissione per il commercio, la scienza e i trasporti del Senato per difendere la sua candidatura a nuovo amministratore della NASA.

BUY for ME l’intelligenza artificiale mangerà le app: Amazon si prepara, gli altri si illudono

Nel teatrino delle disruption tecnologiche, ogni tanto si alza il sipario su un numero che ruba la scena. E oggi, quel numero si chiama “agente AI”. No, non è un film di spionaggio, ma la vera trama thriller che rischia di far sparire silenziosamente un’intera generazione di app mobili. Mentre tutti guardano ai dazi di Trump come al grande antagonista dell’hi-tech, la vera minaccia sta nei bot che comprano sushi al posto tuo, prenotano voli low-cost e ti leggono l’estratto conto con tono rassicurante.

In questo quadro da fine impero, Amazon lo zar del commercio online — non solo ha capito il pericolo, ma ha anche deciso di diventarlo. Mentre i concorrenti dormono sonni tranquilli e si aggrappano alle metriche vanity delle loro app, Bezos & Co. (o chi per lui ora) introducono in sordina Acquista per me, il primo tentativo di trasformare Alexa in una personal shopper operativa su scala planetaria. L’utente non cerca più, l’utente chiede. E questo, per chi campa di interfacce carine e user journey finti-zen, è un colpo al cuore.

Palantir rimbalza del 5%, ma resta sotto del 40%: il mercato dei software enterprise è una giungla senza bussola

Nel pomeriggio di lunedì, mentre prendiamo un caffè al Bar dei Daini, Palantir Technologies ha registrato un rialzo del 5%, una boccata d’ossigeno in un contesto di trading schizofrenico per le azioni software enterprise. Ma prima di stappare lo spumante, va detto che il titolo è ancora seduto su una perdita del 40% dal suo picco record di $124 toccato a metà febbraio. In altri tempi avremmo parlato di correzione. Oggi, con l’hype dell’AI e la volatilità isterica del mercato, è semplicemente lunedì.

Il rimbalzo non è casuale, ma nemmeno miracolistico. Palantir ha un vantaggio strutturale: genera cassa, e la genera in fretta. Mentre molti dei suoi presunti “peer” nel settore dell’intelligenza artificiale bruciano liquidità come se fosse carbone in una locomotiva del XIX secolo, Palantir sembra aver trovato la quadra. Il suo loop dati-flywheel quel ciclo virtuoso in cui più dati significano migliori insight, che generano più clienti, che portano altri dati — sta girando come un orologio svizzero. Se mantiene questo ritmo, la società potrebbe diventare uno dei capisaldi dell’infrastruttura AI di nuova generazione.

Cripto e caos: mentre bitcoin crolla, Hong Kong sfoggia ottimismo al Web3 Festival

Nel mezzo di un’apocalisse finanziaria globale e del collasso improvviso di bitcoin, Hong Kong apre le porte al Web3 Festival con l’entusiasmo imperturbabile di chi finge che il Titanic non stia affondando. Il sipario si alza su questo spettacolo di blockchain e sorrisi forzati con il bitcoin che annaspa intorno ai 77.000 dollari, giù del 30% rispetto ai picchi di gennaio, mentre il mercato azionario cinese si prende la peggior bastonata degli ultimi 27 anni. Una scena da fine impero, ma con badge NFT.

Dietro le quinte, si agita il caos geopolitico: i nuovi dazi americani imposti dall’amministrazione Trump hanno destabilizzato mercati già tremanti, generando un effetto domino che ha travolto criptovalute, azioni e persino le certezze di chi pensava che il 2025 sarebbe stato l’anno dell’oro digitale. Spoiler: l’oro vero vola sopra i 3.000 dollari l’oncia, mentre il bitcoin balla ancora a ritmo Nasdaq. Ma non ditelo a chi lo definisce “oro digitale”.

Scott Bessent e il ruolo dell’intelligenza artificiale di DeepSeek nel crollo dei mercati: un’analisi della situazione economica globale

Il mercato azionario mondiale sta attraversando una fase di turbolenza che ha attirato l’attenzione di molti osservatori, in particolare a causa della continua discesa dei principali indici. Tuttavia, mentre la narrativa prevalente suggerisce che le politiche economiche di Donald Trump siano la causa principale di questo calo, Scott Bessent, segretario del Tesoro degli Stati Uniti, ha lanciato una visione contrastante, suggerendo che il vero fattore scatenante del crollo possa essere l’emergere di DeepSeek, un avanzato strumento di intelligenza artificiale sviluppato in Cina.

Bessent, intervistato da Tucker Carlson su Fox News, ha fatto un’affermazione provocatoria, chiarendo che la discesa dei mercati è iniziata ben prima dell’intensificarsi delle politiche tariffarie di Trump. Secondo lui, il vero catalizzatore del calo sarebbe stato l’annuncio del lancio di DeepSeek, l’innovativo modello di intelligenza artificiale cinese, che ha scosso i mercati globali con una potenza dirompente.

Silicio tossico: l’industria dei semiconduttori crolla nonostante le carezze tariffarie di Trump

Un caffè amaro al BAR dei Daini

Nonostante l’ultima stretta di Donald Trump abbia graziosamente risparmiato i semiconduttori dalla nuova ondata di dazi, il settore ha continuato a cadere a picco con l’eleganza di un frigorifero lanciato da un grattacielo. Venerdì, la tecnologia pesante del Nasdaq ha segnato ufficialmente l’ingresso in territorio orso, con un calo di oltre il 20% da dicembre. Una discesa verticale che ha lasciato investitori, analisti e CEO con lo sguardo perso nel vuoto, come chi si sveglia con l’hangover e il conto in banca azzerato.

Banche e fintech: amore e guerra nell’era dell’AI generativa, parola della Fed Michael Barr

Jerome Powell sta in silenzio, ma Michael Barr, il vice presidente della Federal Reserve per la supervisione bancaria, parla. E quando parla, non lo fa per riempire d’aria le sale di conferenze. Nel suo intervento di ieri, ha lanciato un segnale inequivocabile: banche e fintech non solo dovranno convivere nel campo dell’intelligenza artificiale generativa, ma saranno costrette a una danza fatta di competizione spietata e cooperazione strategica. Una convivenza forzata tra il lupo di Wall Street e la startup con la felpa di Stanford.

Copilot spara a zero: il roast (programmato) dei tre CEO di Microsoft

Se c’è un’arte che la Silicon Valley ha affinato negli ultimi anni, è quella dell’autocelebrazione camuffata da ironia. Microsoft, che compie cinquant’anni e vuole dimostrare di essere ancora “cool”, ha tirato fuori dal cilindro un siparietto tanto surreale quanto geniale: mettere a confronto tre epoche del colosso di Redmond—Bill Gates, Steve Ballmer e Satya Nadella—e lasciarli roastare da un’intelligenza artificiale. Il tutto, ovviamente, orchestrato da Copilot, la loro AI di punta. Il risultato? Un incrocio tra uno show HBO e una riunione del consiglio d’amministrazione con microdosi di LSD.

Tariffe Usa, addio al de minimis: e-commerce cinese in ritirata tra panico, sconti cancellati e nuove rotte

Il sogno dorato del Made in China, sold on Amazon si sta sbriciolando sotto i colpi di nuove barriere doganali statunitensi. E questa volta non si tratta di una mossa graduale o diplomatica. È una frustata, netta e rumorosa. Con la consueta grazia da bulldozer, l’amministrazione Trump ha fatto saltare due pilastri chiave del successo dell’e-commerce cinese negli Stati Uniti: da un lato un nuovo pacchetto di dazi fino al 34%, dall’altro la fine dell’esenzione de minimis per spedizioni inferiori a 800 dollari, che fino ad oggi garantiva una via d’accesso privilegiata alla giungla americana.

La reazione è stata immediata e prevedibile: panico operativo, prezzi ritoccati, sconti strappati con violenza dalle homepage, e un’ondata di esplorazioni in territori più ospitali – Europa, Medio Oriente, e chi più ne ha più ne cerchi. Il business transfrontaliero cinese, che ha visto una crescita a doppia cifra anno su anno, toccando quota 2,63 trilioni di yuan nel 2024 (pari a 361 miliardi di dollari), sta ora facendo i conti con un brusco risveglio.

Microsoft: 50 anni di innovazione, dalla visione di Gates all’intelligenza artificiale di Nadella

“In futuro ci sarà un computer su ogni scrivania e in ogni casa”. Con questa visione audace e quasi utopistica, il 4 aprile 1975, due compagni di scuola, Bill Gates e Paul Allen, fondano Microsoft a Albuquerque, nel New Mexico. Quello che inizia come un sogno di due giovani appassionati di informatica si trasforma in una delle più grandi realtà tecnologiche del pianeta. Oggi, a 50 anni dalla sua nascita, Microsoft è un colosso con una capitalizzazione di mercato raggiunge i 2.850 miliardi di dollari (dato aggiornato al 3/4/2025), un’azienda che ha saputo evolversi, adattarsi e, soprattutto, anticipare i tempi. In vista del suo anniversario, ripercorriamo le tappe principali di un viaggio straordinario, dai primi codici per l’Altair 8800 all’attuale scommessa sull’intelligenza artificiale, senza dimenticare i manager che hanno guidato questa rivoluzione.

Zuckerberg cerca di comprare la libertà: l’ultima mossa disperata di Meta per salvare il monopolio

Mark Zuckerberg è in modalità panico. Il CEO di Meta ha attivato tutte le sue connessioni politiche per tentare di risolvere la causa antitrust che potrebbe smembrare il suo impero digitale.

Il bersaglio? Donald Trump, l’uomo che ha già dimostrato di poter cambiare posizione più velocemente di un algoritmo di Facebook. Secondo il Wall Street Journal, Zuckerberg sta facendo pressione sulla Casa Bianca affinché la FTC (Federal Trade Commission) molli la presa sulla causa che potrebbe costringere Meta a vendere Instagram e WhatsApp. La battaglia legale è iniziata nel 2020, sotto la prima amministrazione Trump, ma ora sta per arrivare al processo, previsto per il 14 aprile.

Trump scatena una guerra commerciale sui chip: tariffe record su Cina, Taiwan e Giappone

L’America torna grande. O almeno così dice Donald Trump, che ha annunciato l’introduzione di tariffe reciproche devastanti sui principali attori della catena di approvvigionamento dei semiconduttori. Cina colpita con un 34%, Taiwan con un 32% e il Giappone con un 24%. Un colpo diretto al cuore dell’industria tecnologica globale, con effetti immediati sui mercati finanziari e sull’intero ecosistema dei semiconduttori.

Dal Rose Garden della Casa Bianca, Trump ha proclamato quello che ha definito “il giorno della liberazione economica dell’America”, firmando un ordine esecutivo che introduce le nuove tariffe con un tono da crociata economica: “Abbiamo aspettato troppo a lungo… Oggi è il giorno in cui rendiamo l’America di nuovo ricca.” La strategia? Costringere le aziende tecnologiche a riportare la produzione in casa, evitando così i dazi.

Apple e la tempesta perfetta: Trump, dazi e il crollo in borsa

Apple si ritrova nel mirino della nuova ondata di dazi imposta da Donald Trump, nonostante anni di manovre per proteggersi dalle guerre commerciali e dai rischi della supply chain. Il colpo arriva con una violenza tale da scatenare una tempesta sui mercati finanziari: il titolo Apple ha subito una caduta del 7,9% nelle contrattazioni after-hours, un colpo durissimo per un’azienda che già arrancava con un -11% dall’inizio dell’anno.

Il nodo centrale? I nuovi dazi reciproci annunciati dalla Casa Bianca, che colpiranno le importazioni dalla Cina con un’imposizione del 34%, portando il totale delle tariffe sui beni cinesi al 54%. Questo significa un potenziale terremoto per Apple, che, nonostante i tentativi di diversificare la sua produzione, resta ancora fortemente dipendente dalla manifattura cinese.

Builder.ai, la grande illusione dell’intelligenza artificiale e il fallimento della promessa no-code

Quando si parla di startup AI, Builder.ai era quella luce brillante che tutti sognavano di inseguire: valutata oltre 1,3 miliardi di dollari, con investitori come Microsoft e il Qatar Investment Authority pronti a versare milioni per cavalcare la rivoluzione no-code. La sua missione? Semplice, ambiziosa, quasi utopica: democratizzare lo sviluppo di app, trasformare chiunque in uno sviluppatore, grazie a una piattaforma no-code alimentata dall’intelligenza artificiale. Suona bene, quasi troppo bene.

Ma qui, dietro la facciata patinata, emerge la solita storia del grande bluff tecnologico. Non è raro vedere startup trionfare sul marketing e sulle buzzword, ma Builder.ai ci mostra quanto sia fragile questa illusione. Perché la realtà, amara e implacabile, racconta un’altra storia: gran parte del lavoro “AI” era in realtà svolto da sviluppatori umani dietro le quinte. Una scena che sembra uscita da un episodio di “MIB” — la tecnologia promessa come autonoma e rivoluzionaria si rivela dipendere da un esercito di programmatori che, come marionette invisibili, muovono i fili.

OpenAI stampa soldi: ChatGPT supera i 20 milioni di abbonati paganti e punta ai 30 miliardi di ricavi

ChatGPT non è solo un fenomeno culturale, ma una macchina da soldi senza precedenti. Secondo The Information, il numero di abbonati paganti ha superato i 20 milioni, con un balzo del 30% rispetto ai 15,5 milioni registrati a fine 2024. Tradotto in numeri duri e puri, significa che OpenAI sta generando almeno 415 milioni di dollari al mese, rispetto ai 333 milioni di fine anno scorso.

Questo exploit arriva mentre la società, con Microsoft come principale investitore, ha annunciato un nuovo round di finanziamento da 40 miliardi di dollari, portando la valutazione di OpenAI a un’imponente 300 miliardi di dollari. A guidare l’operazione c’è il colosso giapponese SoftBank, sempre a caccia di scommesse tech vincenti.

Tech stocks e la bolla AI: rischio recessione o crescita irreversibile? Un caffè al Bar dei Daini

Le Tech stocks hanno evitato per un soffio un altro massacro lunedì, con il Nasdaq che ha chiuso in ribasso dello 0,1%, ma solo dopo una giornata che sembrava molto più cupa, con perdite che a un certo punto hanno superato il 2%. Questo teatrino si ripete con una certa regolarità: l’indice ha perso quasi il 13% dall’insediamento di Donald Trump, e gli indicatori suggeriscono che il paese stia per tuffarsi in una recessione. Il sentiment dei consumatori è in calo, l’S&P 500 ha perso oltre il 7% dallo stesso periodo ed ha appena chiuso il peggior mese da marzo 2022.

XAI l’Intelligenza Artficiale di Elon Musk che fa sembrare Anthropic un discount

Nel mercato dell’intelligenza artificiale, dove le valutazioni aziendali crescono con la velocità di una bolla finanziaria gonfiata dall’euforia degli investitori, XAI di Elon Musk è l’ennesima dimostrazione che i numeri contano meno delle narrazioni.

In appena 16 mesi, la società ha raggiunto una valutazione di 50 miliardi di dollari, un risultato che OpenAI ha impiegato quasi un decennio a ottenere. Per mettere le cose in prospettiva, Anthropic, considerata una delle aziende di IA più promettenti, si è fermata a 61,5 miliardi di dollari dopo quattro anni di attività e una raccolta fondi da 3,5 miliardi nel marzo 2025.

Hollywood e l’affare sporco dei trailer AI: quando il copyright diventa un’opportunità

Hollywood ha sempre avuto un talento innato per trasformare ogni crisi in un’opportunità. Ora, a quanto pare, alcuni studi cinematografici hanno trovato il modo di monetizzare persino la proliferazione di trailer generati dall’intelligenza artificiale su YouTube. Secondo Deadline, Warner Bros. Discovery, Paramount e Sony Pictures hanno deciso di non combattere questi contenuti con le solite richieste di rimozione per violazione del copyright. Al contrario, hanno preferito reindirizzare a loro stessi i guadagni pubblicitari, sottraendoli ai creatori di questi trailer, come i canali Screen Culture e KH Studio.

Questa strategia ha scatenato l’ira del sindacato degli attori SAG-AFTRA, che accusa le major di trarre profitto da contenuti che sfruttano senza autorizzazione le sembianze delle loro star, spesso ricreate artificialmente. La questione solleva un dilemma interessante: le stesse case di produzione che potrebbero eliminare questi video per violazione del copyright scelgono invece di monetizzarli. Perché eliminare qualcosa che può generare guadagni passivi?

OpenAI sotto pressione: SoftBank lega il mega-round da 40 miliardi alla conversione in società a scopo di lucro

La corsa di OpenAI verso il capitale sembra avere un prezzo ben preciso: la sua trasformazione definitiva in un’azienda a scopo di lucro. Secondo fonti vicine all’accordo, SoftBank, il principale investitore del mega-round da 40 miliardi di dollari, ha posto una condizione fondamentale per l’intero finanziamento: OpenAI deve completare la transizione entro la fine dell’anno, altrimenti il round potrebbe essere dimezzato.

Il round è diviso in due tranche: una iniziale da 10 miliardi di dollari, che dovrebbe chiudersi nelle prossime settimane, e una seconda da 30 miliardi, prevista più avanti nel 2025. Se OpenAI non dovesse riuscire nella conversione, la seconda tranche si ridurrebbe drasticamente a 10 miliardi. In sostanza, SoftBank – che da sola sta mettendo sul tavolo almeno 30 miliardi sta puntando tutto sulla possibilità che OpenAI si liberi dai vincoli della sua struttura originaria non-profit.

Humanoid robot, il sogno che non paga: il cinico verdetto di Allen Zhu

Le prospettive degli investitori sull’economia cinese sono sempre molto apprezzate dai lettori di Rivista.AI, poche riviste ne parlano, Bias Cina, ma rappresentano l’altro lato della luna. Introduciamo  GSR Ventures, una società che investe in start-up nelle fasi iniziali. Allen Zhu Xiaohu di GSR Ventures vanta una vasta esperienza nello sviluppo di prodotti software e nell’espansione globale. Prima di lavorare per GSR Ventures, ha co-fondato eBaoTech, un fornitore leader di sistemi core back-end per assicurazioni. Inoltre, ha collaborato con McKinsey Greater China, dove ha acquisito una significativa esperienza in consulenza e implementazione.

Allen Zhu Xiaohu, il venture capitalist dietro a colossi come Didi Chuxing e RedNote, ha sganciato una bomba sul settore dell’AI embodied: i robot umanoidi sono un sogno senza futuro commerciale. In un’intervista con ChinaVenture, ha rivelato che il suo fondo, GSR Ventures, ha abbandonato diversi investimenti nel settore, alimentando il dibattito nella comunità tech cinese proprio mentre il mercato dell’intelligenza artificiale sta esplodendo.

Zhu ha sintetizzato il problema con la sua solita ironia tagliente: “Ogni robot umanoide ormai fa capriole, ma dove sta la monetizzazione?” Una provocazione che colpisce il cuore della questione. Il concetto di embodied AI, che unisce intelligenza artificiale e sistemi fisici dotati di sensori, è affascinante, ma il suo percorso commerciale rimane nebuloso. Nonostante gli enormi investimenti e i progressi tecnologici, il mercato non ha ancora trovato un modello sostenibile che trasformi queste macchine in business redditizi.

Il bluff dell’AI cinese e l’ossessione degli investitori per il miraggio tecnologico

Il recente scossone nei titoli tecnologici non ha scalfito minimamente la fiducia degli investitori cinesi. Anzi, secondo Judy Hsu, CEO per il wealth e retail banking di Standard Chartered, i grandi patrimoni della Cina continentale restano fermamente convinti che il settore tecnologico sia una miniera d’oro a lungo termine. Poco importa se le valutazioni sembrano gonfiate o se i ribassi recenti avrebbero dovuto mettere in guardia anche i più ottimisti. Il mantra è sempre lo stesso: il futuro appartiene alla tecnologia, e la Cina ne sarà il cuore pulsante.

Questa fiducia quasi cieca è stata alimentata dal boom dell’intelligenza artificiale, con il recente exploit di DeepSeek, la startup cinese che ha lanciato due modelli di linguaggio capaci di competere con il celebre ChatGPT di OpenAI, ma a costi e consumi di calcolo decisamente inferiori. La notizia ha innescato una corsa sfrenata ai titoli tech, facendo impennare l’Hang Seng Tech Index di quasi il 30% in poco più di un mese. Poi, inevitabilmente, è arrivata la frenata: profit-taking e una correzione dell’8,5% hanno riportato i piedi per terra alcuni investitori. Ma il messaggio di fondo resta: il mercato continuerà a crescere.

CoreWeave: quando l’IPO ridimensionata svela crepe nel castello di sabbia dell’AI

CoreWeave, il fornitore di servizi cloud specializzato in infrastrutture AI, ha recentemente affrontato un debutto in borsa tutt’altro che stellare. L’azienda aveva inizialmente previsto di vendere 49 milioni di azioni a un prezzo compreso tra 47 e 55 dollari per azione, con l’obiettivo di raccogliere circa 2,7 miliardi di dollari. Tuttavia, a causa di una domanda inferiore alle aspettative, l’offerta è stata ridotta a 37,5 milioni di azioni al prezzo di 40 dollari ciascuna, raccogliendo 1,5 miliardi di dollari e valutando l’azienda intorno ai 23 miliardi di dollari .

Il primo giorno di negoziazione non ha portato sollievo: le azioni di CoreWeave hanno aperto a 39 dollari, scendendo poi a circa 37 dollari, per poi chiudere alla cifra iniziale di 40 dollari . Questo andamento riflette una crescente cautela degli investitori verso le IPO tecnologiche, soprattutto in un mercato che inizia a mostrare segni di surriscaldamento nel settore AI.​

Pagina 3 di 22

CC BY-NC-SA 4.0 DEED | Disclaimer Contenuti | Informativa Privacy | Informativa sui Cookie