Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Alibaba lancia i modelli Qwen3 su Apple MLX: l’Intelligenza Artificiale di Cupertino si inchina a Pechino

La mossa ha il sapore di un patto con il diavolo. Da un lato, Apple, paladina del controllo verticale, della privacy come religione e dell’ecosistema chiuso per eccellenza. Dall’altro, Alibaba, il colosso cinese dell’e-commerce che sta costruendo a colpi di API e modelli linguistici un arsenale AI di livello globale, ma profondamente radicato nel suolo (e nel controllo) della Repubblica Popolare Cinese.

Secondo Reuters, Alibaba ha appena rilasciato una versione dei suoi modelli di intelligenza artificiale Qwen3, adattata all’architettura MLX di Apple. Tradotto per i non iniziati: iPhone, iPad, Mac e MacBook possono ora eseguire questi modelli direttamente a livello locale, all’interno dell’infrastruttura neurale progettata da Cupertino.

Nella nuova guerra dei cervelli, vince chi personalizza l’intelligenza

C’era una volta il sogno dell’Intelligenza Artificiale generale: una mente artificiale capace di fare tutto, parlare di Kant, scrivere codice in Rust e magari consolare un adolescente in crisi esistenziale. Poi, tra aprile e giugno 2025, qualcosa è cambiato. O meglio, si è perfezionato. L’industria ha finalmente capito che l’AI generalista è l’equivalente digitale di un coltellino svizzero: affascinante, multitasking, ma inefficiente dove conta davvero.

In tre mesi abbiamo assistito a una mutazione darwiniana silenziosa, brutale, e perfettamente logica: il passaggio dall’intelligenza artificiale generica all’AI fit-for-purpose. Una sigla che suona come uno slogan da consulenti, ma che cela un nuovo paradigma industriale.

Meta, Anthropic, Google e OpenAI non stanno semplicemente aggiornando modelli. Stanno ricablando il cervello delle macchine per mercati verticali, casi d’uso mirati, identità distinte. Non stanno creando Frankenstein più grossi. Stanno fabbricando prototipi chirurgici. E ogni nuovo rilascio è una mossa strategica su una scacchiera a tempo.

Come trasformare un’intelligenza artificiale in un consulente di altissimo livello usando solo il prompt giusto

Nel mondo delle AI generative, Claude 4 Opus è arrivato senza fuochi d’artificio. Nessuna conferenza stampa à la Steve Jobs, nessuna demo hollywoodiana. Eppure, tra chi sa cosa cercare — e come chiederlo — è ormai un segreto di Pulcinella: questo modello di Anthropic sa scavare. E non nel senso banale di “rispondere meglio alle domande”, ma di arrivare al nocciolo, come farebbe un ex McKinsey con troppo tempo libero e un accesso privilegiato a JSTOR.

Nvidia crea il suo mercato delle GPU: la danza velenosa tra impero e alleati

Nvidia, già regina assoluta dell’oro nero dell’era digitale — le GPU — sta passando da fornitore a piattaforma. Non più solo venditrice di pale e picconi nella corsa all’AI, ma ora anche titolare del terreno su cui si scava. In un colpo magistrale, il colosso di Jensen Huang si sta trasformando da fabbricante a mercato. È come se la General Motors avesse deciso, improvvisamente, non solo di costruire automobili, ma anche di possedere tutte le autostrade. E i caselli. E magari anche le mappe di Google.

Amthropic: Perché l’intelligenza collettiva artificiale funziona meglio di quella umana

La ricerca, quella vera, non sta dentro una query. Non si risolve con un prompt brillante né con un chatbot veloce. È una bestia caotica, tentacolare, fatta di deviazioni improvvise, intuizioni che arrivano mezz’ora dopo l’orario previsto, link impensabili e documenti che nessuno ha mai pensato di indicizzare davvero bene. È per questo che le architetture di intelligenza artificiale lineari — quelle a colpo secco, domanda-risposta, pipeline serrata — vanno in crisi quando il compito si fa realmente interessante.

Ed è anche il motivo per cui multi-agent system non è una moda geek per smanettoni da San Francisco, ma la direzione inevitabile che l’AI sta prendendo per affrontare problemi aperti, non deterministici, e rumorosamente complessi. Sì, rumorosi: perché nel caos informativo contemporaneo, ciò che serve non è un’unica voce saggia, ma una sinfonia di agenti cognitivi autonomi, coordinati come un’orchestra.

flag of usa

L’intelligenza artificiale e la politica americana: la moratoria che nessuno vuole davvero

Non è un segreto che la politica americana e la regolamentazione dell’intelligenza artificiale (IA) siano diventate un campo di battaglia intricato, dove le fazioni si fronteggiano con la stessa ferocia riservata ai dibattiti su armi o sanità. La recente opposizione repubblicana alla moratoria sulle regole dell’IA a livello statale, con figure di spicco come i senatori Ron Johnson, Rick Scott e Angela Paxton che hanno deciso di sparigliare le carte, ha portato l’argomento a un punto di non ritorno. La moratoria, inizialmente pensata come un freno prudente alla corsa sfrenata dell’innovazione tecnologica, si sta trasformando in una fonte di divisione interna che sta erodendo la maggioranza repubblicana al Senato.

Vera factchecking di Babelscape: quando la verità è un’opinione a tempo determinato

Secondo Semrush, Google AI Overview cita oggi Quora e Reddit più di Wikipedia o del New York Times. Lasciate che questa notizia vi atterri addosso come un pugno ben assestato: le fonti più rapide, umane e spesso utili, sono raramente verificate, fact-checked o sottoposte a standard editoriali rigorosi. Persino LinkedIn e YouTube superano in ranking molti degli outlet tradizionali. Che fine hanno fatto i fatti?

Droni fedeli e guerra algoritmica: la nuova arma segreta Americana non vola ancora, ma già fa tremare Pechino

Il Pentagono non ha bisogno di decollare per far capire che intende restare in cima alla catena alimentare tecnologica globale. Con l’annuncio dei test a terra dei nuovi droni da combattimento YFQ-42A e YFQ-44A, gli Stati Uniti lanciano un messaggio diretto e in alta frequenza a Pechino: l’era dei caccia autonomi non è un esperimento accademico, è una corsa all’egemonia che sta per prendere quota.

Google taglia i ponti con Scale AI, dopo il flirt con Meta: quando l’intelligenza artificiale diventa geopolitica

Che cos’è più rischioso per un gigante tecnologico: una fuga di dati o una fuga di cervelli? Google sembra aver risposto scegliendo la seconda opzione. La decisione, riportata da Reuters, di interrompere (quasi) tutti i rapporti con Scale AI non è solo una questione commerciale. È un atto di autodifesa strategica, una mossa muscolare in un mercato dell’intelligenza artificiale sempre più contaminato da interessi incrociati, partecipazioni incestuose e “amicizie” da manuale di guerra fredda.

Federico Faggin, l’uomo che sussurrava ai chip e scuoteva le coscienze


Federico Faggin, l’uomo che vide il futuro – Video

Un documentario dedicato a uno dei personaggi del nostro tempo, Federico Faggin, fisico, inventore e imprenditore italiano, venerato nella Silicon …

C’è una strana ironia nel fatto che l’uomo che ha dato un’anima al silicio stia passando gli ultimi decenni della sua vita cercando l’anima dell’uomo. Federico Faggin, fisico, inventore, imprenditore, ma soprattutto visionario, è stato celebrato nel documentario L’uomo che vide il futuro, firmato da Marcello Foa. Un titolo che potrebbe suonare esagerato.

Sovranità, questa sconosciuta: Microsoft riscopre l’Europa e il cloud sovrano diventa sexy

Nel 2025 la parola più di moda nel lessico delle multinazionali tech è una che fino a ieri puzzava di geopolitica demodé e burocrazia: sovranità. Ma non quella dei popoli, delle nazioni o dei parlamenti. No, quella digitale. Benvenuti nell’epoca del “Sovereign Cloud”, dove anche Microsoft, dopo anni di amore cieco per il modello centralizzato alla californiana, decide di vestirsi da paladina della sovranità europea, con tanto di accento sulla compliance, controllo e resilienza.

La nuova carne è sintetica: TikTok reinventa l’influencer con l’intelligenza artificiale

Immaginate un futuro dove Chiara Ferragni non ha bisogno di truccarsi, fare luce perfetta o mettere in pausa una vacanza a Mykonos per sponsorizzare uno shampoo: una sua controfigura digitale, indistinguibile dall’originale, lo fa al posto suo. Sempre sveglia, sempre disponibile, sempre perfetta. Ora smettete di immaginare. Quel futuro è già un prodotto freemium in beta.

TikTok ha annunciato oggi l’espansione della sua piattaforma pubblicitaria basata su intelligenza artificiale, Symphony. Nome appropriato, perché sembra più Wagner che Vivaldi: una sinfonia di automazione che promette di riscrivere non solo il business degli influencer, ma l’intero concetto di raccomandazione umana. L’idea è tanto semplice quanto inquietante: sostituire corpi, voci e volti reali con avatar sintetici in grado di “provare” abiti, “mostrare” app su smartphone e “consigliare” prodotti come se fossero vere persone. Il tutto generato con una foto, un prompt testuale e qualche secondo di attesa. Voilà, l’influencer è servito.

Trump lancia la più grande deportazione di massa della storia americana, e questa volta fa sul serio

A Washington il sole sorge rosso sangue quando Trump si sveglia con il dito già sospeso sopra il pulsante pubblica di Truth Social. Le lettere sono maiuscole, l’intonazione è apocalittica, e l’obiettivo, ancora una volta, sono le “città infestate” da immigrati illegali: Los Angeles, Chicago, New York. Tutte roccaforti democratiche. Tutte perfette per alimentare il feticcio del nemico interno.

Il presidente in cerca di rielezione ha rispolverato il suo vecchio cavallo di battaglia: l’invasione. Ma stavolta il cavallo ha blindati al posto degli zoccoli, 4.000 uomini della Guardia Nazionale e 700 Marines schierati direttamente in California, come se si trattasse di Falluja e non di una città americana con un sindaco democraticamente eletto.

Geoffrey Hinton: L’intelligenza artificiale ci capisce meglio di quanto ci capiamo noi

Ogni volta che interroghiamo un LLM, crediamo di fare una semplice domanda a una macchina. Ma forse stiamo interrogando noi stessi, la nostra architettura cognitiva, in un riflesso di silicio più umano di quanto siamo disposti ad ammettere. Geoffrey Hinton, padre spirituale delle reti neurali, ce lo sta dicendo chiaramente, con quella calma glaciale tipica di chi ha già messo a ferro e fuoco la disciplina: “Gli LLM non sono tanto diversi da noi. Anzi, ci somigliano moltissimo.”

Ecco, non è una provocazione accademica. È un colpo al cuore dell’antropocentrismo computazionale.

Nvidia contro Anthropic, il duello dell’intelligenza artificiale che svela un conflitto filosofico senza ritorno

Nel 2025, l’intelligenza artificiale non è solo una tecnologia: è una fede, un’ideologia, una dichiarazione di potere. Due dei suoi sacerdoti più visibili, Jensen Huang (Nvidia) e Dario Amodei (Anthropic), hanno appena messo in scena uno scontro che definisce non solo il futuro della tecnologia, ma chi avrà il diritto di riscrivere le regole della civiltà. Huang, con la sicurezza del monopolista delle GPU e l’aplomb del padrino della rivoluzione AI, ha dichiarato pubblicamente che “non è d’accordo praticamente su nulla” di quanto sostiene Amodei. Quando due titani litigano, non è mai solo questione di opinioni. È guerra di visioni.

Quando i vestiti li disegna l’algoritmo: la scommessa di Zhiyi tech sull’AI che anticipa le mode globali

Cosa accade quando un algoritmo sa cosa venderà prima ancora che venga disegnato? Succede che l’intuizione umana viene ridotta a un parametro, la creatività a una probabilità, e la moda—quella imprevedibile, volubile e umorale—diventa una scienza predittiva gestita da un’intelligenza artificiale cinese. Succede tutto questo a Hangzhou, nella silicon valley del Dragone, dove una start-up fondata nel 2018 sta riscrivendo il manuale della fashion industry globale. Il suo nome è Hangzhou Zhiyi Technology, e il suo verbo è: data.

In un’epoca in cui il fast fashion ha già tracciato le coordinate della velocità estrema, Zhiyi Tech promette qualcosa di ancora più radicale: velocità predittiva. Non solo produrre in fretta, ma produrre ciò che venderà di sicuro. E lo fa fornendo a colossi come Nike, Gap e Urban Revivo un arsenale di strumenti capaci di divorare dati dai marketplace cinesi (Taobao, Tmall), occidentali (Amazon, Shein, Temu), e dai social che dettano legge tra Gen Z e Alpha (TikTok, Instagram, Douyin).

Oracle e NVIDIA, una lunga notte nell’intelligenza artificiale

C’è un vecchio detto della Silicon Valley: se non puoi batterli, integrali. E Oracle, il colosso che per decenni è stato sinonimo di database e conservatorismo IT, sembra averlo preso molto sul serio. Il suo flirt con NVIDIA, iniziato con garbo tecnico e qualche annuncio di contorno, ora ha il sapore di una relazione seria, forse persino matrimoniale. L’annuncio dell’espansione della partnership tra Oracle e NVIDIA, condito da GPU Blackwell, supercluster e AI agenti, non è solo un comunicato stampa: è un messaggio lanciato a tutti i competitor, un manifesto politico sull’infrastruttura AI del futuro.

Windows 11 reinventa sé stesso con l’AI: nuova droga per i nostalgici del menu Start

Benvenuti nell’epoca in cui il menu Start è diventato il nuovo campo di battaglia dell’intelligenza artificiale. Non è una battuta: Microsoft, come un illusionista con una dipendenza da hype, sta trasformando Windows 11 in un hub “magico” di funzioni AI, anche se il vero protagonista rimane sempre lui, il caro vecchio Start menu. Solo che ora è… più largo. Più fluido. Più telefonico. E decisamente più invasivo.

L’intelligenza artificiale e il suo doppio: tra prove impossibili e test truccati

The Illusion of the Illusion of Thinking

Nel laboratorio al neon della Silicon Valley, la guerra per l’anima dell’intelligenza artificiale non si combatte più con chip, ma con metafore e benchmark. La nuova contesa? Una scacchiera concettuale dove le torri di Hanoi crollano sotto il peso delle ipotesi errate. Apple, col suo candore da primo della classe, ha lanciato una bomba travestita da studio scientifico: i modelli linguistici di grandi dimensioni, ha detto, vanno in crisi su compiti “semplici” come il puzzle del traghettatore. La risposta di Anthropic è arrivata come una lama affilata nella nebbia. E il bersaglio non è tanto l’errore del modello, ma l’errore dell’uomo nel porre la domanda.

Prima di addentrarci, una precisazione utile agli esperti e necessaria agli entusiasti: stiamo parlando di reasoning, ovvero la capacità dei LLM di sostenere inferenze coerenti, non solo di rigurgitare pattern statistici. Ed è su questa soglia – sottile, scivolosa, pericolosamente umana – che Apple ha deciso di piantare la sua bandiera.

Meta e l’arte del consenso implicito: quando il silenzio vale più di un sì

L’Europa, nel maggio 2025, si è trovata di fronte a uno specchio oscuro. Lì dentro, riflessi, 269 milioni di volti Instagram e 260 milioni di vite Facebook. O almeno, i loro avatar digitali. Poi, lentamente, qualcosa si è mosso: una finestra pop-up, un modulo di opposizione, una scelta possibile. E poco più dell’11% su Instagram, e meno del 9% su Facebook, ha detto no. No al fatto che i propri post, like, selfie, caption, passioni e silenzi venissero usati per allenare i Large Language Model (LLM) di Meta.

Eppure, il dato che scombina tutto è un altro (source DPC): il 78% di chi ha visto quel modulo, lo ha firmato. Lo ha compilato, inviato, sbarrato. Come dire: sì, se mi accorgo che mi stai frugando nei ricordi per addestrare una macchina, non ti do il permesso.

AI Act, ovvero il sogno europeo di regolare l’incontrollabile

In fondo, è tutto lì: Bruxelles ha creato un mostro normativo e ora sta scoprendo che non sa più da che lato afferrarlo senza farsi male. L’AI Act, celebrato come la risposta europea all’anarchia algoritmica globale, si sta inceppando proprio nel momento in cui dovrebbe cominciare a funzionare. La data simbolo è il 2 agosto 2026, quando le aziende dovrebbero allinearsi agli standard per immettere legalmente sul mercato software di intelligenza artificiale. Ma ora, sorpresa: gli organismi incaricati di definire quegli standard non sono pronti.

Alexandr Wang: Quando la genitorialità diventa un’estensione API del cervello

È la nuova estetica della Silicon Valley: mescolare biohacking, AI e decisioni di vita come se fossero righe di codice in un sistema distribuito. Alexandr Wang, ex enfant prodige dell’AI e fondatore di Scale AI, oggi parcheggiato a Menlo Park dopo aver venduto metà della sua creatura, ha dichiarato che aspetta a fare figli finché Neuralink non sarà “pronta”.

Neuralink, ricordiamolo per chi non vive in un bunker a tema Musk, è l’azienda che promette un’interfaccia neurale diretta cervello-macchina. Fantastico. Se vuoi ascoltare Spotify con il talamo.

Taiwan affonda il colpo nel cuore del chip Cinese

In un’epoca dove i transistor valgono più del petrolio e i wafer hanno il peso geopolitico delle testate nucleari, la mossa di Taiwan sembra più una fiondata al cuore che una formalità amministrativa. Con un aggiornamento della Strategic High-Tech Commodities Entity List, l’Isola ha inserito Huawei Technologies e Semiconductor Manufacturing International Corp (SMIC) in una blacklist che suona più come un ultimatum al Dragone che un banale documento ministeriale.

IBM Quantum Starling 

Quando l’algoritmo sbaglia solo una volta: IBM, Bitcoin e il ritorno dell’apocalisse quantistica

Chi ha paura del lupo quantico? Da anni lo si evoca, lo si esorcizza, lo si minimizza: quel giorno in cui un computer quantistico farà girare l’algoritmo di Shor nel tempo necessario per schiacciare una noce. Eppure, proprio ora, mentre Michael Saylor si scrolla di dosso l’ansia a favore di telecamere, IBM ha annunciato qualcosa che rischia di accelerare il conto alla rovescia verso l’inquietudine digitale definitiva: Quantum Starling, il primo computer quantistico fault-tolerant destinato al mondo reale. Scadenza: 2029.

Facciamo chiarezza. I computer quantistici attuali sono sì capaci di produrre risultati strabilianti… ma con un tasso d’errore da sbronza universitaria. Ogni calcolo è un lancio di dadi, e quando le operazioni necessarie arrivano a milioni, servono miliardi di correzioni al volo. Ecco perché parlare di “quantum advantage” – cioè un vantaggio effettivo rispetto ai supercomputer classici – è stato, finora, un gioco di prestigio teorico.

Droni, Deregulatione e disastri: l’america apre i cieli mentre il mondo li trasforma in campo di battaglia

Il cielo sopra l’America è libero, o almeno così lo vuole Donald Trump. Con la sua recente firma su una serie di ordini esecutivi che allentano le restrizioni sui droni commerciali, sulle auto volanti e sui jet supersonici, l’ex presidente promette di “ripristinare la sovranità dello spazio aereo americano”. Una frase che, messa su carta intestata della Casa Bianca, suona come l’inizio di una rivoluzione tecnologica. O come l’innesco di un disastro.

Se sei un innovatore della Silicon Valley, un fondo di venture capital, o semplicemente uno smanettone con un DJI e un sogno, questa sembra l’età dell’oro. Se invece indossi un’uniforme del Dipartimento della Difesa o hai un radar puntato su infrastrutture critiche, potresti pensare che stiamo assistendo all’alba di una nuova corsa agli armamenti — questa volta silenziosa, autonoma, e a bassa quota.

Quando il volante si ferma e l’algoritmo guida: la tragica ironia della perfezione

L’incidente in Belgio, dove tutte le auto autonome testate non sono riuscite a evitare un errore potenzialmente mortale, non è un bug del sistema. È il sistema.

In un’epoca in cui ci si inginocchia davanti alla divinità dell’Intelligenza Artificiale, ci sono momenti come questo che servono come schiaffo, o se preferite, come aggiornamento firmware morale. La macchina ha sbagliato. Ha sbagliato esattamente come avrebbe potuto fare un umano. E per qualcuno, questa è già una giustificazione sufficiente.

L’occhio che scruta: l’intelligenza artificiale di ICE e DHS sorveglia tutti, non solo gli immigrati

Era il 2020 quando molti guardavano le proteste di Black Lives Matter come uno spartiacque nella lotta per i diritti civili. Ma dietro ogni slogan urlato in piazza, un altro rumore, più sottile, si insinuava nel cielo americano: il ronzio di droni, l’occhio onniveggente dell’IA, al servizio dell’apparato di sicurezza interna degli Stati Uniti. Ora siamo nel 2025, e quell’occhio non solo non si è chiuso, ma ha affinato la vista, perfezionato l’udito e imparato a prevedere i nostri passi prima ancora che li compiamo.

Il peluche che batte l’intelligenza artificiale: come Labubu ha sconfitto i chatbot a colpi di ghigno

Mentre Sam Altman predica l’arrivo di AI capaci di “cognizione sbalorditiva”, i mercati finanziari, quelli veri, si inginocchiano non davanti a un algoritmo quantistico, ma a un pupazzo con la faccia da Joker mal riuscito: Labubu. Il produttore cinese Pop Mart è schizzato in Borsa con un +595% che nemmeno le migliori startup AI sognano di vedere. Nell’epoca in cui i bit dovrebbero governare i cuori e i portafogli, a dominare la scena è un feticcio di vinile e peluria, con gli occhi spiritati e il sorriso da psicopatico kawaii.

Trump contro Musk, Israele contro Iran: il reality della fine dell’Impero

Nel grande teatro della politica postmoderna, dove la realtà si piega alla volontà del marketing e la verità è un algoritmo da manipolare, c’è chi litiga su X (Twitter) e chi bombarda nella realtà. Da una parte, Donald Trump e Elon Musk si scannano come due galli da combattimento per la supremazia simbolica dell’ego nazionale. Dall’altra, Israele lancia un attacco diretto contro l’Iran, in quello che appare non solo come un colpo strategico, ma anche come l’effetto collaterale più inquietante dell’assenza americana.

L’intelligenza artificiale capisce solo quello che non capisce: perché i filosofi contano più degli ingegneri

Great Engineers, Terrible Philosophers

A conversation on the rapid evolution of AI technology, the nature of intelligence, and the importance of the European project

Luciano FloridiGiannis PerperidisAlexandros Schismenos

In un mondo dove i CEO delle big tech annunciano trionfalmente che l’AI potrà presto eseguire “compiti cognitivi davvero sbalorditivi”, ci troviamo a guardare negli occhi un paradosso epistemologico: macchine che sembrano capire, ma non capiscono nulla. Siamo diventati spettatori di un grande spettacolo illusionistico. Gli ingegneri sono bravissimi con i circuiti, ma appena aprono bocca sulla coscienza umana si trasformano in apprendisti stregoni.

La falsa promessa del messia digitale: l’intelligenza artificiale è solo un’abile truffa di marketing?

Nel teatro sempre più affollato dell’intelligenza artificiale, le luci sono puntate sui profeti di una nuova era. Dario Amodei, Demis Hassabis, Sam Altman: non sono scienziati, sono evangelisti in giacca sartoriale, determinati a convincerci che il nostro futuro dipende da un algoritmo che non sa distinguere un paradosso logico da una battuta di spirito. E se vi sembra un’esagerazione, provate a leggere l’ultima fatica di Apple Research, che smonta con precisione chirurgica le velleità dei nuovi oracoli digitali.

C’è qualcosa di quasi comico, se non fosse tragico, nell’osservare Sam Altman dichiarare con la gravità di un presidente in tempo di guerra che siamo “vicini a costruire una superintelligenza digitale”. Il tono è messianico, la promessa epocale: un’IA più intelligente di noi, che spazzerà via intere classi di lavori, e ci costringerà a riscrivere il “contratto sociale”. Forse con una postilla scritta da GPT-5. Ma, nel frattempo, queste AI soffrono ancora di crisi di identità quando affrontano una semplice equazione con due incognite.

Il rilevatore di fuffa: chatGPT, Wittgenstein e l’anima artificiale del linguaggio

THE BS-METER: A CHATGPT-TRAINED INSTRUMENT TO
DETECT SLOPPY LANGUAGE-GAMES

Cosa succede quando un chatbot parla come un burocrate sotto acido? O come un politico in campagna elettorale, ma senza l’imbarazzo della coerenza? La risposta, ormai, è ovvia a chiunque abbia chiesto a ChatGPT una spiegazione sulla filosofia di Kant o una ricetta per la carbonara: ottiene una risposta fluente, educata, a volte brillante… ma con quel retrogusto di “non detto”, di inconsistenza elegante, che puzza di qualcosa. O meglio: di bullshit.

Hong Kong scommette sull’intelligenza artificiale sovrana mentre l’occidente la osserva con sospetto

I cinesi hanno imparato a giocare a Go. Ma a differenza dell’Occidente, non stanno più giocando a scacchi.

Mentre a Parigi, sotto le luci kitsch della VivaTech, le startup di Hong Kong distribuiscono sorrisi, demo e pitch ben confezionati, a migliaia di chilometri, nel nord dei Nuovi Territori, si alza il sipario su un altro teatro: il progetto, non proprio velato, di trasformare il territorio in una superpotenza del calcolo, incastonata tra Shenzhen e il delta del fiume delle Perle.

L’Europa non sa cosa fare con l’intelligenza artificiale, ma vuole farlo lo stesso

Generative AI Outlook Report European Commission

Mentre la Silicon Valley programma il futuro con il cinismo dell’algoritmo, la Commissione Europea si affanna a scrivere report. E l’ultimo – un tomo da oltre 160 pagine sull’orizzonte della GenAI in Europa – è un atto politico prima ancora che tecnologico. Un esercizio di equilibrismo istituzionale in cui Bruxelles cerca di apparire innovativa senza perdere il controllo, di essere regolatrice e alleata degli innovatori, di difendere la sovranità digitale senza scivolare nell’autarchia.

Il pentagono convoca gli dei dell’AI: l’esercito usa il codice 201 per riscrivere la guerra

I nerd stanno indossando l’uniforme. Letteralmente. Non è una serie HBO, ma una trasformazione concreta dell’equilibrio tra guerra e innovazione: quattro pesi massimi della Silicon Valley — Shyam Sankar (CTO Palantir), Andrew “Boz” Bosworth (CTO Meta), Kevin Weil (CPO OpenAI) e Bob McGrew (ex CRO OpenAI) — sono stati nominati tenenti colonnelli nella neonata brigata tech dell’Esercito USA, il Detachment 201.

Sì, avete letto bene: Meta, Palantir e OpenAI prestano i loro cervelli migliori — formalmente, con gradi e giuramento — a un’unità militare. Meno push-up, più machine learning. Meno trincee, più reti neurali. Il Pentagono chiama, l’industria risponde.

Alibaba mette il turbo all’intelligenza artificiale: se il Capodanno è sacrificabile, allora anche l’Occidente lo è

In un mondo dove l’intelligenza artificiale ha smesso di essere fantascienza e si è trasformata in uno spietato campo di battaglia geopolitico, la notizia che gli ingegneri di Alibaba abbiano annullato il Capodanno lunare per correre dietro a DeepSeek non è solo un aneddoto aziendale: è un chiaro segnale che la guerra dell’AI è diventata totale. E brutale. Non c’è più spazio per pause spirituali, simboli nazionali o ferie codificate. Se in Occidente Microsoft o Google si fossero azzardate a dire “Saltate il Natale, dormite in ufficio”, l’azienda sarebbe esplosa sotto il peso di una class action per abuso aziendale e violazione dei diritti umani. In Cina invece si chiama “spirito competitivo”

Buyoutlandia: il nuovo sogno americano targato Google

La Silicon Valley non licenzia più. Offre pacche sulle spalle e assegni di buonuscita in cambio del badge. L’era dei buyout è arrivata a Mountain View come un gentile tsunami, e a giudicare dall’euforia semantica delle memo interne, è solo l’inizio. Per i dipendenti di Google, in particolare quelli di Core Engineering, Search e altri dipartimenti “strategici”, la nuova parola magica è: “voluntary exit”. Come dire: sei ancora libero di restare, ma non sei più parte del futuro.

Quando l’atomo si fa algoritmo: la rivoluzione silenziosa di Open Molecules 2025

Sarebbe piaciuto a Schrödinger, anche se probabilmente avrebbe chiesto a ChatGPT di spiegargli cosa sia un dataset da 100 milioni di DFT. In un’alleanza che ha più del Manhattan Project che di una startup in garage, Meta, Los Alamos National Laboratory e il Lawrence Berkeley Lab hanno appena acceso una miccia quantistica sotto la chimica computazionale. Il risultato si chiama Open Molecules 2025, ed è, senza giri di parole, la più grande biblioteca pubblica mai rilasciata di simulazioni molecolari ad alta fedeltà. Parliamo di oltre cento milioni di calcoli al livello della teoria funzionale della densità, o DFT per chi ha confidenza con l’inferno della meccanica quantistica applicata alla materia.

Zuckerberg si è messo il camice da scienziato: superintelligenza, scale-up e la vendetta del nerd di Menlo Park

Nel silenzio ovattato degli uffici open space di Google, DeepMind e OpenAI, un sussurro inquietante comincia a propagarsi tra i ricercatori: “È davvero Zuck?” Una domanda che non è metafisica, ma professionale. E con ogni probabilità, economica. È infatti Mark Zuckerberg — in carne, ossa e messaggi WhatsApp personalizzati — ad aver cominciato a corteggiare personalmente il gotha della ricerca AI, proponendo offerte che definire stravaganti sarebbe un understatement imbarazzante. Si parla di pacchetti compensativi a otto cifre. Alcuni addetti ai lavori hanno sussurrato che ha “pagato 14 Instagrams” per strapparsi Alexandr Wang, il giovane prodigio e CEO di Scale AI.

Google trasforma la ricerca in un podcast: l’AI diventa il tuo nuovo speaker personale

Hai digitato una query su Google. Ti aspettavi il solito elenco di link, quella noiosa gerarchia di SEO tossico, titoli clickbait e snippet semi utili. Invece, all’improvviso, una voce calda ti sussurra nelle orecchie una sintesi personalizzata, confezionata da un’intelligenza artificiale addestrata a suonare come un mix tra David Attenborough e il tuo barista di fiducia. No, non è fantascienza. È l’ultima trovata del colosso di Mountain View: trasformare le ricerche in un podcast istantaneo. Automatico. Sintetico. Inevitabile.

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