Non è fantascienza ma l’ennesima dimostrazione che il XXI secolo sarà alimentato non da democrazie ma da data center affamati di elettroni. Il Wyoming, stato noto per le praterie, i rodei e una densità abitativa più vicina alla Mongolia che a Manhattan, sta per essere risucchiato nel vortice dell’intelligenza artificiale. La notizia è di quelle che fanno saltare sulla sedia gli addetti ai lavori e i romantici delle rinnovabili: un campus di data center AI da 1.8 gigawatt, con potenziale espansione fino a 10 GW, sarà costruito vicino a Cheyenne. Per capirci: 1 GW può alimentare un milione di case. L’intera popolazione del Wyoming non arriva a 600.000 abitanti. Fate i conti.
Dietro il progetto ci sono Crusoe, che di data center ne mastica da anni, e Tallgrass, infrastruttura energetica regionale che pare abbia deciso di mettersi in proprio con l’AI come nuovo cliente premium. La missione è chiara: alimentare una bestia tecnologica che consuma più di tutto lo stato che la ospita, sfruttando gas naturale, rinnovabili e un’iniezione di greenwashing strutturato a base di carbon capture.
Perché se c’è una cosa che oggi non può mancare in un annuncio del genere è la rassicurazione etico-ambientale. Tallgrass, con il suo hub di sequestro di CO₂ già operativo nei pressi, garantisce che tutto sarà fatto per salvare il pianeta mentre lo si colonizza con GPU. Il campus sarà a pochi chilometri da pozzi, condutture e risorse idriche strategiche. Non un caso. L’efficienza logistica qui rasenta quella di un piano quinquennale sovietico, ma con l’ottimizzazione di un hedge fund.
Non è solo una questione di potenza di calcolo. Questo progetto segna il momento in cui l’intelligenza artificiale inizia ad avere un peso fisico nella geopolitica energetica. Quando i flussi di dati diventano più importanti dei flussi migratori, quando le pipeline contano più delle autostrade. Se Cheyenne era finora la cugina minore di Denver, ora si candida a essere la Riyadh del machine learning. E chi controlla il silicio, controlla il mondo.
La dichiarazione del sindaco Patrick Collins, apparentemente entusiasta, è sintomatica. La città avrà una propria produzione energetica separata, dedicata esclusivamente al data center. Come dire: ci sarà un Wyoming per gli umani e uno per l’intelligenza artificiale. E non è scontato chi avrà la precedenza in caso di blackout.
L’aspetto più paradossale è che il Wyoming produce 12 volte più energia di quanta ne consuma. Un’anomalia americana: esportatore netto di energia, ma senza infrastrutture per trarne vantaggio locale. La nuova infrastruttura risolve il problema alla maniera americana: privatizzando l’accesso alla potenza, letteralmente. La transizione energetica qui non significa decarbonizzazione ma reindirizzamento dei flussi verso nuove élite algoritmiche.
Non è la prima volta che Cheyenne finisce sotto i riflettori dei colossi tecnologici. Microsoft ha investito qui dal 2012. Meta è in dirittura d’arrivo con un data center da 800 milioni di dollari. Il vantaggio è evidente: terra abbondante, costi bassi, burocrazia flessibile e, cosa rara, una popolazione troppo sparuta per fare opposizione seria. In altre parole: l’ambiente ideale per un’infrastruttura AI su scala imperiale.
Però qualcosa stona. In un’epoca in cui si predica la sostenibilità e si piange per ogni punto percentuale di consumo elettrico da parte dei bitcoin miner, come si giustifica un investimento che divorerebbe l’intera rete domestica statale? La risposta è semplice e cinica: si cambia narrativa. L’intelligenza artificiale non è un gioco per speculatori, è “progresso”. E il progresso ha sempre bisogno di una centrale elettrica alle spalle.
Ma attenzione a sottovalutare il precedente. Se un data center da 10 GW può sorgere in uno stato poco abitato come il Wyoming, chi vieta a un’azienda privata di fare lo stesso in Texas, nel Midwest o in qualunque altra regione ad alta capacità energetica ma debole peso politico? Questo è il modello: occupazione della terra, colonizzazione della rete elettrica, monopolizzazione del silicio.
Le AI non vivono nel cloud, vivono in raffreddatori a liquido, in container blindati e in trasformatori ad altissima tensione. Sono mostri industriali più simili a raffinerie che a software, e il Wyoming ne sarà il primo zoo nazionale.
Intanto, mentre i cittadini leggono la notizia su smartphone alimentati da batterie al litio estratte in Congo e ricaricate con energia cinese, qualcuno sta progettando un futuro in cui l’elettricità non è più un bene pubblico ma un asset strategico da allocare secondo algoritmi. È la logica dei data center AI: il kilowatt diventa moneta, e il cittadino, al massimo, cliente.
La costruzione inizierà appena le autorità locali daranno il via libera. Ma c’è da scommettere che l’approvazione non sarà un ostacolo. Non in uno stato che ha costruito la propria ricchezza sulla deregolamentazione e sull’estrazione. L’AI è solo la nuova forma di trivellazione, più silenziosa ma altrettanto profonda.
Il Wyoming sta per essere trasformato in un nodo neurale fisico. Non più uno stato, ma un’estensione della rete. Uno spazio dove l’energia viene convertita in intelligenza, e l’intelligenza in potere. Un laboratorio per il futuro dell’infrastruttura digitale, dove il cloud non è una metafora ma un generatore da 10 GW collegato a un cluster NVIDIA.
Chi si ostina a pensare all’intelligenza artificiale come software, codice o etica, dovrebbe farsi un giro a Cheyenne tra sei mesi. Lì capirà che l’AI non è un algoritmo. È un’industria. E l’industria ha sempre fame.