Quando OpenAI lancia un nuovo progetto infrastrutturale, il mondo prende appunti. Quando lo fa in Europa, tra montagne scandinave e rigide regolamentazioni ambientali, c’è molto di più in gioco di qualche megawatt in più. Con l’annuncio di Stargate Norway, OpenAI lancia un segnale chiarissimo alla geopolitica del calcolo: il dominio dell’intelligenza artificiale non passa solo dai modelli, ma dai watt. Il contesto? Una guerra sotterranea per la sovranità computazionale europea, un’Europa che ha deciso che non vuole più giocare con server in leasing made in Silicon Valley. La scelta del partner, Nscale, startup britannica ambiziosa nel settore cloud AI, e dell’infrastruttura, progettata in tandem con Aker, gigante norvegese dell’energia industriale, non è casuale. Qui non si tratta di una semplice server farm: si tratta della prima “centrale sovrana” AI in terra europea con l’imprinting di OpenAI. Ma attenzione: Stargate Norway non è un progetto UE. È un’operazione parallela, un asse transatlantico nordico.

Il sito scelto? Narvik, Norvegia del Nord. Un nome che suona più da romanzo di John le Carré che da hub tecnologico, ma sotto la superficie si nasconde una logica glaciale. Accesso illimitato all’energia idroelettrica, clima ottimale per il raffreddamento passivo, una base industriale già strutturata. Come dire: zero fronzoli, massimo uptime. L’obiettivo iniziale? 230 megawatt di potenza. Espandibili a 290 MW, alimentati da 100.000 GPU Nvidia entro la fine del 2026. Non è solo una facility: è una centrale nucleare per reti neurali. Il tutto raffreddato da un sistema a liquido diretto chiuso, perché l’aria ormai è roba da data center vintage. Il calore di scarto? Riciclato per imprese low-carbon. L’Europa voleva efficienza e trasparenza ambientale? OpenAI la serve su un piatto d’acciaio norvegese.

Ma cosa significa davvero per il continente questo Stargate Norway? Un indizio ce lo dà Josh Payne, CEO di Nscale, che ammette senza giri di parole che il progetto punta a “leverage European sovereign compute”. Tradotto: creiamo potenza computazionale su suolo europeo, sotto giurisdizione europea, con energia europea. Perché? Perché la sovranità dei dati non è più un vezzo regolatorio, ma una condizione esistenziale nel mondo AI. Non è più solo questione di dove risiedano i dati, ma di dove venga elaborata l’intelligenza.

OpenAI, formalmente solo “off-taker” dell’infrastruttura, si comporta in realtà da regista. Compra capacità, ma plasma le architetture, definisce le logiche operative, e ottiene un vantaggio strategico nel cuore di un continente che sta riscrivendo le sue regole sull’intelligenza artificiale. L’AI Act europeo, in vigore da agosto 2024, impone criteri severissimi di trasparenza energetica, efficienza e sostenibilità. Un quadro normativo che spaventa i giganti americani e mette in crisi le big tech abituate alla deregulation californiana. Eppure, OpenAI si adatta, si mimetizza, si integra. Stargate Norway sembra scritto su misura per evitare le “unacceptable risk systems” vietate dall’UE: trasparente, green, strategico.

Non è un caso che OpenAI stia accelerando ovunque. Solo sette mesi fa annunciava un investimento da 500 miliardi di dollari in 10 gigawatt di infrastrutture AI negli Stati Uniti. Poi Stargate UAE, poi un’intesa col governo britannico. La narrativa è chiara: l’intelligenza artificiale non è più solo un gioco di modelli linguistici, ma una questione di gigawatt geopolitici. Il vero potere non sta nei prompt, ma nelle GPU. L’AI è diventata una industria estrattiva, e i giacimenti sono cluster energetici.

In questo gioco di risk computazionale, l’Europa si muove tardi, ma con foga. Il piano da 30 miliardi di euro per creare 13 fabbriche AI è ambizioso, ma tardivo. Stargate Norway, fuori da questo piano, è un messaggio tagliente: se l’Europa si muove a colpi di regolamenti, OpenAI si muove a colpi di chip. A ridosso delle Alpi Lofoten, in un piccolo centro minerario, si costruisce un avamposto che parla la lingua dell’autonomia, ma scrive codice con GPT.

Le startup norvegesi e i ricercatori locali avranno accesso prioritario? Sì, dicono. Ma il vero dividendo sarà per chi controlla le pipeline di training. Per chi può decidere quali modelli girano, su quali stack, con quale latenza. Per chi può dettare i tempi della trasformazione digitale non solo con software, ma con hardware personalizzato. L’Europa, ancora una volta, rischia di fornire il terreno e l’energia, ma non di governare l’intelligenza.

Tuttavia, Stargate Norway segna un punto di svolta anche culturale. Non è più accettabile un’AI “as-a-service” che vive in West Virginia ma decide le policy del welfare digitale a Vienna. Serve una dislocazione dei cervelli, sì, ma anche dei server. E allora ben vengano i poli computazionali artici, a patto che non si trasformino in zone franche per lobby americane. La vera domanda è: chi avrà accesso privilegiato a Stargate Norway? Chi deciderà i modelli prioritari? Chi avrà voce sulle metriche di impatto ambientale, sulle soglie etiche, sui protocolli di bias reduction?

Nel frattempo, la scelta norvegese si rivela un colpo da maestro: clima, energia, regolamentazione e neutralità. In una mossa sola, OpenAI si garantisce un avamposto europeo, ma fuori dai radar normativi di Bruxelles. Stargate Norway diventa così un ibrido: non è America, non è Europa, è infrastructure terra incognita. E come tutte le terre incognite, sarà lì che si scriveranno le prossime regole del potere digitale.

Perché mentre noi ci chiediamo se i chatbot siano etici, OpenAI costruisce miniere di calcolo in silenzio. E la prossima volta che un modello ci predice il futuro, ricordiamoci che dietro quelle risposte c’è un data center nascosto tra i ghiacci, alimentato da fiumi, costruito per addestrare la macchina che ci osserverà.