C’è un rumore strano nel mondo dei transistor. Un suono di ritorno al passato che arriva da Pechino, dove un gruppo di ricercatori dell’Università di Peking sostiene di aver costruito un chip analogico capace di battere le GPU digitali più avanzate, compresa la mitologica Nvidia H100. Non è una boutade accademica: la notizia è finita su Nature Electronics, il che in sé è già un indicatore di serietà scientifica, anche se la prudenza rimane d’obbligo. Secondo i dati dichiarati, il nuovo superchip cinese, basato su memorie resistive, potrebbe elaborare calcoli mille volte più velocemente e con cento volte meno energia rispetto ai processori digitali tradizionali. Sembra fantascienza, ma la fisica a volte ha la tendenza a fare il verso alla magia.
Chiunque abbia masticato un po’ di informatica sa che il calcolo analogico è una vecchia fiamma mai del tutto dimenticata. A differenza dei computer digitali, che operano in binario, l’analogico lavora con valori continui. Invece di accendere e spegnere interruttori, modula intensità. È come passare da un interruttore on-off a un dimmer che controlla la luce con infinite sfumature. Il vantaggio? Una densità informativa e una velocità intrinseca che i bit, per quanto compressi, non potranno mai eguagliare. Il problema, da un secolo, è la precisione. Il rumore elettrico, le variazioni di temperatura, la deriva dei materiali, tutto contribuisce a corrompere il segnale. Per questo l’analogico è rimasto confinato nei musei della storia tecnologica, accanto all’Antikythera mechanism e al water integrator sovietico del 1936.
Il chip dei ricercatori di Pechino nasce da un’idea tanto semplice quanto dirompente: fondere memoria e calcolo nello stesso punto. Nel mondo digitale, la CPU e la memoria vivono in due regni separati, costretti a scambiarsi dati in un incessante ping pong che consuma tempo e potenza. Il nuovo approccio analogico, invece, sfrutta la resistenza elettrica come veicolo di calcolo. I dati non vengono spostati: vengono trasformati direttamente dove risiedono. È un ritorno al corpo, dopo decenni di astrazione. E soprattutto, è un colpo al cuore del paradigma di von Neumann che ha dominato l’informatica moderna.
Le prime dimostrazioni sembrano impressionanti. Il chip analogico ha risolto equazioni matriciali complesse con prestazioni già superiori alle migliori GPU commerciali, quelle che oggi alimentano i data center per l’addestramento dell’intelligenza artificiale generativa. Se le simulazioni reggono ai test indipendenti, potremmo trovarci davanti a un punto di svolta. Non un’evoluzione incrementale, ma una mutazione di specie. Il calcolo neuromorfico, che da anni promette di imitare il cervello umano con transistor e sinapsi artificiali, potrebbe finalmente trovare nel calcolo analogico un alleato fisico e non solo concettuale.
L’aspetto più provocatorio, però, non è tecnico ma geopolitico. La Cina sta spingendo sul fronte hardware come nessun altro Paese. Non potendo contare su forniture illimitate di chip occidentali, sta cercando scorciatoie tecnologiche per spezzare il dominio americano nel calcolo ad alte prestazioni. Il superchip cinese non è solo una sfida ingegneristica, è un messaggio politico: l’alternativa al silicio digitale non solo è possibile, ma già funziona. In un’epoca in cui Nvidia vale più di Amazon, l’idea che un gruppo di ricercatori possa costruire un chip “di cartone” capace di fare meglio su certe operazioni è un pugno nello stomaco del capitalismo GPU-centrico.
Naturalmente, la realtà è più complessa. L’analogico non sostituirà il digitale nel breve termine. I sistemi di calcolo tradizionali offrono stabilità, compatibilità e scalabilità industriale che i prototipi universitari non possono garantire. Ma ogni rivoluzione inizia come un errore di laboratorio, e questa ha la consistenza di un errore promettente. Le memorie resistive, cuore del superchip, appartengono a una generazione di materiali che può modificare la propria resistenza elettrica in modo controllato. In pratica, ogni cella di memoria può funzionare come un neurone fisico, capace di apprendere pattern elettrici. Non c’è bisogno di simulare un cervello con software, se si può costruirlo direttamente nel silicio.
Il team guidato da Sun Zhong parla di un futuro in cui il calcolo analogico diventa una piattaforma per l’intelligenza artificiale, per la modellazione di sistemi naturali e per le comunicazioni 6G. I test mostrano che il loro dispositivo riesce a rilevare segnali wireless con accuratezza pari a quella dei processori digitali. Non male per una tecnologia che il mondo aveva dato per morta. È la vendetta del continuo contro il discreto, del segnale fisico contro la logica astratta. Forse la fisica analogica, come un vecchio samurai ritirato, sta tornando sul campo di battaglia con una spada nuova e molto affilata.
Dietro il linguaggio tecnico, si percepisce un messaggio più profondo: l’intelligenza artificiale non può crescere all’infinito solo aumentando la potenza dei calcolatori digitali. Siamo vicini ai limiti fisici del silicio, e ogni incremento di prestazioni costa esponenzialmente più energia. Le GPU consumano come piccole centrali elettriche, i data center diventano città termiche. Se l’AI deve sopravvivere al proprio successo, deve cambiare materia prima. E il chip analogico cinese è un tentativo di riscrivere le regole del gioco, non solo di giocare meglio.
Qualcuno lo chiama un bluff, altri lo vedono come l’inizio di una nuova epoca. Forse entrambe le cose sono vere. La storia della tecnologia è piena di prototipi che hanno promesso troppo e mantenuto poco. Ma è anche piena di idee folli che hanno riscritto il futuro. Forse tra qualche anno parleremo del superchip cinese come di un parente lontano dei primi calcolatori digitali, grezzo ma visionario. O forse lo ricorderemo come una trovata pubblicitaria ben confezionata. In ogni caso, il messaggio è chiaro: il mondo del calcolo sta cercando un nuovo paradigma, e non è detto che arrivi da Silicon Valley.
Alla fine, la vera domanda non è se il chip di Pechino sia reale o simbolico, ma se il mondo è pronto ad accettare che l’innovazione non è più un monopolio dell’Occidente. Il chip analogico potrebbe non essere perfetto, ma ha già acceso una miccia che nessun data center potrà spegnere.